2021-03-18
La tangente non sussiste, tutti assolti all’Eni
Il tribunale di Milano proscioglie l'ad del gruppo, Claudio Descalzi, e il suo predecessore Paolo Scaroni dall'accusa di corruzione internazionale. Il prezzo pagato al governo di Abuja per la concessione di un giacimento era ritenuto dai pm la più grande mazzetta mai versata.«Il fatto non sussiste». Dopo quasi 7 anni di indagini e 3 di processo, Eni e Shell vengono assolte dalle accuse di corruzione internazionale sull'assegnazione del giacimento Opl 245 in Nigeria: la tangente del secolo, da 1 miliardo e 92 milioni di euro, non è mai esistita. Si sgonfiano anni di faldoni, intercettazioni, udienze e complotti che hanno caratterizzato l'amministrazione di Claudio Descalzi, quasi dal giorno del suo insediamento nel 2014. Del resto non sono solo le compagnie petrolifere a essere scagionate dalle accuse portate avanti in questi anni dal pm Fabio De Pasquale. Tutti gli imputati, da Descalzi fino all'ex numero uno Paolo Scaroni, dall'ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete fino a Luigi Bisignani o a Ciro Pagano o Roberto Casula, sono stati tutti assolti con formula piena. Nessuno escluso. «La decisione del Tribunale ha finalmente stabilito, dopo quasi tre anni di dibattimento, che la società, l'amministratore delegato, Claudio Descalzi e il management coinvolto nel procedimento hanno mantenuto una condotta assolutamente lecita e corretta» dicono da San Donato.Ora serviranno le motivazioni della sentenza per capire la sconfitta su tutta la linea della pubblica accusa. A uscire ridimensionato è poi il governo nigeriano che si era costituito parte civile nel processo come anche le Ong che da anni chiedevano giustizia per l'assegnazione nel 2011 della licenza di estrazione. Alla fine bisognerà capire anche a cosa sia servito davvero questo processo, costato solo a Eni quasi 60 milioni di euro in spese legali dopo 2,5 miliardi di euro di investimento su un giacimento (già costato 1,3 miliardi) che non ha ancora estratto una goccia di petrolio. E sarà altrettanto interessante capire quanto sia costata l'indagine alla Procura milanese. Come quanto ci abbia perso la Nigeria, che dai proventi petroliferi forse avrebbe potuto incassare di più di quanto investito in battaglie legali fallimentari a Londra e negli Stati Uniti. Ora bisognerà attendere l'arbitrato contro il governo nigeriano promosso da Eni in vista della scadenza della licenza, l'11 maggio 2021. Da questa decisione dipenderà il futuro del blocco 245, che potrebbe finire nei prossimi anni nelle mani della Cina o di altre compagnie. Per Eni e Shell sarebbe una beffa, perché chi arriverà si ritroverà un giacimento già pronto per estrarre il greggio. È probabile che De Pasquale farà appello, ma lo si saprà dopo la pubblicazione delle motivazioni nei prossimi 90 giorni. Di sicuro la linea dell'accusa ne esce pesantemente sconfitta, un aspetto che era già in parte emerso durante le udienze del processo. Del resto De Pasquale si era fidato delle accuse dell'imputato Vincenzo Armanna, ex responsabile Eni in Africa subsahariana. Armanna è stato in questi anni il principale accusatore di Descalzi. Era il manager che aveva visto le tangenti, era quello che sapeva con certezza della corruzione e che aveva seguito da vicino tutti gli aspetti dell'affare Opl 245. Ma in questi 4 anni le sue versioni sono sempre state smentite. Ha dovuto cambiare almeno 3 volte gli avvocati. E l'ultimo che lo ha difeso, Angelo Staniscia, lo aveva invece definito «privo di qualsiasi potere negoziale» e un «sicofante», un vero e proprio calunniatore secondo la Treccani. Per di più Armanna è stato anche quello che ha creato uno dei casi più insoliti visti in un processo di corruzione internazionale. Uno dei testimoni che l'ex manager Eni aveva portato in udienza, il famoso Victor, ha cambiato identità almeno 3 volte: quando finalmente si era presentato quello giusto, aveva smentito tutto quello che aveva detto Armanna. Non solo. A febbraio dello scorso anno aveva persino fatto capolino nel processo Piero Amara, ex avvocato di Eni e amico dello stesso Armanna, già protagonista di complotti lungo tutta la penisola italiana. De Pasquale e il collega pm Sergio Spadaro avevano chiesto di ascoltarlo, perché a quanto pare Amara avrebbe saputo «di interferenze delle difese di Eni e di taluni imputati nei confronti di magistrati degli uffici giudiziari milanesi con riferimento al processo Olp245». La corte non concesse la testimonianza. Così per mesi sono circolate voci sul collegio giudicante. Era una pista falsa. Tanto che il Tribunale di Brescia ha definito le spifferate di Amara «il de relato» di un «de relato». E così dopo l'altro flop su Saipem in Algeria, duramente contestato dalla Cassazione, la Procura di Milano si ritrova a fare i conti con un nuovo fallimento. È probabile a questo punto che anche il procedimento sul cosiddetto falso complotto anti Descalzi possa sgonfiarsi. Del resto anche qui il protagonista è Amara che, come raccontato da La Verità, aveva invece cercato insieme con Armanna di sfruttare l'inchiesta nigeriana per cambiare a suo favore gli assetti dentro l'azienda di San Donato. Il prossimo 25 marzo è prevista una nuova udienza sulla presunta corruzione di Eni Congo, dove ricompare Roberto Casula, appena assolto nella vicenda nigeriana.