2022-01-16
Il Tar demolisce Speranza: «La vigile attesa ha impedito ai medici di curare i malati»
Il direttore generale dell'Aifa, Nicola Magrini (Ansa)
Accolto il ricorso contro le linee guida del ministero che ostacolavano l’uso di farmaci diversi dalla Tachipirina a inizio malattia. Giorgia Meloni: «È la pietra tombale su di lui».«Non mi fermerò fino a quando tutti i componenti di questo governo non saranno indagati». Esulta, l’avvocato Erich Grimaldi, dopo la sentenza del Tar del Lazio che accoglie il ricorso del comitato Cura domiciliare Covid-19 e annulla le linee guida del 26 aprile 2021 su «vigile attesa e paracetamolo». Protocollo che aggiornava la nota Aifa del 9 dicembre 2020, di fatto imponendo ai medici di base di non utilizzare farmaci più appropriati per curare precocemente i pazienti affetti da coronavirus. Una sentenza durissima, nei confronti del ministero guidato da Roberto Speranza e dell’Agenzia italiana del farmaco diretta da Nicola Magrini. Il contenuto della nota ministeriale «contrasta con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professionale, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid-19 come avviene per ogni attività terapeutica», hanno dichiarato i giudici amministrativi nella seduta del 7 dicembre scorso. La conclusione, resa pubblica ieri, è uno schiaffo alla task force sanitaria che ha privato i cittadini delle cure domiciliari, come ha sempre sostenuto il Comitato fondato dall’avvocato Grimaldi. Il Tar ha accolto il ricorso del legale perché le linee guida promulgate da Aifa e contenute nella circolare ministeriale «anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio, prevedono un lungo elenco delle terapie da non adottare, divieto che non corrisponde all’esperienza diretta maturata dai ricorrenti». Il 26 aprile scorso, infatti, il ministro Roberto Speranza faceva inserire nelle indicazioni di gestione a domicilio dei pazienti Covid unicamente paracetamolo, fans o eparina (ma solo per gli allettati) e vigile attesa. «Non raccomandava», quindi indicava di non utilizzare, molti farmaci come antibiotici, clorochina o idrossiclorochina, antiretrovirali quali lopinavir, ritonavir o darunavir. I medici rispettano le linee guida, per essere esonerati da responsabilità penali, quindi tendono a prescrivere quanto indicato dal ministero della Salute. «Ma in questo modo sono morte tantissime persone che potevano essere curate», sostiene da tempo l’avvocato Grimaldi. «Vincolando i medici di medicina generale non si è curato tempestivamente il paziente Covid, è stata paralizzata la sanità territoriale e si è portato al collasso il sistema ospedaliero». La Verità continua a ribadirlo, senza protocolli seri e aggiornati sulle terapie domiciliari non è possibile combattere la battaglia contro il Covid perché se intervieni subito, con i farmaci oggi a disposizione, hai ottime possibilità di tenere sotto controllo la malattia e di gestirla fuori dagli ospedali, ma limitarsi a paracetamolo e vigile attesa è un’offesa al sapere medico e un insulto alla salute dei cittadini. Lo stesso direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, sul Corriere della Sera ha sostenuto che il paracetamolo, principio attivo della Tachipirina, «consuma il glutatione che è un antiossidante molto potente. Proprio in questi giorni è uscito uno studio che mostra che i pazienti con Covid hanno uno stress ossidativo importante, probabilmente responsabile del danno infiammatorio polmonare, associato a deficit di glutatione e si è visto che questo deficit aumenta con l’età», sottolineava il professore. Per l’Aifa, invece, continua a far benone.Il ministro Speranza non ha mai ascoltato l’invito di rivedere quelle linee guida, non si è curato del parere dei tantissimi medici di base che rischiano denunce prescrivendo farmaci utili, efficaci, però «non raccomandati» dal ministero, quindi sconsigliati senza mezzi termini. «Anche nella nostra manifestazione a Roma dello scorso 26 luglio chiedevamo al ministro di incontrarci, di tener conto dello schema terapeutico redatto dai nostri medici, di non arrivare alla quarta ondata senza cure territoriali appropriate. Siamo ancora senza risposta», tuona l’avvocato. La sentenza del Tar è il primo segnale di una magistratura che prova a ridare centralità decisionale alla figura del medico contro decreti legge, circolari, imposizioni palesemente lesivi. «È onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito», dichiara il tribunale amministrativo che ha accolto il ricorso del Comitato perché «la nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale». Il Tar ha bocciato le linee guida del ministro Speranza e dell’Aifa, i dottori possono scegliere la terapia domiciliare che ritengono più adatta a curare i pazienti malati di Covid. La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in un post su Facebook ha subito commentato: «Dopo due anni di fallimenti conclamati la sentenza del Tar del Lazio mette una pietra tombale sull’operato del ministro Speranza, che ha la grande responsabilità di non aver mai voluto ascoltare le numerosissime esperienze cliniche portate dai medici di base. È chiaro che Speranza non può rimanere un minuto di più, Mario Draghi e le forze di maggioranza prendano atto del fallimento». Il ministero può fare appello contro questa sentenza, con ricorso al Consiglio di Stato, ma nel secondo grado di giudizio ogni decisione «dovrà tenere conto che in questo Paese sono morte di coronavirus 140.000 persone», avverte Grimaldi. «Quante di queste potevano essere curate senza vigile attesa?».
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(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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