È nato il green pass dei soldi. Via libera dall’Europa all’app che traccerà la nostra vita
Nella serata di mercoledì il Parlamento e il Consiglio Ue hanno approvato il green pass dei nostri soldi. I due cardini dell’Europa si sono accordati per dare il via alla fase operativa per la creazione dell’identità digitale unica, una grande app (Eudi wallet) che avrà la funzione di accorpare nel telefono una serie potenzialmente infinita di attività.
Lo schema non è nuovo, soprattutto per il lettore de La Verità. Nell’ottobre del 2021, in piena pandemia e in occasione dell’introduzione in Italia del green pass, abbiamo avuto più volte l’occasione di notare come l’architettura sottostante (una particolare blockchain) fosse troppo complessa e onerosa per essere destinata a venire dismessa con la fine delle ondate di Covid. Infatti, lo scorso anno Bruxelles ha costruito il gradino successivo. L’unificazione delle informazioni sanitarie, la veicolazione delle stesse sull’identità digitale e l’avvio dei test per infilare nell’app tutte le informazioni necessarie. Tutte sicure, ci dice la Commissione. Tutte tracciabili, aggiungiamo noi cittadini.
Una volta adottato formalmente, il quadro dell’identità digitale europea entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Dopo questi passaggi, gli Stati membri dovranno fornire portafogli di identità digitale entro 24 mesi dall’adozione degli atti di attuazione. Quattro progetti pilota (quelli partiti lo scorso anno), con un investimento di 90 milioni, hanno iniziato a testare il portafoglio in una serie di casi d’uso quotidiani tra cui la patente, l’eHealth, i pagamenti digitali, i titoli di studio e professionali. Ma anche l’emissione di biglietti da viaggio e il pagamento dei ticket di parcheggio dell’auto.
Ci spieghiamo meglio. Uno dei quattro progetti pilota si chiama Ewc ed è quello che coinvolge una quarantina di enti spalmati su tutti i Paesi europei più l’Ucraina che, ricordiamo, da questo punto di vista è il vero luogo di sperimentazione degli obiettivi di trasformazione digitale messi in piedi dalla Commissione per volere dichiarato nel settembre 2020 da Ursula von der Leyen, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione. Ciò a indicare che il modo migliore per occultare gli obiettivi di trasformazione della società è farlo praticamente alla luce del sole. Sapendo che media e politici sono quasi tutti disposti a guardare dall’altra parte. L’obiettivo, è bene ripeterlo, è quello di trasformare i governi in piattaforme e i cittadini in identità digitali. E qui torniamo alla sperimentazione di Ewc.
La dashboard dell’app in fase di sviluppo proporrà ai cittadini di gestire tutti i documenti di viaggio collegati al passaporto, dai biglietti fino ai codici a barre dei bagagli. Inoltre, sarà possibile aggiungere un codice identificativo che offrirà ai cittadini delle credenziali per lo smart working. Idem ci saranno altre credenziali per interfacciarsi con i governi europei (non solo il proprio) per gestire pratiche sanitarie (per cominciare) ma anche quelle fiscali.
Infine, la dashboard dell’app offrirà come un qualunque wallet digitale la possibilità di pagare con il telefono. Con una differenza sostanziale rispetto alle attuali app private. Non sarà necessario effettuare alcun tipo di log in. Se si va sul sito del consorzio si può agevolmente vedere un video in cui Hannah, l’avatar preso ad esempio, è tutta felice e contenta perché potrà firmare un documento digitale, mentre paga il suo caffè in aeroporto in attesa di prendere il volo prenotato con la stessa app. Non dovrà autenticarsi, perché lei stessa è quell’app. «Ogni cosa di cui necessita Hannah, sia online sia offline», recita il sito, «è messa in sicurezza dentro lo European digital wallet». Hannah adesso «non vede l’ora», si legge, di ricevere - non appena il consorzio le avrà realizzate - «le credenziali digitali per viaggiare». Bisognerebbe, però, spiegare ad Hannah, se non fosse un avatar, che tutta questa gioia è un po’ prematura. Se Hannah fosse una di noi dovrebbe chiedersi, volgarmente parlando, dove sta la fregatura. Quando tutto viene descritto come fantastico di solito c’è qualcosa di oscuro dietro. Non è complottismo ma di valutazione dell’impatto sulla società e sulla nostra democrazia futura.
Non sfuggirà che all’inizio del mese, la Bce ha annunciato l’avvio della fase sperimentale dell’euro digitale. Ci hanno spiegato che non sostituirà (almeno per il momento) il cash. Ma che sarà una opportunità aggiuntiva. L’euro digitale, come previsto dal lontano 2009, viaggia su quella stessa blockchain costruita nel 2021 in occasione del green pass da Covid e che, come abbiamo detto sopra, è la medesima che costituisce la struttura di Eudi wallet. Il denaro digitale sarà, dunque, controllato dalla Bce e tracciato assieme ad Hannah che userà la stessa app per pagare il ticket dell’auto e la ricarica elettrica della sua quattro ruote.
