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2023-07-07
Testamento Berlusconi, le ville restano in mano alla famiglia. 100 milioni alla Fascina, 30 a Dell’Utri
Villa San Martino (Ansa)
«Tanto amore a tutti». E poi: solide aziende, favolose ville e strepitosi lasciti. Siano fatte le ultime volontà del Cavaliere. Dopo giorni di attese e illazioni, ecco svelato l’arcano: i testamenti di Silvio Berlusconi sono tre e sono stati depositati nello studio di Arrigo Roveda, taciturno notaio assurto a improvvisa notorietà. Il primo è del 2 ottobre 2006: l’ex premier lascia la sua quota di patrimonio «disponibile», dunque anche il controllo di Fininvest, ai primi due figli, Marina e Pier Silvio. Mentre il resto viene diviso tra i cinque eredi «in parti eguali». Ben 14 anni dopo, il 5 ottobre del 2020, vengono confermate le precedenti intenzioni, con l’aggiunta di un lascito di 100 milioni al fratello Paolo. Intendimento reiterato nell’ultimo testamento, vergato dal Cavaliere il 19 gennaio 2022.
I giorni più difficili della sua vita. All’immortale Silvio è stata appena diagnosticata la leucemia. «Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue» scrive nella lettera ai figli, annunciando le sue ultimissime volontà. Segue un brevissimo elenco. Tre nomi. L’inseparabile fratello. La moglie putativa. L’amico perseguitato in suo nome. A Paolo Berlusconi, come già annunciato due anni prima, vengono lasciati 100 milioni. Altrettanti vanno a Marta Fascina. Altri 30 saranno elargiti a Marcello Dell’Utri. Tre postille a margine nella ripartizione dello sterminato impero, valutato 4 miliardi: «Per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me».
Saranno i figli a farsi carico di queste donazioni. E tra le righe, si celano perfino due misteri. A Paolo, citato due volte, vanno 200 milioni o il Cavaliere ha voluto solo ribadire? È lo stesso Paolo a fugare ogni dubbio, «per evitare fraintendimenti»: il fratello, rivela, gli aveva anticipato in più occasioni l’intenzione di lasciargli quei 100 milioni. Ma è l’elenco iniziale a porre ulteriori interrogativi. Berlusconi, nella lettera, si rivolge ai quattro figli: «Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora». Non viene citato Luigi, il più piccolo. Dimenticanza o volontà? Qualora di trattasse di una precisa scelta, si tratterebbe di un favore all’ultimogenito, che sarebbe sollevato dall’incombenza verso i tre beneficiari. Insomma, i 230 milioni donati complessivamente a fratello, compagna e amico del Cavaliere verrebbero trattenuti dalle quote destinate ai quattro figli: dunque, quasi 58 milioni a testa. Comunque, scripta manent: Luigi non dovrebbe contribuire ad adempire agli ultimi desideri del padre, a meno di diversi accordi familiari.
L’ultimo testamento, che si conclude con quel «tanto amore a tutti», è contenuto in una busta datata «Arcore 19 gennaio 2022» Dentro, c’è questo appunto, lungo una quindicina di righe. È stato consegnato nel primo pomeriggio di due giorni fa, a Villa San Martino, dalla compagna beneficiaria al notaio storico. Roveda, nel successivo atto, ricostruisce: «La signora Marta Fascina, alla presenza di testimoni, mi consegna una busta non sigillata recante la scritta “Ai miei figli” e la firma “S Berlusconi“». Nella busta si trova un foglio di carta intestata composto da due facciate «scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona» che, si specifica, la Fascina “ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare”».
