2023-01-30
«Terremoto, per colpa del Pd ricostruzione all’anno zero»
Il neo commissario Guido Castelli: «La sostituzione di Legnini non è spoils system ma una scelta fiduciaria. La situazione è drammatica, in sei anni eseguito appena il 12% dei lavori».Per il settimo inverno sotto un metro di neve: è il popolo delle Sae, fantasmi in carne e ossa reclusi in un cratere immenso di macerie dove si sente l’eco di vane promesse. È il popolo del terremoto del 2016. È tornato a far parlare di sé perché il Pd ha gridato alla lesa competenza quando Giorgia Meloni ha deciso di dare il benservito a Giovanni Legnini come commissario straordinario alla ricostruzione sostituendolo con Guido Castelli fresco senatore di Fratelli d’Italia, sindaco di Ascoli Piceno quando la terrà tremò, poi assessore regionale delle Marche al bilancio e alla ricostruzione. Legnini, avvocato abruzzese già vicepresidente del Csm in corrispondenza con Luca Palamara, era stato battuto alle regionali del 2019. Gli abruzzesi scelsero Marco Marsilio e come risarcimento a Legnini hanno dato la ricostruzione che il Pd ha sempre considerato cosa sua. Ha nominato prima Vasco Errani, poi Paola De Micheli infine Legnini a occuparsi della non ricostruzione. Ma ora tocca a Guido Castelli.Dica la verità: si sente l’artefice dello spoils system in «danno» del Pd e di Legnini?«Dico la verità: no! E per un motivo elementare: la sostituzione di Legnini, al quale va il mio ringraziamento per il tanto lavoro che ha svolto, non è frutto dello spoils system, che peraltro è stato codificato, con tanto di legge, proprio dal Pd. Semplicemente il mandato del commissario era scaduto e il governo ha nominato una persona di propria fiducia. Nello svolgimento dell’incarico commissariale il rapporto fiduciario è tutto: per ottenere buoni risultati devi avere il sostegno del governo».Eppure i sindacati che fino al giorno prima denunciavano lavoro nero nei cantieri, i sindaci e i consiglieri regionali del Pd hanno gridato allo scandalo. Hanno anche chiesto le sue dimissioni da senatore: nessuno le chiese a suo tempo per Paola De Micheli.«Ogni partito può dire ciò che ritiene opportuno, ma credo che in realtà si pensasse a una proroga dell’incarico di Legnini per poi passare tutto ai sindaci; insomma per liquidare la fase commissariale. Sarebbe stato un errore madornale: c’è ancora troppo, direi quasi tutto, da fare. Servono interventi urgenti e speciali. Giorgia Meloni, lo ha testimoniato fin dal suo discorso d’insediamento citando espressamente l’emergenza ricostruzione, vuole accelerare e ho motivo di ritenere che il governo non farà mancare il necessario appoggio».Ma come c’è quasi tutto da fare? Sembrava che Legnini avesse rivoluzionato il mondo! Qual è davvero la situazione?«Ripeto: Legnini ha fatto un buon lavoro, ma soprattutto sul piano giuridico. Il testo unico è un deciso passo avanti per chiarire le procedure anche se restano delle norme da aggiustare. Ma ora bisogna passare ai fatti, ai cantieri. Siamo di fatto all’anno zero. La situazione è oggettivamente critica: possiamo dire che siamo al 12% della ricostruzione complessiva, nel settore delle strutture pubbliche siamo molto indietro e anche nel residenziale si sono fatte scelte non del tutto coerenti».Se in sei anni si è fatto il 12% vuol dire che per ricostruire tutto dov’era e com’era - fu la promessa di Matteo Renzi che disse agli sfollati «entro Natale vi sistemeremo» - ci vuole mezzo secolo. Com’è possibile?«Hanno sbagliato all’inizio. Quando Renzi nominò Vasco Errani aveva in testa il modello di ricostruzione dell’Emilia, errore che fu reiterato con Paola De Micheli. Ricostruire in Appennino non è come lavorare in pianura Padana, avere a che fare con borghi medievali di meno di mille anime non è come lavorare in città, ricucire il tessuto economico fatto di stalle, di campi, di artigianato, di turismo non è come rimettere in piedi zone industriali. A tutto questo va aggiunta la produzione contraddittoria, elefantiaca, farraginosa di norme che hanno ingessato tutto. Legnini ha disboscato la giungla normativa, ma ora bisogna lavorare. E ricostruire tutto dov’era e com’era e poco più che uno slogan».Questo è l’ultimo inverno delle casette di cartone che si stanno disfacendo e per cui chi le ha costruite, ad esempio il Consorzio Arcale, è sotto processo?«Si farà di tutto perché ciò accada. La priorità è per me la prima casa: devo ridare la casa a chi abitava nel cratere e far tornare chi se n’è andato. Va ridata dignità di vita a queste persone e non si può continuare a spendere soldi per le soluzioni abitative d’emergenza, per i contributi abitativi».Cos’altro ancora?