2019-01-25
Tirana vuole la Grande Albania e ai Balcani viene la tachicardia
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Ansa, il premier Edi Rama
Da Skopje a Tirana, passando per Pristina l'arco geopolitico albanese nei Balcani sta assumendo in questi ultimi mesi sempre maggiore rilievo. In Macedonia, dopo la pesante riforma costituzionale voluta dal premier Zoran Zaev per cambiare il nome al Paese, e per far approvare la quale son stati necessari i voti dei partiti albanesi, non vi è oramai più alcun dubbio che essa sia stata sfruttata per avviare in sordina il processo di riforma dello Stato in senso federale. E quindi favorire la minoranza albanese. Il premier Edi Rama ha tentato un rimpasto di governo con un ministro di origini kosovare. Obiettivo è estendere la propria influenza in tutta l'area balcanica meridionale. Mercoledì lo stesso primo ministro ha dichiarato in televisione che desidera divenire il primo cittadino a ricevere il nuovo passaporto bilingue, cioè in lingua macedone ed albanese. Nonostante in Macedonia poco meno di un quarto della popolazione sia di origine albanese Zaev pare intenzionato a concludere il lavoro di demacedonizzazione affidatogli dalla comunità internazionale sotto la guida di Angela Merkel e a favorire la nascita di un terzo stato costituzionalmente albanese oltre a quello del Kosovo e dell'Albania. Tralasciando il non insignificante dato che mai nella storia un popolo è riuscito ad avere a disposizione ben tre Stati e che tale situazione in una regione altamente sensibile quale quella balcanica rappresenta un fattore di forte instabilità, pare oramai assodato che la politica estera albanese, intesa in senso lato, mieta grandi successi negli ultimi anni grazie al sostegno ricevuto dalla Germania della Merkel e negli anni passati dagli Stati Uniti dell'ex presidente Barack Hussein Obama da sempre vicino al primo ministro socialista del governo di Tirana, Edi Rama, a sua volta sostenuto, come dimostrato dai documenti pubblicati da wikileaks, dal miliardario George Soros e da Hillary Clinton. Nonostante le forti divergenze politiche e di visioni di sviluppo futuro interne alle popolazioni albanesi viventi nel sud dei Balcani pare che al momento la politica di cooperazione reciproca verta proprio intorno alla figura chiave di Rama il quale nelle settimane passate è stato il primo politico a tentare di scavalcare le remore della chiara divisione statale provando a creare un ponte politico altamente simbolico tra Tirana e Pristina. Togliendo la sua fiducia la ministro degli esteri Ditmir Bushati egli ha chiesto al Presidente della Repubblica Ilir Meta di sostituirlo con il giovane vice ministro per gli affari esteri, già consigliere di Rama, Gent Cakaj d'origini kosovare. Nel pesante rimpasto di governo voluto dal premier in modo da eliminare i propri oppositori politici e preparare con cura le prossime elezioni politiche assieme ad una generazione di politici più giovane, pertanto teoricamente più leale, l'unico cambio rigettato è stato quello del ministero agli affari esteri. Intorno alla nomina di Cakaj è sorto un complesso caso politico dopo che il Presidente della Repubblica Meta ha dichiarato che il candidato non aveva alcuna credibilità e non offriva le garanzie necessarie allo svolgimento dei suoi doveri con obiettività. Nonostante anche Meta, come Rama, sia di estrazione socialista egli sinceramente rifugge dall'idea di una possibile effettiva collaborazione tra i vari stati albanesi che possa scatenare nelle popolazioni vicine il pensiero che una Grande Albania stia effettivamente prendendo piede. E' questo il motivo remoto che ha scatenato il suo rifiuto nonostante le polemiche ufficialmente si concentrino su una dichiarazione di Cakaj con la quale in passato avrebbe appoggiato lo scambio dei territori tra il Kosovo e la Serbia. Infuriato dallo smacco subito, Rama si è investito delle funzioni di ministro degli esteri e conta, in attesa di tempi migliori, d'aggirare l'ostacolo politico delegando i suoi poteri di ministro al vice ministro Cakaj. Inoltre il primo ministro albanese ha dichiarato di voler denunciare il Presidente della Repubblica alla Corte Costituzionale per aver abusato dei propri poteri, tuttavia la cosa cadrà nel vuoto in quanto al momento la massima corte non è in grado di operare vista la riforma del sistema giudiziario in corso e vista la contestuale valutazione di idoneità dei giudici. Quanto espresso dal ventottenne Cakaj in merito alla possibilità di uno scambi di territori tra Belgrado e Pristina è comunque esattamente la soluzione al momento più probabile sul tavolo delle diplomazie e viene sostenuta anche da Washington. Esistono però due ostacoli al piano: il primo è rappresentato dal fatto che il presidente serbo Aleksander Vučić avrebbe bisogno di un impressionante cambio di scenario regionale per convincere la sua popolazione della perdita del Kosovo sopravvivendo politicamente mentre il secondo ostacolo è rappresentato dal pericoloso effetto domino che un primo scambio di territori scatenerebbe nella zona. Si aprirebbe in tal senso la possibilità di smembrare la Bosnia rinfocolando i sogni di tutti i nazionalisti balcanici. In pochi mesi si ritornerebbe a parlare di Grande Croazia, Grande Serbia e Grande Albania. Per tale ragione Meta sa bene che la nomina di un Kosovaro, apertamente vicino allo scenario di una rivisitazione dei confini, a ministro dell'Albania potrebbe causare un inaccettabile isolamento internazionale di Tirana.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)