2022-04-13
Tensione per il lockdown di Shanghai. I diplomatici americani se ne vanno
Ancora in atto la draconiana chiusura della metropoli, ma i casi rimangono elevati. Gli Usa ordinano allo staff del consolato di andarsene. Pechino: «Usano il virus per diffamarci». Silenzio dai nostri ultrà delle serrate.«Il Partito comunista della Cina è buono». Sui sacchetti con latte e verdura distribuiti ai cittadini murati vivi per il lockdown, il governo di Pechino ha affisso un’etichetta propagandistica bianca e rossa. Se il governo vi tiene incarcerati in casa da due settimane, senza cibo né acqua, è per il vostro bene. Omicron, del resto, incombe. «Com’è umano lei» sibilerebbe il ragionier Fantozzi. Già: in assenza di ufficiali e roboanti prese di posizioni, l’accondiscendenza del ragioniere impera. I nostri valorosi e illustri virologhi devono essersi convinti che a Shanghai e dintorni le cose non vadano poi malaccio, tuttavia non sembrano nemmeno celebrare i metodi estremi che hanno sempre cercato di imporci. La capitale finanziaria della Cina, 26 milioni di abitanti, è infatti sigillata dallo scorso 28 marzo. Intanto, 200 milioni di malcapitati vivono più o meno come sorci ai domiciliari. La stessa «spaventosa fine» che auspicava il professor Roberto Burioni per gli sventurati che avevano scelto di non vaccinarsi. Nella maestosa Cina hanno fatto le cose in grande: tutti inchiavardati nei loro appartamentini, fino a nuovo ed eventuale ordine. Adesso tocca a Guangzhou. Ben ventisette positivi, di cui nove asintomatici, convincono la chiusura a doppia mandata di una città con 18 milioni di abitanti. Intanto, a Shanghai, si vedono scene apocalittiche: droni che seguono fino a casa, bambini separati dai genitori, animali uccisi in cortile, sigilli alle porte dei positivi, guardie negli androni, megafoni in strada per invitare al tampone. Anche la Cina è in guerra. E la battaglia non è meno folle di quella in Ucraina. Il nemico è l’ennesima variante. Che l’esercito sanitario combatte in nome dell’irraggiungibile mantra dei «contagi zero». Tamponi a tappeto e isolamento di intere metropoli per qualche caso. Doveva essere una chiusura lampo, fino al 4 aprile. Invece, a Shanghai i casi continuano a salire: 21.222 l’ultimo dato, per 130.000 positivi dall’inizio di marzo. Sono quasi sempre asintomatici. Poco importa: l’inezia diventa insopportabile enormità. Tutti rinchiusi in strutture stracolme e disorganizzate. Ma nel Paese si cominciano a vedere inusitate scene di caos e tensione. La rabbia cresce. Xi Jinping è in difficoltà. Per due anni, il presidente ha ripetuto che isolare la Cina era la medicina migliore. Ma adesso è vittima della sua impossibile e ideologica strategia. Gli Stati Uniti infieriscono. Hanno già ordinato al personale diplomatico di lasciare Shanghai. Pechino si oppone: «È una politicizzazione e una strumentalizzazione della questione. Gli Usa dovrebbero smettere immediatamente di usare l’epidemia per diffamare la Cina». Già, come si permettono di attaccare questa strepitosa politica anti Covid? Comunque sia: le indirette e sacrosante critiche degli americani non hanno seguito nel mondo occidentale. A partire dall’Italia. Non s’ode un fiato. Non s’alza un ditino. Non s’inarca un sopracciglio. Nemmeno uno di quei «beh» mai negati a nessuno. Eppure, sacrosantamente, tutti s’indignano per le privazioni della libertà in Russia: la soffocante e distorta propaganda di Mosca. In Cina, al contrario, si può far crepare di fame la gente in casa perseguendo una chimerica ossessione. Resta in ossequioso silenzio anche la categoria più loquace del tempo: i virologi. In particolare gli ultrà del lockdown. Quelli che, alla minima avvisaglia, scatenavano funeste profezie. Sarà che di fronte alle distopiche immagini e agli inumani racconti dei domiciliari cinesi, non trovano più così conveniente auspicare ancora lockdown e zone rosse selettive per arginare i contagi. Il professor Massimo Galli, che auspicava lo scorso dicembre un altro lockdown «per salvare il Natale», non ha nulla da dichiarare di fronte al coprifuoco cinese? E a Fabrizio Pregliasco, altra acclamata virostar, un altro che evocava dopo le feste un bel «lockdown selettivo», non si emoziona guardando quell’esercito di tute bianche che sembrano aver militarizzato Shanghai? Per non parlare dell’inarrivabile Gualtiero Ricciardi in arte Walter, inarrestabile consulente del ministro della Salute, Roberto Speranza.Mister lockdown stavolta si astiene. Già a giugno 2020 però spiegava: «Bisogna fare come la Cina, che ha riaperto la scuola in un Paese di un miliardo e 700 milioni di abitanti e non ha avuto un caso». Quella per il Dragone è però un’incrollabile stima reiterata nel tempo. Anche lo scorso gennaio, le parole di Ricciardi grondavano ammirazione: «Bisognerebbe fare i tamponi alla stragrande maggioranza degli italiani. Se ne uscirebbe in otto giorni. È un’operazione che tutti dicono sia impossibile, ma i cinesi per un caso testano dieci milioni di persone». Loro sì: restano un fulgido esempio da seguire. Già. «Il Partito comunista della Cina è buono». Quasi quasi, si potrebbe stampigliare su una magliettina da esibire in televisione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)