True
2025-07-04
Putin a Trump: sì al negoziato, ma... E Zelensky prova a rifugiarsi nell’Ue
Donald Trump e Vladimir Putin (ansa)
Mentre Donald Trump e Vladimir Putin si parlano e a Kiev le forniture americane restano sospese, in Europa si percepisce che l’adesione dell’Ucraina alla Nato non è più un’opzione concreta - verosimilmente non lo è mai stata - e si guarda ormai a Bruxelles come all’unica via percorribile per il futuro della naziona ucraina. O meglio, per il pezzo che resterà una volta terminato il conflitto.
Proprio ieri, infatti, nel pieno della crisi dei rifornimenti militari americani a Kiev, con le forniture bloccate da mercoledì e una serie di raid russi che continuano a colpire le città ucraine, il tycoon e lo zar si sono sentiti al telefono per circa un’ora. Putin ha confermato a Trump la disponibilità di Mosca a proseguire il processo di negoziazione con l’Ucraina, pur mantenendo la volontà di non arretrare sui suoi obiettivi. Secondo quanto riferito ai giornalisti in un briefing dal consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, i due leader non avrebbero però affrontato il tema dello stop alla fornitura delle armi deciso dal Pentagono. Il Dipartimento della difesa statunitense aveva giustificato questa scelta, attraverso le parole del portavoce Sean Parnell, come una revisione delle scorte americane, in linea con la priorità alla difesa nazionale e con l’agenda «America first» dettata da Trump. Le armi statunitensi - bloccate in Polonia - includono missili aria-terra Hellfire, oltre 90 missili aria-aria Aim, più di due dozzine di missili Patriot Pac-3 e altrettanti sistemi di difesa aerea Stinger. Sul fronte opposto, Mosca rivendica progressi militari e tecnologici: lo stesso Putin ha dichiarato di essere «a una svolta nello sviluppo dei sistemi senza pilota», mentre il portavoce Dmitry Peskov ha ribadito che «meno armi riceverà Kiev, prima finirà la guerra». Dalla Danimarca, intanto, Volodymyr Zelensky e i vertici europei provano ad accelerare il processo di adesione di Kiev all’Unione. Nella conferenza stampa tenutasi ad Aarhus, insieme al premier danese, Mette Frederiksen, al presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, e alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il leader ucraino ha rilanciato: «L’Ucraina ha già fatto tutto ciò che era richiesto per avviare i negoziati di adesione. È tempo di aprire i cluster». Parole accolte dalla Von der Leyen, che ha esortato gli Stati membri a utilizzare lo strumento Safe - 150 miliardi di euro di prestiti congiunti - per acquistare equipaggiamenti militari da fornire a Kiev e per investire nell’industria bellica ucraina. Ha inoltre annunciato che il primo risultato della presidenza di turno danese del Consiglio Ue sarà il varo del diciottesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Se Frederiksen ha promesso che farà di tutto per aiutare l’Ucraina nel suo percorso verso l’Ue, Costa ha ribadito l’impegno a procedere senza indugi nonostante il veto dell’Ungheria: «Sull’adesione dell’Ucraina all’Ue non dobbiamo perdere tempo. Kiev sta facendo le riforme e invito la Commissione e l’Ucraina a continuare il lavoro. Quando saremo in grado di ottenere l’approvazione, andremo avanti».
Tuttavia, Zelensky, che ha commentato il colloquio telefonico tra Trump e Putin affermando di «non essere sicuro che i due abbiano molte idee e argomenti comuni da trattare in quanto sono persone diverse; ma se si parla di Ucraina, noi sosteniamo l’idea di un cessate il fuoco incondizionato», ha sottolineato di contare «sul continuo sostegno degli Stati Uniti, perché «hanno mezzi che l’Europa non ha, come i Patriot». Inoltre, Zelensky ha confermato che oggi parlerà con Trump per chiarire i dettagli del sostegno, «compresa la difesa aerea», e discutere delle conseguenze della decisione presa dal Pentagono. «In un modo o nell’altro dobbiamo garantire la protezione del nostro popolo» ha ribadito il presidente ucraino, annunciando di aver stipulato un accordo con l’azienda americana Swift Beat per la produzione congiunta di droni in Ucraina, compresi intercettori e droni d’attacco.
