2024-12-20
Non c’è trippa per i fondi nel futuro di Tim
L'ad di Tim, Pietro Labriola (Ansa)
Arriva l’offerta vincolante del Mef e del gruppo spagnolo Asterion: 700 milioni per Sparkle. Il mercato puntava a una cifra più vicina al miliardo e spinge il titolo al ribasso: -7,86% a fine giornata. Governo contrario a possibili spezzatini, in stand by l’interesse di Cvc.Sarà che il mercato si aspettava un’offerta più robusta per Sparkle, sarà che l’effetto speculativo per le indiscrezioni su un’interesse del fondo Cvc si sono raffreddate o che siamo arrivati a fine anno e quindi gli investitori chiudono le posizioni per prendere profitto, sta di fatto che ieri il titolo Tim ha trascorso l’intera giornata in preda alle vendite. Il bilancio finale parla di un ribasso del 7,86% che porta le azioni dell’ex monopolista delle tlc a quota 0,2510. Si riparte oggi con un consiglio di amministrazione straordinario che farà una prima valutazione rispetto ai circa 700 milioni di euro messi sul piatto dal Mef, che insieme con Retelit (controllata degli spagnoli di Asterion Industrial Partners) ha presentato un’offerta vincolante per acquisire l’intero capitale della società di cavi sottomarini. Sparkle è il primo fornitore di servizi di telecomunicazioni internazionali in Italia e quinto al mondo per traffico Internet, con una rete di 600.000 chilometri di fibra ottica, tre network operation center per un supporto h24, e una presenza commerciale in 32 Paesi. Ma non rientra più da un pezzo nel core business della nuova Tim, post scorporo della rete. La società si è focalizzata sui servizi e punta infatti a incamerare nuove risorse per rafforzare il piano di rilancio. L’offerta del Tesoro (che alla fine dovrebbe acquisire il 70% di Sparkle) e del fondo spagnolo, nato per investire nel mercato delle infrastrutture europee, sarà valida fino al 27 gennaio. Da ricordare che la società madrilena ha già fatto capolino in Italia con le operazioni Sorgenia, Irideos e Retelit.Cosa farà Tim? Il consiglio di amministrazione di oggi non dovrebbe essere decisivo ma darà probabilmente un indirizzo rispetto alle intenzione dell’amministratore delegato Pietro Labriola e dei suoi consiglieri che puntavano a ottenere una valutazione più alta per la società strategica dei cavi. L’altro punto riguarda le indiscrezioni che girano da giorni sull’interesse dei fondi, in primis Cvc, Bain e Apax rispetto alla quota del 23,75% di Vivendi, il primo azionista francese di Tim che ha messo il suo pacchetto in vendita ormai da diversi mesi. Da fonti vicine al dossier emerge che nessuno si è fatto vivo direttamente con i vertici del colosso transalpino e che contatti potrebbero esserci stati con gli advisor. Al momento però non c’è nulla di concreto. Per due motivi imprescindibili. Il primo è il prezzo. Vivendi che punta a limitare le perdite accumulate, non intende scendere sotto la soglia di un miliardo e mezzo. Diversi analisti evidenziavano negli scorsi giorni come nonostante il forte premio rispetto alle quotazioni attuali sia improbabile che i francesi vadano sotto questa quota, anche perché vorrebbe dire sommare ulteriori minusvalenze rispetto ai 2,4 miliardi, considerando i circa 3,9 miliardi investiti anni fa. Poi c’è la questione governo. Dopo la cessione della rete, infatti, è improbabile che questo esecutivo possa dare il via libera alla vendita della quota di Vivendi a un fondo che per natura punterebbe a spezzettare il gruppo per guadagnarci. «Abbiamo letto le notizie di stampa, non ho commenti particolari», così l’ad di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, ha risposto a una domanda sulle indiscrezioni su un possibile interesse del fondo britannico.E senza un accordo sul prezzo e in assenza del via libera dell’esecutivo, che sull’operazione potrebbe esercitare il golden power, è impossibile pensare a una trattativa con i francesi possa andare avanti. Il problema è che una soluzione va trovata e anche in tempi non eccessivamente lunghi. Non sfugge a nessuno che la gestione di una società complessa come Tim, in mancanza di un primo azionista industriale che voglia mettere testa e risorse nella gestione del gruppo, alla lunga diventa impossibile. E non è un caso che il titolo resti ancorato su prezzi molto bassi che non rispecchiano le potenzialità dell’ex monopolista.