2022-06-04
«Taglio del cuneo tutto a favore di chi lavora»
Marco Bonometti (Imago economica)
L’ex numero uno di Confindustria Lombardia Marco Bonometti: «Caro energia e inflazione si stanno mangiando le buste paga. Abbattiamo i costi e lasciamo il beneficio fiscale ai dipendenti per rilanciare i consumi. Con questa denatalità però l’industria rischia di scomparire».Per alzare i salari c’è solo una soluzione. Abbassare il cuneo fiscale, alzando la decontribuzione per i lavoratori. Ne è convinto Marco Bonometti, presidente ed amministratore delegato di Officine meccaniche rezzatesi, gruppo industriale specializzato nella componentistica per automobili, oltre che presidente di Confindustria Lombardia fino al 2021. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, dice che l’unico modo per alzare i salari è tassare le rendite. Da imprenditore e da ex presidente di Confindustria Lombardia è d’accordo? «In realtà i soldi per far salire i salari evitando di ricorrere a una mini patrimoniale ci sarebbero. Il problema dei salari non è certo iniziato oggi. C’è un aumento del costo dell’energia che porta via uno stipendio ai lavoratori, l’aumento dei costi per l’alimentare che porta via un’altra mensilità. Poi c’è l’inflazione, che non è quella dichiarata dall’Istat o da centri studi simili. Si tratta di un valore ben superiore: il reale livello è difficile da calcolare e ogni giorno è sempre meno sostenibile. Quindi, aumentano i costi dell’inflazione e della vita in generale, dall’altra il potere d’acquisto sta diminuendo a vista d’occhio». Quindi qual è la soluzione?«Bisogna ridurre il cuneo fiscale. I datori di lavoro pagano troppo e i lavoratori prendono troppo poco. Bisogna invertire questa tendenza. Da una parte bisogna lavorare per aumentare la competitività dell’azienda, dall’altra bisogna diminuire il costo del lavoro. Io come imprenditore sarei a favore di lasciare tutto il beneficio fiscale ai lavoratori. Come sappiamo, due terzi del peso fiscale ricadono sull’azienda e un terzo sul lavoratore. Proprio su questo tema, dobbiamo aumentare il potere d’acquisto per far salire i consumi. Questo farebbe diminuire il grosso danno che sta creando l’aumento vertiginoso del costo dell’energia elettrica. E dobbiamo difendere la competitività delle aziende. Se continuiamo così, vedremo l’industria italiana finire al capolinea. Tutto questo è frutto di scelte che non sono state fatte in passato, come le operazioni da intraprendere per abbassare ben prima di oggi il costo dell’energia. Inoltre, è vero che i salari sono i più bassi e i costi del lavoro tra i più alti, ma noi imprenditori abbiamo il problema che il costo per unità di prodotto in Italia è tra i più alti in assoluto. In più, su 12 mesi, lavoriamo davvero nove mesi perché il resto va allo Stato. Non solo, tra ferie, permessi e leggi speciali, i nostri lavoratori sono poco produttivi rispetto ad altri Paesi europei come Germania e Francia. Gli imprenditori e i sindacati dovrebbero sedersi attorno a un tavolo, non per difendere un’ideologia in particolare, ma per proteggere la sopravvivenza dell’Italia e l’interesse dei cittadini. Quelli più penalizzati sono i lavoratori dell’industria privata. Quelli che operano nel pubblico non hanno di questi problemi. Lo smart working che si è diffuso con la pandemia da coronavirus è una bufala. Funziona per certi settori, ma per l’industria manifatturiera non va bene...». Da tempo si parla di abbassare il cuneo fiscale, ma poi nessuno lo ha fatto. Come mai secondo lei?«È vero, non lo ha mai fatto nessuno. A partire dai sindacati, che hanno portato avanti battaglie che sono irreali, invece che pensare a difendere il lavoro e i lavoratori. Fare una patrimoniale sulle rendite non ha alcun senso. I soldi ci sono, eccome. Semplicemente non vanno sprecati. Dare 200 euro una tantum è solo elemosina e non risolve il problema. Bisogna ridurre in primis il costo dell’energia. Come hanno fatto in Francia, dove l’esecutivo ha messo un tetto e ha aumentato le bollette solo del 4 per cento. Il resto lo ha pagato il governo. Dobbiamo intervenire sui problemi strutturali. L’inflazione sale, incide sui salari e ci ritroviamo al punto di partenza. Qui rischiamo di tornare indietro di 40 anni. C’è poi un altro problema».Quale?«Non si riesce più a trovare manodopera. Il reddito di cittadinanza è una misura assistenzialista. Io da tempo avevo proposto di dare soldi alle aziende che assumevano invece di darne 700 a chi sta a casa sul divano a non fare nulla. Così da dare una dignità alla persona». Però non è andata così. E sull’inflazione non si è fatto nulla. «Non è stato fatto niente. La guerra nell’Est ha accentuato il problema perché certe materie prime vengono dall’Ucraina, ma il problema non è recente. La guerra ha accelerato o enfatizzato il problema. Certo, sono convinto che bisogna trovare una soluzione per aiutare le persone indigenti, quelle che hanno davvero bisogno. Ma il reddito di cittadinanza non è la formula corretta. È però chiaro a tutti gli imprenditori che il vero problema è il costo del lavoro. Un operaio prende 1.000 euro e l’azienda ne deve pagare altri 2.000 allo Stato. La mia proposta è quella di mantenere il costo inalterato per le aziende e dare tutta la decontribuzione ai lavoratori. Aggiungo anche un altro tema».Ovvero? «Il problema dei contratti di secondo livello. È lì dove si può legare il salario alla produttività o alla flessibilità. Ma, anche in questo caso, il sindacato non riesce a capire queste tematiche. L’obiettivo di questi contratti deve essere quello di far coincidere le esigenze del mercato con quelle dei lavoratori. Io sarei ben felice di premiare la produttività, ma andrebbe tagliato il cuneo fiscale perché a questi prezzi diventa difficile farlo. Senza una soluzione sostenibile e compatibile con il mondo del lavoro, l’industria italiana è destinata a scomparire. Io continuo a insistere su questo da 30 anni. Prima non c’erano i soldi, poi non c’erano le condizioni. Gli interventi a pioggia del governo servono a poco. Dare poco a tutti per prendere più voti non ha senso. Mi sembra però che se ne stia prendendo atto un po’ di più perché la situazione è diventata veramente difficile. Soprattutto con i giovani. Andando avanti di questo passo, con la denatalità che abbiamo, tra qualche anno non sapremo più come pagare le pensioni».