Sul campo intanto la guerra continua: raid russi su Odessa, Poltava e Kiev hanno causato almeno quattro morti, tra cui due bambini a Odessa avvelenati dai fumi di un incendio. Mosca ha colpito porti, abitazioni e aeroporti, rivendicando la distruzione di infrastrutture a Odessa e Poltava, e ha annunciato di aver abbattuto in un solo giorno 70 droni ucraini lanciati contro il proprio territorio, la maggior parte su Belgorod, Voronezh e Kursk. Secondo il ministero della Difesa ucraino, solo a giugno la Russia avrebbe lanciato oltre 5.000 droni e centinaia di missili, inclusi quasi 80 balistici, intensificando la pressione sul fronte e sulle città ucraine. Il ministero della Difesa russo rivendica inoltre la conquista di Melovoye, nella regione di Kharkiv, e Razino, nel Donetsk. Kiev ha risposto con attacchi in profondità in Russia, colpendo una struttura tecnica nella repubblica di Udmurtia, un’abitazione nella regione di Lipetsk - dove una donna è rimasta uccisa - e una fabbrica di velivoli e difese aeree a Izhevsk due giorni prima. Le perdite colpiscono anche figure di rilievo: a Lugansk è stato ucciso in un attentato l’ex sindaco Manolis Pilavov, mentre a Kursk un attacco ucraino ha provocato la morte di Mikhail Gudkov, vicecapo della Marina russa, insieme ad altri ufficiali.
Rapporto della Cia inguaia Obama
«La revisione delle tecniche di analisi ha individuato molteplici anomalie procedurali nella preparazione della valutazione d’intelligence del 2016, tra cui tempistiche ristrette, accesso non uniforme a informazioni compartimentate, marginalizzazione del National intelligence council e coinvolgimento eccessivo dei vertici di agenzia», ha reso noto la Cia. «La tempistica estremamente ridotta era atipica per una valutazione formale della comunità d’intelligence, la cui preparazione normalmente può richiedere mesi, soprattutto per valutazioni di tale lunghezza, complessità e sensibilità politica», si legge nel rapporto di Ratcliffe. Effettivamente la valutazione, approntata per il 30 dicembre, era stata ordinata il 6 dello stesso mese da Obama a James Clapper, il direttore dell’intelligence nazionale da lui nominato nel 2010. Inoltre, come accennato, Ratcliffe ha sottolineato un significativo coinvolgimento di altissimi funzionari: un coinvolgimento insolito per quel tipo di analisi. «Sebbene i responsabili delle agenzie a volte rivedano valutazioni analitiche controverse prima della pubblicazione, il loro coinvolgimento diretto nello sviluppo della valutazione d’intelligence è stato estremamente insolito sia per portata che per intensità. Questo livello eccezionale di coinvolgimento dei dirigenti ha probabilmente influenzato i partecipanti, alterato i normali processi di revisione e, in definitiva, compromesso il rigore analitico», recita il rapporto di Ratcliffe, ventilando quindi l’ipotesi di pressioni dall’alto. «Fin dall’inizio, i vertici dell’agenzia hanno scelto di emarginare il National intelligence council discostandosi significativamente dalle procedure standard per le valutazioni formali della comunità d’intelligence», si legge ancora.
