2024-03-28
«Tra il teatro e la laurea ho scelto entrambi»
Pino Quartullo (Getty Images)
Il regista e attore Pino Quartullo, in questi giorni in tour, ricorda i suoi inizi: «Mi presero all’Accademia e al laboratorio di Proietti. Li feci tutti e due, ma per rassicurare mio padre continuavo a studiare architettura. Il mio esordio? Una scena con Sordi nel Marchese del Grillo».Pino Quartullo rientra nella ristretta categoria di artisti presenti sul palcoscenico, sul grande e sul piccolo schermo, spesso nella duplice veste di regista e attore. Un personaggio versatile che ha percorso molteplici strade, mantenendo sempre viva la sua creatività. In questo periodo è impegnato sul fronte del teatro, il suo primo amore.Dopo la pandemia il teatro è stata la forma di spettacolo che si è ripresa prima delle altre.«Da quando è nato, il teatro è servito per incontrarsi e partecipare collettivamente a dei riti che possono essere tragici o comici. Il cinema fa un po’ più fatica perché ha la concorrenza della televisione e delle piattaforme, il teatro no perché è una cosa unica che si può vedere solamente quella sera: ogni spettacolo è diverso a seconda del pubblico e anche dell’umore degli attori, a volte».Lei hai sempre fatto cinema, tv e teatro, cercando di diversificare la sua carriera, anche negli anni in cui la televisione per un attore era considerata una deminutio rispetto al cinema.«Era considerato disdicevole. Io negli anni Novanta, grazie al documentario Exit (1987), che ha avuto la nomination agli Oscar nel 1987, ho diretto quattro film abbastanza originali (Quando eravamo repressi, Le donne non vogliono più, Storie d’amore con i crampi, Le faremo tanto male, ndr), un po’ diversi da quello che si faceva allora, con tematiche che riguardavano il capovolgimento dei ruoli tra l’uomo e la donna. Purtroppo, facendo cinema, soprattutto come regista, non puoi prendere impegni a lungo raggio perché non sai mai esattamente quando si gira un film, quindi negli anni Novanta mi sono molto limitato a teatro perché ero impegnato a dirigere questi film».Come mai non ha proseguito la carriera di regista?«Dopo quei quattro film, ho constatato quanto fosse difficile farne un altro e mi sono preso una pausa, ma ’sta pausa è durata anche troppo! Ho fatto tanti spettacoli a teatro, sia come regista che come attore, però mi è mancato un po’ fare il regista cinematografico».Si sente più regista o attore?«Sono laureato in Architettura, ho fatto regia all’Accademia nazionale d’arte drammatica, parte della mia creatività è da inventore, da autore. Sono partito proprio come regista, anche se mentre facevo regia in Accademia recitavo anche con i docenti Monica Vitti, Aldo Trionfo e Andrea Camilleri. Contemporaneamente frequentavo il laboratorio di Proietti e recitavo anche lì. Mi sono portato sempre su questi binari: regista-attore, cinema-teatro. Poi ho fatto qualcosa in televisione, però il genere fiction televisiva per il mio modo di essere è un po’ borderline, quindi ho fatto sempre cose un po’ particolari. Non mi vedo a fare un ruolo drammatico in una fiction e, per la verità, anche i registi e la Rai non mi vedono in questa veste!».Sta portando in scena uno spettacolo, 28 motivi per innamorarsi, che parte da una situazione drammatica.«Una coppia ha vissuto un evento veramente drammatico e quindi lo spettacolo ha momenti molto intensi e spunti anche divertenti».Lo spettacolo nasce da un testo teatrale…«Di un’attrice-autrice, Jennifer Lane, che è partita da un test pubblicato sul New York Times dallo psicologo Arthur Aron e ha deciso di costruirvi attorno un testo teatrale e lo ha anche interpretato. Una coppia è sull’orlo del divorzio, ma lui non si rassegna e chiede a lei di fare il test per verificare se ci sono le basi per stare ancora assieme. Esce fuori di tutto: cose belle, cose brutte, cose divertenti, c’è un momento di sesso e quello in cui si gettano addosso le colpe, quindi è una bella occasione, sia per me che per la co-protagonista Roberta Giarrusso, di stare dentro dei personaggi che hanno un arco espressivo così ampio».Come mai le 36 domande originali del test sono state ridotte a 28?«In parte le aveva già tolte l’autrice, due le abbiamo tolte noi perché, per come è concepita la storia, non avrebbero portato a delle risposte”.Avete dovuto adattarlo alla situazione italiana rispetto all’America?«Il testo mi è stato proposto dal regista Fabrizio Coniglio, che lo ha adattato personalmente, mentre la traduzione è di Enrico Luttmann. I personaggi e riferimenti sono tutti italiani perché il testo non aveva bisogno di personaggi americani, essendo una storia universale».Le 28 domande vanno bene per una coppia italiana come per una coppia americana?«Certamente sì. A fine spettacolo abbiamo chiesto a chi fosse interessato di scrivere il suo indirizzo di posta elettronica e poi gli abbiamo mandato le domande a casa, così poteva fare il test con il proprio partner».Quindi avete causato molti fallimenti matrimoniali!