2019-12-25
Terroristi, mafiosi e pure Tulliani: dovevano tornare ma sono ancora latitanti
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Negli ultimi 12 mesi si è discusso a lungo di estradizione per i tanti protagonisti degli anni di piombo, ma Alessio Casimirri ha ancora il suo ristorante a Managua. Nonostante il trattato bilaterale con gli Emirati arabi Uniti, il cognato di Gianfranco Fini passerà il giorno di Natale a Dubai. Così come è ancora irreperibile Rocco Morabito, boss della 'Ndrangheta, fuggito alla fine di giugno di quest'anno dal carcere di massima sicurezza di Montevideo. L'anno scorso terroristi degli anni Settanta, cognati di politici e mafiosi dovevano essere estradati in pompa magna dai paesi all'estero in si sono rifugiati. A 365 giorni di distanza non è cambiato nulla. Intoppi burocratici, difficoltà diplomatiche con i paesi arabi, una fuga da un carcere di massima sicurezza in Uruguay e il solito boss dei boss Matteo Messina Denaro impossibile da reperire, sono tutti argomenti di cui si parlerà ancora il prossimo anno. Così per la terza volta di fila Giancarlo Tulliani passerà il Natale a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Il cognato dell'ex leader di An, Gianfranco Fini, fuggì dall'Italia nel febbraio del 2017 quando le inchieste sulla casa di Montecarlo iniziavano a diventare sempre più pressanti nei confronti della famiglia dell'ex presidente della Camera dei deputati. L'anno scorso i magistrati romani avevano visto uno spiraglio di luce. L'Italia aveva infatti sottoscritto un nuovo trattato bilaterale di estradizione con Dubai. Nel dicembre 2018 si dava quasi per scontato che Tulliani, accusato di riciclaggio internazionale, sarebbe stato arrestato e riportato in fretta e furia a Roma. Alcuni quotidiani titolavano: «La pacchia è finita». Non è accaduto nulla di tutto questo. 12 mesi sono passati senza particolari intoppi. E adesso, come anticipato dal Tempo, è stato spiccato un nuovo mandato d'arresto. «Non c'è nessuna nuova ordinanza di custodia cautelare», ha però spiegato Alessandro Diddi, legale di Tulliani all'Adnkronos. «Semplicemente la Procura di Roma sta cercando di convincere le autorità di Dubai a dare il via libera all'estradizione. Questo dimostra la fondatezza della nostra posizione – prosegue - infatti gli Emirati Arabi avevano già respinto una prima richiesta della procura per mancanza dei presupposti. Ci attendiamo quindi una nuova conferma della decisione». Tulliani è solo uno dei tanti ricercati all'estero. Oltre ai «neri» della strage di piazza Fontana a Milano, tutti appartenenti a Ordine Nuovo, tra cui Delfo Zorzi, da anni in Giappone, ci sono i «rossi». Quando Matteo Salvini era ministro dell'Interno aveva chiesto alla Francia l'estradizione di almeno 15 terroristi di destra e di sinistra. Anche qui la situazione non è cambiata. Le trattative sono in corso, ma di fondo non si muove nulla. In totale sono circa 40 i latitanti per terrorismo in terra transalpina. Sono tutti protetti dalla dottrina dell'ex presidente francese Francois Mitterand, quando si stabilì agli inizi degli anni 80 che la Francia avrebbe valutato «la possibilità di non estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili nel caso di richieste avanzate da Paesi il cui sistema giudiziario non corrisponda all'idea che Parigi ha delle libertà». I nomi dei 15 richiesti da Salvini sono questi: Giorgio Pietrostefani, Enrico Villimburgo, Sergio Tornaghi, Narciso Manenti, Raffaele Ventura, Giovanni Alimonti, Ermenegildo Marinelli, Luigi Bergamin, Roberta Cappelli, Enzo Calvitti, Paolo Ceriani Sebregondi, Maurizio Di Marzio, Gino Giunti. Che dire poi di Alessio Casimirri, nome di battaglia Camillo. Lasciò l'Italia poco tempo dopo il sequestro di Aldo Moro. Si è stabilito in Nicaragua tra il 1982 e il 1983 sotto il regime sandinista per poi diventare cittadino del Paese centroamericano il 10 ottobre del 1988. Condannato all'ergastolo per il rapimento e la morte dello statista Dc e l'uccisione degli uomini della scorta nell'agguato di via Fani e per altri fatti di sangue, ha aperto un ristorante Gastronomia El Buzo a Managua. Anche lui quest'anno era tra le prede importanti da riportare in Italia: è ancora là. A novembre il ministero dell'Interno ha poi pubblicato la lista dei più pericolosi latitanti italiani. C'è Messina Denaro, detto in siciliano «u siccu», «il magro». Nato a Castelvetrano nel '62, è irreperibile dal '93, l'anno delle bombe a Milano, Firenze e Roma, dopo una vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano: è ricercato in campo internazionale, spiega la scheda della Direzione centrale della Polizia criminale - per «associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro». C'è poi Giovanni Motisi, «u pacchiuni», «il grasso», 59 anni, palermitano doc, ricercato dal '98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage: quattro anni fa è finito anche nella lista dei criminali più ricercati dall'Europol. Ha l'ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Latitante è poi Rocco Morabito, 53 anni, "primula rossa" della 'ndrangheta dopo la clamorosa evasione dell'estate scorsa dal carcere di Montevideo. Parente di Giuseppe, detto ù tiradrittu, e affiliato a una delle più potenti 'ndrine della Locride. Dopo essere stato condannato a 30 anni per associazione di tipo mafioso e traffico di droga, dal '95 finisce nell'elenco dei latitanti pericolosi. Quando nel settembre del 2017 la polizia arriva al suo indirizzo di Punta del Este in Argentina, dove si fa chiamare «Souza», il suo esilio dorato tra ville con piscina, resort e auto di lusso sembra arrivato al termine ma le procedure per l'estradizione vanno per le lunghe e il 24 giugno scorso Morabito, con altri tre detenuti, esce da un'apertura nel tetto dell'infermeria del carcere "Central" di Montevideo. Chi è fuggito con lui è stato ritrovato, lui è ancora in fuga.Altro ricercato eccellente è il boss della camorra napoletana Renato Cinquegranella, classe 1949, ma di lui si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro. Il suo nome compare nelle cronache di uno degli omicidi che più ha scosso Napoli, il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, il 15 luglio 1982 per mano delle Brigate Rosse. L'episodio confermò l'esistenza di un patto scellerato tra le Brigate Rosse e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito. Infine Attilio Cubeddu, l'"ultimo bandito" di Ogliastra non ci sono più tracce da tempo, c'è chi sostiene sia morte, forse ucciso. Nato nel 1947 ad Arzana, in provincia di Nuoro, fu arrestato nell'aprile dell"84 a Riccione e condannato a 30 anni,. È ricercato in campo internazionale, lui come tutti gli altri. E si cercano i vivi, non i morti.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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