Non solo. Ratcliffe ha anche sottolineato che l’allora direttore della Cia, John Brennan, effettuò pressioni affinché nella valutazione del 2016 fosse inserito il dossier dell’ex spia britannica, Christopher Steele: un documento, secondo cui Trump sarebbe stato sotto ricatto di Putin. Peccato che il suo contenuto si sia rivelato infondato e che, nel 2017, sia emerso che quel dossier era stato in parte finanziato dalla campagna della Clinton. L’aspetto interessante risiede anche nel fatto che, secondo Ratcliffe, il 29 dicembre 2016 un funzionario della Cia inviò un’email a Brennan, sostenendo che l’inclusione del dossier di Steele avrebbe messo a rischio la «credibilità dell’intero documento». Già all’epoca, sul dossier dell’ex spia britannica circolavano infatti dei dubbi. Ciononostante, Brennan, messo a capo della Cia da Obama nel 2013, impose de facto che un sunto di quel controverso incartamento fosse allegato alla valutazione d’intelligence. Non solo. «Mentre i funzionari coinvolti nella stesura della valutazione hanno costantemente affermato di non essersi sentiti pressati a raggiungere conclusioni specifiche, la segnalazione prematura di Brennan secondo cui i vertici dell’agenzia avevano già raggiunto un consenso prima ancora che la valutazione fosse anche solo coordinata rischiava di soffocare il dibattito analitico», ha ravvisato inoltre Ratcliffe. Vale a tal proposito ricordare che lo stesso procuratore speciale, Robert Mueller, pur denunciando interferenze russe contro la Clinton, non rinvenne prove, nel suo rapporto consegnato nel 2019, di un coordinamento tra il team elettorale di Trump e il Cremlino. Certo, è vero che un report bipartisan del Senato Usa, pubblicato nel 2020, confermò le conclusioni della valutazione d’intelligence del 2016. Tuttavia le anomalie rinvenute da Ratcliffe e l’iperattivismo di Brennan fanno riflettere. Il dubbio che Obama abbia voluto provare a «minare» il percorso della prima amministrazione Trump onestamente viene.
Continua a leggere
Riduci
Un’ora di colloquio telefonico Cremlino-Casa Bianca. Lo zar apre al dialogo («Anche sull’Iran») e chiarisce: non rinunciamo ai nostri obiettivi. Kiev preme per aderire all’Unione, Ursula von der Leyen spara: vi difendiamo noi.Clamoroso documento di John Ratcliffe sul «Russiagate»: pressioni anomale sui servizi dall’amministrazione dem per «pompare» i sospetti sui legami tra Donald Trump e Mosca.Lo speciale contiene due articoliMentre Donald Trump e Vladimir Putin si parlano e a Kiev le forniture americane restano sospese, in Europa si percepisce che l’adesione dell’Ucraina alla Nato non è più un’opzione concreta - verosimilmente non lo è mai stata - e si guarda ormai a Bruxelles come all’unica via percorribile per il futuro della naziona ucraina. O meglio, per il pezzo che resterà una volta terminato il conflitto.Proprio ieri, infatti, nel pieno della crisi dei rifornimenti militari americani a Kiev, con le forniture bloccate da mercoledì e una serie di raid russi che continuano a colpire le città ucraine, il tycoon e lo zar si sono sentiti al telefono per circa un’ora. Putin ha confermato a Trump la disponibilità di Mosca a proseguire il processo di negoziazione con l’Ucraina, pur mantenendo la volontà di non arretrare sui suoi obiettivi. Secondo quanto riferito ai giornalisti in un briefing dal consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, i due leader non avrebbero però affrontato il tema dello stop alla fornitura delle armi deciso dal Pentagono. Il Dipartimento della difesa statunitense aveva giustificato questa scelta, attraverso le parole del portavoce Sean Parnell, come una revisione delle scorte americane, in linea con la priorità alla difesa nazionale e con l’agenda «America first» dettata da Trump. Le armi statunitensi - bloccate in Polonia - includono missili aria-terra Hellfire, oltre 90 missili aria-aria Aim, più di due dozzine di missili Patriot Pac-3 e altrettanti sistemi di difesa aerea Stinger. Sul fronte opposto, Mosca