«Questo non lo sappiamo, speriamo di no, anzi speriamo di aver contribuito a conoscersi meglio. I due protagonisti hanno passato un brutto momento e cercano di rinascere. A quante coppie è capitato di avere un momento di crisi e poi ricominciare da capo? Sul mio profilo Instagram ho postato delle immagini molto belle di preziosi vasi cinesi rimessi insieme dentro un contenitore trasparente, per dimostrare che anche un vaso rotto può avere una seconda vita. C’è sempre una seconda possibilità in qualsiasi storia per recuperare e ricominciare da capo, specialmente se quello che c’è stato prima, è stato importante».Non hai provato ad applicare queste domande nella vita privata per curiosità?«No, mi sono accontentato di mettermi in gioco in scena».Come mai aveva deviato dall’architettura al teatro?«Mio padre ingegnere mi aveva detto: prima ti laurei, poi fai quello che ti pare. Io ero già abbastanza proiettato verso il mondo dello spettacolo: ho studiato scenografia con Veniero Colasanti, ho fatto storia del teatro e la mia tesi di laurea verteva su un progetto di teatro. A ventidue anni, quando avevo quasi finito architettura, mi mancavano cinque esami, ho provato a fare l’esame sia all’Accademia, sia al laboratorio di Proietti, e sono stato preso a entrambe».Le ha fatte tutte e due?«Sì, anzi tutte e tre, considerando anche Architettura! Gli altri allievi mi prendevano in giro perché a dizione leggevo i libri di statica, mentre tutti leggevano le scene!».E i professori che dicevano?«Camilleri mi ha regalato un suo libro, in cui aveva scritto: “Nessun attore è riuscito a laurearsi, tranne Pino Quartullo”, parlando degli anni Ottanta quando era meno comune per un attore laurearsi. Gli ultimi esami li ho dovuti fare dopo che mi sono diplomato all’Accademia e alla scuola di Proietti perché mi avevano assorbito molto».Suo padre ci è rimasto male?«Quando ha saputo che mi ero iscritto all’Accademia e alla scuola di Proietti, ha detto: “Da adesso in poi ti mantieni da solo”, mi ha fatto capire che se volevo fare questo, dovevo essere autosufficiente. Io gli ho giurato che avrei finito Architettura, lui ha visto che qualche esame l’ho dato e ha pensato: “Questo pazzo si laureerà a un certo punto…” e così è stato».È un percorso incredibile, quasi da farci un film! Ha esordito immediatamente al cinema con un film leggendario, Il marchese del Grillo di Mario Monicelli.«Mentre facevamo il laboratorio, Proietti ci ha portato subito in televisione per fare con lui un varietà del sabato sera, Attore amore mio, per la regia di Antonello Falqui, e venne a vederci l’aiuto di Mario Monicelli, Amanzio Todini, che stava cercando il braccio destro del marchese del Grillo, Ricciotto. Poi lo avrebbe interpretato Giorgio Gobbi, che era più caratterizzato fisicamente rispetto a me. Io invece ho fatto un altro ruolo, il capo delle guardie, e ho girato una scena divertente con Alberto Sordi. Un bell’esordio».La sua grande occasione è stato il cortometraggio Exit, che le ha dato grande notorietà nell’ambiente cinematografico.«Io e Stefano Reali siamo riusciti a girarlo grazie a Monica Vitti, la mia insegnante in Accademia, che mi portò anche lei in televisione a partecipare alla trasmissione Passione mia. Sia per Gigi Proietti che per Monica Vitti ero il coordinatore del gruppo dei ragazzi e scrivevo anche i testi. Monica dedicò l’ultima parte di questa trasmissione ai giovani registi, dando l’opportunità a me e Stefano, ma anche ad altri, come Francesca Archibugi, Graziano Diana, Massimo Guglielmi, di fare un cortometraggio. Exit ebbe molta fortuna e da lì mi sono innamorato anche del cinema. Claudio Bonivento, grande produttore con delle intuizioni fantastiche, appena vide la presentazione dello spettacolo teatrale di Quando eravamo repressi, mi chiamò e mi disse: “Voglio fare il film”. “Ma ancora non abbiamo fatto uno spettacolo!”. Si era letto la trama, ci aveva visti giovani e belli e si era lanciato subito. Così ho esordito alla regia, altri tempi!».La difficoltà adesso è di trovare dei produttori così illuminati e coraggiosi…«Se un autore scrive sia per il teatro che per il cinema viene visto con sospetto. Un po’ è stata una scelta mia perché volevo avere delle storie di cui fossi convinto, adesso le ho trovate e sono in cantiere».Altri progetti per il teatro?«Ho in programma uno spettacolo curioso, di cui ho collaborato al testo e curerò la regia, che si intitola A letto senza cena ed è la storia dei due figli di Gianni Morandi e Laura Efrikian, Marianna e Marco, con i quali sono amico e ho già lavorato. È uno spettacolo sulla difficoltà di essere figli d’arte. Marianna e Marco hanno avuto una governante per cinquant’anni, che li ha visti nascere e ha conservato tutti i loro giocattoli e i loro ricordi. È una specie di auto-biopic dei due fratelli. Ci saranno molte incursioni telefoniche di Gianni e di Laura, dell’ex marito di Marianna Biagio Antonacci e del loro figlio Paolo, uno dei più grandi autori contemporanei di canzoni. È una famiglia curiosa, divertente, autoironica».
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.