2023-08-27
Tassata pure la ricarica dell’elettrica
Altra mazzata dietro la retorica green: i rimborsi offerti dal datore di lavoro per fare il «pieno» a casa all’auto aziendale sono parte del reddito imponibile.I rimborsi offerti dal datore di lavoro per la ricarica elettrica dell’auto aziendale effettuata a casa sono tassabili. In sostanza, ricaricare la macchina elettrica data in uso promiscuo al lavoratore non rientra tra i beni e servizi forniti dal datore di lavoro, conosciuti anche come fringe benefit, ma costituendo un rimborso di spese sostenuto dal lavoratore, questo potrà essere tassato. Lo ha stabilito l’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello 421/2023. Tra le motivazioni si legge che la ricarica non essendo sostenuta nell’esclusivo interesse del datore e non rientra neppure nelle specifiche deroghe dei rimborsi analitici delle spese per trasferte. Dopo il danno la beffa, si può dire, perché questa impostazione è contraria a quanto sostenuto dalla direzione regionale Lombardia che ha ricondotto i rimborsi di carburante delle auto date in uso promiscuo nell’alveo dell’articolo 51, comma 4 del Testo unico delle imposte sui redditi. Non solo perché per l’Agenzia anche l’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco) effettuata presso l’abitazione del dipendente rientra tra i beni che vanno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente. Le ragioni di questa decisione sono legate all’impossibilità di determinare con certezza il costo della ricarica. Questo perché l’azienda può monitorare solo i consumi in KWh, tramite hardware o app, ma i costi €/KWh dei singoli dipendenti possono essere molto diversi gli uni dagli altri. Quindi l’Agenzia ha pensato bene di confermare la tassazione forfetaria dei veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti, seppur graduata in ragione delle emissioni di anidride carbonica degli stessi grazie alla legge di Bilancio 2020 che ha modificato il comma a dell’articolo 51 del Tuir con l’obiettivo di incentivare il ricorso all’utilizzo di veicoli meno inquinanti. Difficile però che si arrivi ad obiettivo perché in questo modo i lavoratori, potendolo fare, saranno incentivati a scegliere le auto a benzina o le ibride plug in, in modo da ricaricare alle colonnine pubbliche tramite le card fornite dalle aziende ed evitare così, la scocciatura fiscale della ricarica casalinga per l’auto aziendale. Come la giri la giri, tra tecnicismi, fisco e burocrazie diventare green ci costa un occhio della testa. Ed è solo l’inizio. Cosa succederà quando, una volta convertiti completamente all’elettrico, non ci saranno più gli introiti delle accise sui carburanti? Si inventeranno delle nuove accise sulle bollette dell’energia elettrica? Il timore c’è perché se oggi allo Stato eliminare le accise costa un miliardo al mese, significa che anche eliminare le auto a combustione si tradurrà in una perdita di circa un miliardo al mese. Da qualche parte bisognerà pure rimediarli e perché non ricaricarli sulle bollette? Non vogliamo dare (brutte) idee, ma certo è un problema a cui bisogna pensare e bisogna farlo in fretta. Intanto le auto elettriche circolanti in Italia al 31 maggio 2023 erano circa 193.619, con le immatricolazioni full electric che nei primi cinque mesi dell’anno erano pari a 26.525 unità, con un incremento del +41,10% rispetto allo stesso periodo del 2022. Siamo ancora lontani dagli standard degli altri Paesi e il motivo non può che essere uno solo: non ce lo possiamo permettere. A fronte di continue nuove Ztl e divieti, le politiche di incentivo continuano a essere inefficienti. Quelle fiscali addirittura creano problemi. Eppure, all’elettrico non ci sarebbe alternativa. Ce lo chiede l’Europa.