2020-02-27
Tamponi e protocolli: l’Ue in ordine sparso fa tanta confusione
In Italia 9.462 test e 400 contagiati. In Francia solo 762 di cui 17 risultati positivi. Quasi lo stesso numero dei controlli tedeschi.Fare o non fare il tampone, questo è il dilemma. Nelle ultime 48 ore, scienziati, politici e amministratori locali si sono interrogati sull'utilità dei controlli a tappeto disposti per rintracciare gli infetti da Covid-19. Tanto che martedì il premier Giuseppe Conte sbottava: «La prova tampone va fatta solo in alcuni casi circostanziati. Il fatto che negli ultimi giorni si sia esagerato con la prova tampone non corrisponde alle prescrizioni della comunità scientifica». Ragionamento che testimonia ancora una volta la strategia schizofrenica dell'esecutivo giallorosso. Stando agli ultimi dati comunicati dal commissario per l'emergenza della Protezione civile, Angelo Borrelli, i tamponi effettuati in Italia sono stati ben 9.462 (alle 12 di ieri) e sono stati rilevati 400 contagiati. «Meno del 4 per cento dei tamponi hanno dato esito positivo», ha detto Borrelli. Come si comportano gli altri Stati quando si tratta di acquisire la prova regina del contagio? E qua - è proprio il caso di dirlo - Paese che vai, usanza che trovi. Ogni governo si è adoperato infatti per introdurre criteri e protocolli in materia di casi sospetti, e in certi casi le differenze si fanno sentire. Negli Stati Uniti fino ad ora si registrano 53 casi, ma il dato in realtà tiene conto dei 36 passeggeri sulla nave Diamond Cruise e di altri 3 positivi registrati a Wuhan. Nel solo territorio nazionale, pertanto, i casi conclamati sono appena 14 (445 i test). Un numero molto basso, anche se da giorni il Centro di controllo delle malattie mette in guardia dal pericolo dell'esplosione dell'epidemia anche sull'altra sponda dell'Atlantico. «Non si tratta più di discutere se accadrà, è piuttosto una questione di comprendere esattamente quando», ha affermato sconsolata Nancy Messonier, direttore del Centro nazionale per l'immunizzazione delle malattie respiratorie. Prima di sottoporre un individuo al test diagnostico, il medico deve riscontrare una delle seguenti combinazioni: febbre o sintomi respiratori e contatto stretto con casi confermati nei 14 giorni precedenti; febbre o sintomi respiratori e una storia di viaggio nella provincia dell'Hubei (epicentro dell'epidemia) nei 14 giorni precedenti; febbre o sintomi respiratori che richiedano il trattamento respiratorio e una storia di viaggio in Cina nei 14 giorni precedenti. Maglie molto larghe, a dire la verità: nella valutazione manca un aggiornamento delle zone a rischio (ad esempio, Corea del Sud e Italia), senza contare che il sistema sanitario privato taglia fuori chiunque non possa permettersi un ricovero. Una lacuna che Washington cerca di colmare tramite l'innalzamento dei livelli di allerta sui viaggi (sconsigliate a tutti Cina e Corea del Sud, solo ai soggetti adulti e ai malati cronici Italia, Iran e Giappone). Relativamente basso (762 casi testati per 17 positivi) il numero di tamponi in Francia, anche se dal ministero della Salute transalpino specificano che «all'aggiunta della Lombardia e del Veneto all'elenco delle aree a rischio ha fatto seguito un aumento del numero delle segnalazioni dei possibili casi dai rimpatriati da queste regioni». L'ultimo protocollo, aggiornato il 21 febbraio scorso, prevede la segnalazione di un caso sospetto in presenza di una infezione respiratoria acuta associata a febbre e il contatto (o la co-esposizione) con un caso confermato di Covid-19, oppure un'esperienza di viaggio nelle aree a rischio. Nell'ultima versione dell'elenco (23 febbraio) erano presenti Cina, Hong Kong, Macao, Singapore, Corea del Sud e, appunto, Lombardia e Veneto. Negli ultimi giorni il ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha definito «molto probabile» un'impennata di casi nel prossimo futuro. Diversa la situazione nel Regno Unito, dove fino a ieri sera erano stati effettuati ben 7.132 tamponi corrispondenti tuttavia a soli 13 positivi. La casistica degli individui a rischio individuata da Londra è molto più ampia. Necessitano di essere sottoposti al test, infatti, tutti coloro che: a prescindere dai sintomi si siano recati nella provincia dell'Hubei negli ultimi 14 giorni oppure in Iran, nelle due città colpite in Corea del Sud o nelle aree in «lockdown» italiane a partire dal 19 febbraio; chiunque presenti tosse, febbre o disturbi respiratori e abbia visitato Cina, Thailandia, Giappone, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Malesia o Macao negli ultimi 14 giorni; chiunque presenti tosse, febbre o disturbi respiratori e abbia visitato il nord Italia, Vietnam, Cambogia, Laos o Myanmar dal 19 febbraio. Più di 300 test e un caso positivo per la Svizzera, dove sussiste l'obbligo di segnalare i casi sospetti al medico cantonale. Necessaria per l'accesso al test la compresenza di criteri clinici (sintomi acuti di infezione delle vie respiratorie e febbre oltre i 38 C°) ed epidemiologici (viaggio in Cina oppure contatto stretto con un caso confermato). Non è dato sapere, invece, il numero dei tamponi effettuati in Spagna, ma viene considerato a rischio chi ha una storia di viaggio nelle aree a rischio (Cina, Corea del Sud, Giappone, Singapore, Iran, e Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte) e presenta sintomi respiratori acuti.Piuttosto contenuto anche il numero di verifiche cliniche in Germania. Fino a ieri, data nella quale si sono aggiunti due nuovi casi, 14 dei 16 casi erano concentrati in Baviera, dove le autorità locali dichiarano di aver effettuato «più di 700 tamponi». Necessario eseguire il test per chi ha sintomi respiratori acuti e ha avuto un contatto con un caso confermato negli ultimi 14 giorni, oppure che abbia visitato un'area a rischio (elenco aggiornato costantemente dall'Istituto Robert Koch).Tutti numeri che, fatta eccezione per il Regno Unito, fanno capire come in realtà i nostri partner europei stiano centellinando il ricorso allo strumento del tampone. Proprio ieri il direttore del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ha confermato che in Italia il test verrà eseguito «solo sui soggetti sintomatici». Qualche giorno fa Helen Branswell, reporter per l'autorevole rivista sanitaria Stat News, su Twitter aveva fatto intendere che gli Stati stavano effettuando pochi controlli: «Fanno pensare i troppi “zero" nella colonna dei nuovi casi». Basterà aspettare qualche giorno per capire se aveva ragione.