Insomma: nei convulsi giorni dell’apertura dei primi due testamenti, Roveda va ad Arcore, dove Marta ha vissuto con Silvio. Sono le ultime disposizioni del Cavaliere, vergate all’improvviso. Quando vede la vita scivolargli via. Prevedibile quindi la generosità verso la quasi moglie, che non l’ha mai abbandonato durante la malattia. Scontato il gesto verso il devotissimo fratello. Meno scontata la riconoscenza per l’amico di sempre: l’unico indomito berlusconiano che ha davvero pagato, con una condanna di sette anni per concorso esterno, la pervicacia con cui i giudici hanno perseguitato il Cavaliere, i suoi amici e le sue aziende. «Quando stamattina mi ha chiamato il notaio, sono rimasto choccato dalla notizia», ammette Dell’Utri. «Non me lo aspettavo perché non mi doveva nulla. L’affetto rimaneva anche senza questo gesto materiale, che dimostra la grandezza dell’uomo». L’ex senatore di Forza Italia lo definisce un fratello: «Io ho dato tutto per lui e lui ha dato tutto per me», ricorda.
Rimarranno invece ai figli le proprietà immobiliari, come d’altronde emerge dal primo testamento: scritto nell’ottobre 2006, mentre l’ex premier era ancora sposato con Veronica Lario. Berlusconi lascia la «quota disponibile», ovvero il suo 20%, a Marina e Pier Silvio. Che insieme ora controllano il 53% di Fininvest. Così come il resto del patrimonio, tra cui le case e ville acquistate negli anni dall’ex presidente del Consiglio. Quasi tutte sono possedute dalla holding Dolcedrago. Pezzi unici e ragguardevoli: da Villa San Martino a Villa Campari sul lago di Como, da Villa Belvedere a Macherio a Villa Zeffirelli a Roma, dalla residenza alle Bahamas a quelle ad Antigua. Il gioiello della corona, però, è Villa Certosa in Costa Smeralda. Gli arabi, da anni, sono pronti a sborsare cifre indimenticabili. Si favoleggia dell’ultima offerta del figlio del re d’Arabia: mezzo miliardo di euro. Per adesso, nisba. Tutto rimane nelle salde mani dei cinque figli del Cavaliere.
Ai figli pure la fideiussione sui debiti di Fi
Nessuno scossone in Forza Italia dall’apertura del testamento di Silvio Berlusconi, almeno dal punto di vista strettamente finanziario. La fideiussione da 90 milioni di euro con la quale Berlusconi garantiva l’esposizione debitoria del partito, infatti, verrà presa in carico dai figli. Del resto, si ragiona in ambienti forzisti, i figli del Cav, a partire da Pier Silvio, hanno più volte manifestato la loro volontà di non lasciar disperdere il «lascito politico» del fondatore. «Si andrà avanti con il sostegno della famiglia», spiega alla Verità un big berlusconiano, «le parole dei figli sono state tranquillizzanti fin dal primo momento. Ora spetta a noi stringerci compatti e mettercela tutta per conseguire un bel risultato elettorale a partire dalle europee del prossimo anno». Sarà Antonio Tajani, come noto, a assumere il ruolo di leader del partito fino alle prossime Europee: il prossimo 15 luglio il Consiglio nazionale lo indicherà come reggente; poi, dopo il voto della prossima primavera, si terrà il congresso nazionale, il primo «vero» appuntamento assembleare di Forza Italia.
Curiosità, ovviamente, per quello che sarà il ruolo di Marta Fascina: la compagna di vita del presidente Berlusconi, che ha ricevuto un lascito di 100 milioni di euro, dalla scomparsa del Cav non si è più mostrata in pubblico. Nessuno è in grado di prevedere, al momento, se la famiglia di Berlusconi continuerà a considerarla come «tramite» con il partito. Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa del Cav, ricordiamolo, Tajani ha ufficializzato la nomina di Fabio Roscioli, storico avvocato di Berlusconi, come nuovo tesoriere al posto di Alfredo Messina.