rivendica progressi militari e tecnologici: lo stesso Putin ha dichiarato di essere «a una svolta nello sviluppo dei sistemi senza pilota», mentre il portavoce Dmitry Peskov ha ribadito che «meno armi riceverà Kiev, prima finirà la guerra». Dalla Danimarca, intanto, Volodymyr Zelensky e i vertici europei provano ad accelerare il processo di adesione di Kiev all’Unione. Nella conferenza stampa tenutasi ad Aarhus, insieme al premier danese, Mette Frederiksen, al presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, e alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il leader ucraino ha rilanciato: «L’Ucraina ha già fatto tutto ciò che era richiesto per avviare i negoziati di adesione. È tempo di aprire i cluster». Parole accolte dalla Von der Leyen, che ha esortato gli Stati membri a utilizzare lo strumento Safe - 150 miliardi di euro di prestiti congiunti - per acquistare equipaggiamenti militari da fornire a Kiev e per investire nell’industria bellica ucraina. Ha inoltre annunciato che il primo risultato della presidenza di turno danese del Consiglio Ue sarà il varo del diciottesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Se Frederiksen ha promesso che farà di tutto per aiutare l’Ucraina nel suo percorso verso l’Ue, Costa ha ribadito l’impegno a procedere senza indugi nonostante il veto dell’Ungheria: «Sull’adesione dell’Ucraina all’Ue non dobbiamo perdere tempo. Kiev sta facendo le riforme e invito la Commissione e l’Ucraina a continuare il lavoro. Quando saremo in grado di ottenere l’approvazione, andremo avanti».Tuttavia, Zelensky, che ha commentato il colloquio telefonico tra Trump e Putin affermando di «non essere sicuro che i due abbiano molte idee e argomenti comuni da trattare in quanto sono persone diverse; ma se si parla di Ucraina, noi sosteniamo l’idea di un cessate il fuoco incondizionato», ha sottolineato di contare «sul continuo sostegno degli Stati Uniti, perché «hanno mezzi che l’Europa non ha, come i Patriot». Inoltre, Zelensky ha confermato che oggi parlerà con Trump per chiarire i dettagli del sostegno, «compresa la difesa aerea», e discutere delle conseguenze della decisione presa dal Pentagono. «In un modo o nell’altro dobbiamo garantire la protezione del nostro popolo» ha ribadito il presidente ucraino, annunciando di aver stipulato un accordo con l’azienda americana Swift Beat per la produzione congiunta di droni in Ucraina, compresi intercettori e droni d’attacco.Sul campo intanto la guerra continua: raid russi su Odessa, Poltava e Kiev hanno causato almeno quattro morti, tra cui due bambini a Odessa avvelenati dai fumi di un incendio. Mosca ha colpito porti, abitazioni e aeroporti, rivendicando la distruzione di infrastrutture a Odessa e Poltava, e ha annunciato di aver abbattuto in un solo giorno 70 droni ucraini lanciati contro il proprio territorio, la maggior parte su Belgorod, Voronezh e Kursk. Secondo il ministero della Difesa ucraino, solo a giugno la Russia avrebbe lanciato oltre 5.000 droni e centinaia di missili, inclusi quasi 80 balistici, intensificando la pressione sul fronte e sulle città ucraine. Il ministero della Difesa russo rivendica inoltre la conquista di Melovoye, nella regione di Kharkiv, e Razino, nel Donetsk. Kiev ha risposto con attacchi in profondità in Russia, colpendo una struttura tecnica nella repubblica di Udmurtia, un’abitazione nella regione di Lipetsk - dove una donna è rimasta uccisa - e una fabbrica di velivoli e difese aeree a Izhevsk due giorni prima. Le perdite colpiscono anche figure di rilievo: a Lugansk è stato ucciso in un attentato l’ex sindaco Manolis Pilavov, mentre a Kursk un attacco ucraino ha provocato la morte di Mikhail Gudkov, vicecapo della Marina russa, insieme ad altri ufficiali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/telefonata-putin-trump-guerra-ucraina-2672599327.