2022-06-07
«The Staircase», da domani 8 episodi per gli appassionati di cronaca nera
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Prima che Hbo Max decidesse di farne una miniserie televisiva, l’epilogo umano di Michael Peterson è stato oggetto di un documentario: un lavoro in otto parti, ben fatto, attraverso il quale Jean-Xavier de Lestrade, regista francese, ha voluto leggere e analizzare lo stato di salute della giustizia statunitense.The Staircase è stato rilasciato nel 2004. Allora, ha vinto un Peabody Award e due altre stagioni si sono aggiunte a quella prima. Ma la risonanza dovuta ai premi, la notorietà improvvisa che Netflix, comprandolo, gli ha garantito non è bastata a fare del documentario un fenomeno virale. The Staircase, nella sua versione didascalica, faziosa per alcuni, è rimasto cosa per pochi. E sono questi pochi, oggi, a candidarsi come parte critica, il pubblico che mormora, giudica. Spettatori ai quali nessun colpo di scena è destinato ad apparire come tale. Non in The Staircase, serie-evento con la quale Hbo Max ha voluto ripercorrere il caso Peterson, l’orrore di un uomo accusato di aver barbaramente ucciso la propria moglie. Michael Peterson, che nello show (in onda su Sky e NowTv da mercoledì 8 giugno) ha il volto straordinario di Colin Firth, ha vissuto una di quelle vite da film. Avrebbe potuto sembrare perfetta, di primo acchito: una bella casa, un matrimonio felice, una carriera di successo. Ma, dietro l’apparenza, un gioco di scatole cinesi se ne stava sospeso. E, a scoprire le carte, in una notte mite del dicembre 2001, è stata la morte. Michael Peterson, scrittore e giornalista, ha parlato con voce nervosa. «Mia moglie è caduta dalle scale», ha detto, in una prima telefonata al 911. «Ha smesso di respirare», ha aggiunto cinque minuti più tardi, accogliendo nell’enorme casa di Dunham, North Carolina, le forze dell’ordine. Credeva sarebbe stata cosa da poco: la constatazione di una tragedia domestica, di un decesso improvviso. Ma il corpo di Kathleen Peterson (altrettanto straordinaria Toni Colette) chiedeva altro. Una cura diversa, indagini. Steso ai piedi delle scale, dentro una pozza di sangue, fra pareti così chiazzate da aver nutrito il sospetto che la testa fosse «esplosa», chiedeva che le parole di quel marito all’apparenza premuroso non fossero prese come verità assolute. E tanto è stato fatto. Le forze dell’ordine hanno accusato Michael Peterson di omicidio. I figli, i quattro dello scrittore e la sola di Kathleen, si sono detti sgomenti. L’amore fra i genitori era puro, sincero. Ma l’idillio familiare è durato poco. La polizia ha reso nota la bisessualità di Peterson, la sua situazione economica precaria. «Kathleen era alticcia», si è giustificato il marito. «È scivolata». Versione, questa, che la polizia ha detto non poter essere compatibile con le ferite riportate dalla donna. Kathleen Peterson, manager brillante, sarebbe stata colpita più volte alla testa e lasciata a morire ai piedi delle scale. Novanta minuti, forse due ore sarebbero passate prima che lo scrittore desse l’allarme. La quarantottenne sarebbe morta dissanguata. Per il procuratore, Peterson l’avrebbe uccisa in seguito ad un litigio. Aveva scoperto la bisessualità del marito, una sua relazione extraconiugale con un uomo. La situazione sarebbe trascesa. Peterson, da parte sua, ha negato. Kathleen, ha detto, era al corrente del suo orientamento sessuale. Ma la tesi, sostenuta dalla difesa, non ha trovato altrettanto favore in famiglia. La figlia della donna e le sue sorelle hanno presto abbandonato Michael e il processo ha avuto inizio, scoperchiando un vaso di Pandora, le scatole cinesi di una vita dove nulla è stato quel che è apparso. The Staircase, versione miniserie, delle accuse allo scrittore ha fatto il proprio inizio. È il 2001, poi il 2004. È il 2017, nei primi episodi dello show, che niente aggiungono per chi abbia visto il documentario, ma tutto dicono a chi (ancora) non lo abbia fatto. La serie televisiva, in cui la performance di Colin Firth è da sola ragione sufficiente a giustificarne la visione, è un piccolo gioiello di genere. Un true crime nel quale, come recita un detto proverbiale, la realtà superi la fantasia. Guardarla, alle porte dell’estate, di quell’unica stagione in cui di norma nessun nuovo (e degno) prodotto viene mai rilasciato in televisione, è un piacere. Di quelli doppi, per giunta. Perché alla leggerezza dell’intrattenimento si unisce qualcosa d’altro, la consapevolezza di avere a che fare con una pagine fra le più intricate della recente cronaca americana.