Intanto, al di là delle vicende legate al testamento, Forza Italia guarda al futuro. A quanto apprende La Verità da fonti di primo piano, la strategia nel lungo periodo non esclude il ritorno nel partito di alcuni esponenti che sono usciti da Forza Italia recentemente. Riflettori accesi in particolare su Azione, la creatura politica di Carlo Calenda, che non riesce a crescere quanto i più ottimisti si aspettavano, e che è tra l’altro costantemente dilaniata dalla faida interna al Terzo polo. Non è sfuggito agli addetti ai lavori il tweet con il quale Mariastella Gelmini, ex forzista transitata in Azione, ha commentato il caso Santanchè: «Ho ascoltato l’informativa della ministra Daniela Santanché al Senato», ha twittato la Gelmini, «vedremo se le sue parole saranno confermate anche dai fatti. Ad oggi, a mio avviso, non ci sono mozioni di sfiducia che tengano. Sono e sarò garantista, anche in questo caso». Una linea diversa da quella dello stesso Calenda, che invece è andato all’attacco: «C’è una profonda differenza», ha scritto su Twitter il leader di Azione, «tra essere garantisti e sostenere che comportamenti gravemente inappropriati di un membro di governo debbano essere considerati irrilevanti fino a eventuale sentenza passata in giudicato. Non abbiamo chiesto le dimissioni della Santanchè fino a oggi», ha aggiunto Calenda, «abbiamo chiesto spiegazioni. Le spiegazioni date sono parziali, inesistenti o omissive. Ricordo che in questo caso si parla di mancato pagamento del Tfr, uso fraudolento della cassa integrazione, mancato pagamento di stipendi, mancata restituzione di fondi pubblici. Alla luce di quanto accaduto oggi in Senato, la ministra dovrebbe seriamente valutare di fare un passo indietro». Due linee molto diverse, apertamente in contrapposizione tra loro.
Grandi ritorni in vista? Sotto garanzia assoluta di anonimato, un big di Forza Italia nicchia: «Non ci sono ritorni in vista nell’immediato futuro», ci dice il nostro interlocutore, «ma è chiaro che se alla fine Calenda si appiattirà su Pd e M5s, molti che hanno sposato il suo progetto non potranno proseguire su questa strada. In quel caso non si tratterà di un singolo dissenso, ma si aprirà un processo molto più articolato, che potrebbe riportare in Forza Italia diversi esponenti politici di ispirazione moderata, liberale e garantista che si riconoscono nei valori del Partito popolare europeo».
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Coi testamenti lasciati 100 milioni anche al fratello Paolo. La lettera con cui vengono disposte le donazioni non cita Luigi: le sue quote dovrebbero essere escluse dal calcolo. Gli immobili in mano alla Dolcedrago.Niente scossoni in Forza Italia, che terrà il congresso dopo le Europee ed è pronto al rientro dei calendiani.Lo speciale contiene due articoli.«Tanto amore a tutti». E poi: solide aziende, favolose ville e strepitosi lasciti. Siano fatte le ultime volontà del Cavaliere. Dopo giorni di attese e illazioni, ecco svelato l’arcano: i testamenti di Silvio Berlusconi sono tre e sono stati depositati nello studio di Arrigo Roveda, taciturno notaio assurto a improvvisa notorietà. Il primo è del 2 ottobre 2006: l’ex premier lascia la sua quota di patrimonio «disponibile», dunque anche il controllo di Fininvest, ai primi due figli, Marina e Pier Silvio. Mentre il resto viene diviso tra i cinque eredi «in parti eguali». Ben 14 anni dopo, il 5 ottobre del 2020, vengono confermate le precedenti intenzioni, con l’aggiunta di un lascito di 100 milioni al fratello Paolo. Intendimento reiterato nell’ultimo testamento, vergato dal Cavaliere il 19 gennaio 2022. I giorni più difficili della sua vita. All’immortale Silvio è stata appena diagnosticata la leucemia. «Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue» scrive nella lettera ai figli, annunciando le sue ultimissime volontà. Segue un brevissimo elenco. Tre nomi. L’inseparabile fratello. La moglie putativa. L’amico perseguitato in suo nome. A Paolo Berlusconi, come già annunciato due anni prima, vengono lasciati 100 milioni. Altrettanti vanno a Marta Fascina. Altri 30 saranno elargiti a Marcello Dell’Utri. Tre postille a margine nella ripartizione dello