«Ci sono altre due azioni improcrastinabili: riaprire gli edifici pubblici perché si deve sentire la presenza delle istituzioni, dando ovviamente la priorità a scuole e ospedali, e vanno ricostituite le comunità offrendo lavoro, portando imprese, costruendo possibilità di sviluppo. Non serve a nulla la ricostruzione degli edifici se non si ricostruisce il tessuto economico sociale. Che nelle zone del cratere è fatto di agricoltura, di turismo, di artigianato, ma anche d’innovazione. Abbiamo messo già in campo l’infrastrutturazione tecnologica al massimo livello di efficienza e ci sono imprese che vogliono investire in queste zone. Dobbiamo favorirle. Ma io ho l’ambizione di far diventare la ricostruzione del Centro Italia il master plan per affrontare la drammatica crisi dello spopolamento delle zone interne che riguarda tutta Italia».Facendo quali interventi? Si era parlato della zona franca fiscale…«Partendo prima di tutto dal contrasto alla denatalità. In Italia siamo sotto i 400.000 nati, così il Paese muore. Nelle zone del cratere, ma in generale nei territori marginali, la popolazione è sempre più anziana. Ne ho parlato con il ministro Eugenia Roccella e si faranno interventi per favorire la natalità, la famiglia, la residenzialità nelle aree interne».Progetti?«Uno di quelli che ho in mente è il cohousing per mettere giovani e anziani in comunità. Gli anziani vanno lasciati nelle loro case, non si può pensare alla Rsa come soluzione. Soprattutto nei borghi dell’Appennino. Dobbiamo cambiare l’approccio all’assistenza, mi viene da dire che ricostituire i legami di solidarietà che da sempre c’erano in quei paesi è il miglior modo per affrontare il sostegno agli anziani. Questo, oltre ae essere sostenibile, ci consentirebbe di non dover ricostruire tutto».Per le imprese?«Ci sono piani di insediamento produttivo a fiscalità molto agevolata. Che va al di là dell’intervento tampone pur doveroso e indispensabile che è stato sospendere le rate dei mutui e il pagamento di tasse che, come l’Imu sui ruderi, avevano anche qualcosa di offensivo. Con il ministro Raffele Fitto stiamo approntando anche nell’ambito del Pnrr misure per favorire l’investimento produttivo nelle zone del cratere. Qui si tratta di far rinascere le comunità e i territori». Ma è vero che ci sono persone che hanno rinunciato a ricostruire fiaccate dall’attesa?«È vero che ci sono molte situazioni dubbie, di proprietà incerte, di persone che rinunciano perché la casa andata distrutta è magari una terza casa. Dobbiamo evitare di fare interventi random; bisogna avere priorità: le prime case, gli edifici pubblici e gli insediamenti produttivi, gli edifici che hanno avuto danni gravi e su cui non si è fatto ancora nulla, poi le seconde case. E c’è la priorità delle priorità che non è mai stata né affermata né rispettata: bisogna subito lavorare nei borghi più colpiti. Non si può dire che, siccome ad Amatrice o a Camerino o a Castel Sant’Angelo sul Nera, o a Visso o ad Arquata o a Ussita i danni sono ingenti, si deve prendere più tempo. Lì si è perso tempo. Ora va ribaltata la priorità».Però chi è rimasto nel cratere dice che i cantieri non partono, che è tutto fermo. È così?«C’è stato un brusco stop dovuto al 110%. Le imprese se ne sono andate dal cratere, così i tecnici. Il 110 ha fatto una concorrenza insostenibile alla ricostruzione. Stiamo facendo un intervento per cui le spese in accollo - cioè quelle che vanno oltre il contributo dello Stato per chi ricostruisce - vengono finanziate con il 110. Questo dovrebbe rendere appetibile la riapertura dei cantieri. E però c’è un problema di rarefazione delle ditte. Molte non hanno retto: hanno il cassetto fiscale pieno di detrazioni, ma non hanno liquidità per andare avanti perché le banche non scontano più il credito fiscale. È un problema serio. E serissimo sarà il problema che pone l’Ue con le case green. È ovvio che gli interventi ex novo che facciamo sono tutti orientati alla massima efficienza, ma non vorrei che ci fosse un fenomeno bis del 110, cioè che le ditte scappano dal cratere per fare lavori più lucrosi sugli adeguamenti energetici. Come molto seria era la carenza di personale. Per questo ho chiesto e ottenuto che nel decreto di nomina ci sia la stabilizzazione dei tecnici degli uffici ricostruzione. Hanno competenze che non potevano essere disperse».La stima dei danni è arrivata a 28 miliardi, ma i soldi ci sono?«Sì, i soldi ci sono, bisogna spenderli bene e non solo per ricostruire. C’è già un fondo per 1,7 miliardi per lo sviluppo dell’Appennino».Un’ultima cosa: c’è rimasto un po’ male quando pareva che al posto di Legnini l’intoccabile avessero nominato solo un fedelissimo della Meloni?«No, perché non me ne curo. So solo che il 24 agosto 2016 alle 3,36 ad Arquata del Tronto c’ero io a firmare i certificati di morte, a cercare di soccorrere la gente. Come sindaco di Ascoli ero andato a sostenere quella popolazione che si può dire sta alla periferia della mia città. Come sindaco ho seguito tutto l’iter della ricostruzione, da assessore regionale con delega specifica facevo già parte della cabina di coordinamento. Quando Legnini mi ha passato il volante sapevo perfettamente come guidare e so anche quale strada prendere: essere lo speaker delle esigenze dei terremotati presso il governo».