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="rapporto-della-cia-inguaia-obama" data-post-id="2672599327" data-published-at="1751587058" data-use-pagination="False"> Rapporto della Cia inguaia Obama «La revisione delle tecniche di analisi ha individuato molteplici anomalie procedurali nella preparazione della valutazione d’intelligence del 2016, tra cui tempistiche ristrette, accesso non uniforme a informazioni compartimentate, marginalizzazione del National intelligence council e coinvolgimento eccessivo dei vertici di agenzia», ha reso noto la Cia. «La tempistica estremamente ridotta era atipica per una valutazione formale della comunità d’intelligence, la cui preparazione normalmente può richiedere mesi, soprattutto per valutazioni di tale lunghezza, complessità e sensibilità politica», si legge nel rapporto di Ratcliffe. Effettivamente la valutazione, approntata per il 30 dicembre, era stata ordinata il 6 dello stesso mese da Obama a James Clapper, il direttore dell’intelligence nazionale da lui nominato nel 2010. Inoltre, come accennato, Ratcliffe ha sottolineato un significativo coinvolgimento di altissimi funzionari: un coinvolgimento insolito per quel tipo di analisi. «Sebbene i responsabili delle agenzie a volte rivedano valutazioni analitiche controverse prima della pubblicazione, il loro coinvolgimento diretto nello sviluppo della valutazione d’intelligence è stato estremamente insolito sia per portata che per intensità. Questo livello eccezionale di coinvolgimento dei dirigenti ha probabilmente influenzato i partecipanti, alterato i normali processi di revisione e, in definitiva, compromesso il rigore analitico», recita il rapporto di Ratcliffe, ventilando quindi l’ipotesi di pressioni dall’alto. «Fin dall’inizio, i vertici dell’agenzia hanno scelto di emarginare il National intelligence council discostandosi significativamente dalle procedure standard per le valutazioni formali della comunità d’intelligence», si legge ancora.Non solo. Ratcliffe ha anche sottolineato che l’allora direttore della Cia, John Brennan, effettuò pressioni affinché nella valutazione del 2016 fosse inserito il dossier dell’ex spia britannica, Christopher Steele: un documento, secondo cui Trump sarebbe stato sotto ricatto di Putin. Peccato che il suo contenuto si sia rivelato infondato e che, nel 2017, sia emerso che quel dossier era stato in parte finanziato dalla campagna della Clinton. L’aspetto interessante risiede anche nel fatto che, secondo Ratcliffe, il 29 dicembre 2016 un funzionario della Cia inviò un’email a Brennan, sostenendo che l’inclusione del dossier di Steele avrebbe messo a rischio la «credibilità dell’intero documento». Già all’epoca, sul dossier dell’ex spia britannica circolavano infatti dei dubbi. Ciononostante, Brennan, messo a capo della Cia da Obama nel 2013, impose de facto che un sunto di quel controverso incartamento fosse allegato alla valutazione d’intelligence. Non solo. «Mentre i funzionari coinvolti nella stesura della valutazione hanno costantemente affermato di non essersi sentiti pressati a raggiungere conclusioni specifiche, la segnalazione prematura di Brennan secondo cui i vertici dell’agenzia avevano già raggiunto un consenso prima ancora che la valutazione fosse anche solo coordinata rischiava di soffocare il dibattito analitico», ha ravvisato inoltre Ratcliffe. Vale a tal proposito ricordare che lo stesso procuratore speciale, Robert Mueller, pur denunciando interferenze russe contro la Clinton, non rinvenne prove, nel suo rapporto consegnato nel 2019, di un coordinamento tra il team elettorale di Trump e il Cremlino. Certo, è vero che un report bipartisan del Senato Usa, pubblicato nel 2020, confermò le conclusioni della valutazione d’intelligence del 2016. Tuttavia le anomalie rinvenute da Ratcliffe e l’iperattivismo di Brennan fanno riflettere. Il dubbio che Obama abbia voluto provare a «minare» il percorso della prima amministrazione Trump onestamente viene.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggere
Riduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggere
Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggere
Riduci