sterminato impero, valutato 4 miliardi: «Per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me».Saranno i figli a farsi carico di queste donazioni. E tra le righe, si celano perfino due misteri. A Paolo, citato due volte, vanno 200 milioni o il Cavaliere ha voluto solo ribadire? È lo stesso Paolo a fugare ogni dubbio, «per evitare fraintendimenti»: il fratello, rivela, gli aveva anticipato in più occasioni l’intenzione di lasciargli quei 100 milioni. Ma è l’elenco iniziale a porre ulteriori interrogativi. Berlusconi, nella lettera, si rivolge ai quattro figli: «Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora». Non viene citato Luigi, il più piccolo. Dimenticanza o volontà? Qualora di trattasse di una precisa scelta, si tratterebbe di un favore all’ultimogenito, che sarebbe sollevato dall’incombenza verso i tre beneficiari. Insomma, i 230 milioni donati complessivamente a fratello, compagna e amico del Cavaliere verrebbero trattenuti dalle quote destinate ai quattro figli: dunque, quasi 58 milioni a testa. Comunque, scripta manent: Luigi non dovrebbe contribuire ad adempire agli ultimi desideri del padre, a meno di diversi accordi familiari. L’ultimo testamento, che si conclude con quel «tanto amore a tutti», è contenuto in una busta datata «Arcore 19 gennaio 2022» Dentro, c’è questo appunto, lungo una quindicina di righe. È stato consegnato nel primo pomeriggio di due giorni fa, a Villa San Martino, dalla compagna beneficiaria al notaio storico. Roveda, nel successivo atto, ricostruisce: «La signora Marta Fascina, alla presenza di testimoni, mi consegna una busta non sigillata recante la scritta “Ai miei figli” e la firma “S Berlusconi“». Nella busta si trova un foglio di carta intestata composto da due facciate «scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona» che, si specifica, la Fascina “ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare”».Insomma: nei convulsi giorni dell’apertura dei primi due testamenti, Roveda va ad Arcore, dove Marta ha vissuto con Silvio. Sono le ultime disposizioni del Cavaliere, vergate all’improvviso. Quando vede la vita scivolargli via. Prevedibile quindi la generosità verso la quasi moglie, che non l’ha mai abbandonato durante la malattia. Scontato il gesto verso il devotissimo fratello. Meno scontata la riconoscenza per l’amico di sempre: l’unico indomito berlusconiano che ha davvero pagato, con una condanna di sette anni per concorso esterno, la pervicacia con cui i giudici hanno perseguitato il Cavaliere, i suoi amici e le sue aziende. «Quando stamattina mi ha chiamato il notaio, sono rimasto choccato dalla notizia», ammette Dell’Utri. «Non me lo aspettavo perché non mi doveva nulla. L’affetto rimaneva anche senza questo gesto materiale, che dimostra la grandezza dell’uomo». L’ex senatore di Forza Italia lo definisce un fratello: «Io ho dato tutto per lui e lui ha dato tutto per me», ricorda.Rimarranno invece ai figli le proprietà immobiliari, come d’altronde emerge dal primo testamento: scritto nell’ottobre 2006, mentre l’ex premier era ancora sposato con Veronica Lario. Berlusconi lascia la «quota disponibile», ovvero il suo 20%, a Marina e Pier Silvio. Che insieme ora controllano il 53% di Fininvest. Così come il resto del patrimonio, tra cui le case e ville acquistate negli anni dall’ex presidente del Consiglio. Quasi tutte sono possedute dalla holding Dolcedrago. Pezzi unici e ragguardevoli: da Villa San Martino a Villa Campari sul lago di Como, da Villa Belvedere a Macherio a Villa Zeffirelli a Roma, dalla residenza alle Bahamas a quelle ad Antigua. Il gioiello della corona, però, è Villa Certosa in Costa Smeralda. Gli arabi, da anni, sono pronti a sborsare cifre indimenticabili. Si favoleggia dell’ultima offerta del figlio del re d’Arabia: mezzo miliardo di euro. Per adesso, nisba. Tutto rimane nelle salde mani dei cinque figli del Cavaliere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/testamento-berlusconi-ville-famiglia-2662245454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ai-figli-pure-la-fideiussione-sui-debiti-di-fi" data-post-id="2662245454" data-published-at="1688710031" data-use-pagination="False"> Ai figli pure la fideiussione sui debiti di Fi Nessuno scossone in Forza Italia dall’apertura del testamento di Silvio Berlusconi, almeno dal punto di vista strettamente finanziario. La fideiussione da 90 milioni di euro con la quale Berlusconi garantiva l’esposizione debitoria del partito, infatti, verrà presa in carico dai figli. Del resto, si ragiona in ambienti forzisti, i figli del Cav, a partire da Pier Silvio, hanno più volte manifestato la loro volontà di non lasciar disperdere il «lascito politico» del fondatore. «Si andrà avanti con il sostegno della famiglia», spiega alla Verità un big berlusconiano, «le parole dei figli sono state tranquillizzanti fin dal primo momento. Ora spetta a noi stringerci compatti e mettercela tutta per conseguire un bel risultato elettorale a partire dalle europee del prossimo anno». Sarà Antonio Tajani, come noto, a assumere il ruolo di leader del partito fino alle prossime Europee: il prossimo 15 luglio il Consiglio nazionale lo indicherà come reggente; poi, dopo il voto della prossima primavera, si terrà il congresso nazionale, il primo «vero» appuntamento assembleare di Forza Italia. Curiosità, ovviamente, per quello che sarà il ruolo di Marta Fascina: la compagna di vita del presidente Berlusconi, che ha ricevuto un lascito di 100 milioni di euro, dalla scomparsa del Cav non si è più mostrata in pubblico. Nessuno è in grado di prevedere, al momento, se la famiglia di Berlusconi continuerà a considerarla come «tramite» con il partito. Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa del Cav, ricordiamolo, Tajani ha ufficializzato la nomina di Fabio Roscioli, storico avvocato di Berlusconi, come nuovo tesoriere al posto di Alfredo Messina. Intanto, al di là delle vicende legate al testamento, Forza Italia guarda al futuro. A quanto apprende La Verità da fonti di primo piano, la strategia nel lungo periodo non esclude il ritorno nel partito di alcuni esponenti che sono usciti da Forza Italia recentemente. Riflettori accesi in particolare su Azione, la creatura politica di Carlo Calenda, che non riesce a crescere quanto i più ottimisti si aspettavano, e che è tra l’altro costantemente dilaniata dalla faida interna al Terzo polo. Non è sfuggito agli addetti ai lavori il tweet con il quale Mariastella Gelmini, ex forzista transitata in Azione, ha commentato il caso Santanchè: «Ho ascoltato l’informativa della ministra Daniela Santanché al Senato», ha twittato la Gelmini, «vedremo se le sue parole saranno confermate anche dai fatti. Ad oggi, a mio avviso, non ci sono mozioni di sfiducia che tengano. Sono e sarò garantista, anche in questo caso». Una linea diversa da quella dello stesso Calenda, che invece è andato all’attacco: «C’è una profonda differenza», ha scritto su Twitter il leader di Azione, «tra essere garantisti e sostenere che comportamenti gravemente inappropriati di un membro di governo debbano essere considerati irrilevanti fino a eventuale sentenza passata in giudicato. Non abbiamo chiesto le dimissioni della Santanchè fino a oggi», ha aggiunto Calenda, «abbiamo chiesto spiegazioni. Le spiegazioni date sono parziali, inesistenti o omissive. Ricordo che in questo caso si parla di mancato pagamento del Tfr, uso fraudolento della cassa integrazione, mancato pagamento di stipendi, mancata restituzione di fondi pubblici. Alla luce di quanto accaduto oggi in Senato, la ministra dovrebbe seriamente valutare di fare un passo indietro». Due linee molto diverse, apertamente in contrapposizione tra loro. Grandi ritorni in vista? Sotto garanzia assoluta di anonimato, un big di Forza Italia nicchia: «Non ci sono ritorni in vista nell’immediato futuro», ci dice il nostro interlocutore, «ma è chiaro che se alla fine Calenda si appiattirà su Pd e M5s, molti che hanno sposato il suo progetto non potranno proseguire su questa strada. In quel caso non si tratterà di un singolo dissenso, ma si aprirà un processo molto più articolato, che potrebbe riportare in Forza Italia diversi esponenti politici di ispirazione moderata, liberale e garantista che si riconoscono nei valori del Partito popolare europeo».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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