Come il green pass da Covid, l’app futura avrà la possibilità di accendere e spegnere semafori. Rosso se non sei autorizzato a fare qualcosa, verde in caso affermativo. Non ci vuole tanto a capire che se i Parlamenti e i singoli Stati non intervengono subito a fissare paletti grandi come i piloni di un ponte, fra pochi anni ci scopriremo imbrigliati dentro un sistema digitale con un potere indiscriminato sulla vita delle persone. Il tutto deciso da consorzi che rispondono soltanto alla Commissione. Un organo politico che, però, non è stato votato da nessuno. Non hai pagato le tasse? Non prendi l’aereo. O perché no, non entri al pronto soccorso. E nessuno ci venga a dire che così si combatterà l’evasione fiscale.
Cattive notizie da Bruxelles per i colossi di internet, con la Commissione europea che ha annunciato l'avvio di un'indagine antitrust nei confronti di Amazon, mentre la Francia sta continuando ad accelerare sull'introduzione della web tax. L'esecutivo comunitario ha aperto un'inchiesta per verificare se l'utilizzo da parte di Amazon dei dati dei dettaglianti indipendenti che vendono i loro prodotti attraverso la piattaforma rappresenti una violazione delle regole sulla concorrenza. «Dobbiamo assicurare che le piattaforme online non eliminino i benefici che il commercio elettronico offre ai consumatori attraverso comportamenti anticompetitivi», ha spiegato la commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager. «Il commercio elettronico ha stimolato la concorrenza nelle vendite al dettaglio, ha ampliato le possibilità di scelta e ha fatto scendere i prezzi». Per garantire che i consumatori possano usufruire correttamente di questi vantaggi, ha aggiunto Vestager, «ho deciso di esaminare molto attentamente le pratiche commerciali seguite da Amazon, e il suo doppio ruolo nelle vendite all'ingrosso e al dettaglio, al fine di verificare se la società stia rispettando le regole Ue sulla concorrenza». L'indagine di Bruxelles si concentrerà su due filoni: i rapporti di Amazon con i venditori presenti sul marketplace e il ruolo dei dati nella selezione dei vincitori della cosiddetta «buy box», che consente agli acquirenti di introdurre nei loro carrelli online i prodotti di un certo venditore. Secondo i primi accertamenti, ha fatto sapere la Commissione in una nota, Amazon utilizzerebbe informazioni «sensibili» dal punto di vista della concorrenza, in particolare sui venditori all'ingrosso, i loro prodotti e le transazioni effettuate. E questo, secondo Bruxelles, potrebbe portare a comportamenti non corretti, visto che Amazon opera attraverso il suo sito web come dettagliante ma allo stesso tempo mette anche a disposizione la sua piattaforma per operatori indipendenti, in modo tale che anch'essi possano vendere direttamente i loro prodotti ai clienti.
L'indagine europea, ha precisato un portavoce della Commissione, non interferisce con quelle aperte dai singoli Paesi nei confronti di Amazon, che si è comunque detta disposta a collaborare «pienamente» con Bruxelles. «Sappiamo che le autorità per la Concorrenza di Italia, Austria, Germania e Lussemburgo stanno indagando su alcune pratiche di Amazon», ha spiegato il portavoce. «Ci siamo coordinati da vicino con le autorità nazionali fin dall'inizio della nostra indagine, e siamo giunti alla conclusione che le loro inchieste non si sovrappongono alle nostre, ma sono complementari, e perciò vanno avanti».
La notizia dell'indagine arriva in un momento molto delicato per i rapporti tra i Paesi europei e i colossi del web, che vede la Francia in prima linea nella campagna per l'introduzione di una tassazione minima per i profitti realizzati da queste società. Il tema è al centro del G7 finanziario di Chantilly, iniziato a pochi giorni dalla decisione del governo transalpino di introdurre la Web tax in Francia, nonostante la minaccia di Washington di aprire un'indagine che potrebbe portare a nuovi dazi: e Parigi vuole usare il suo ruolo di padrone di casa per ottenere il più ampio sostegno possibile alla proposta di una tassazione minima. Le norme fiscali internazionali, infatti, a detta di molti osservatori non sono efficaci nei confronti di società come Facebook, Apple o la stessa Amazon, che pagano le tasse in Paesi con forti agevolazioni fiscali indipendentemente dall'origine dei loro fatturati.
A spiegare come mai Parigi abbia deciso un'accelerazione così forte sul tema della Web tax è stato, a margine del vertice del G7, il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire: «Abbiamo lavorato per oltre due anni a livello europeo per raggiungere un compromesso. Abbiamo avuto il supporto di 24 Stati membri Ue. Se alla fine abbiamo deciso di andare da soli, è solo per aprire la strada a un compromesso internazionale», che Parigi auspica di raggiungere entro il 2020. In questa partita la Francia si aspetta l'appoggio dell'Italia, che a sua volta, come ha spiegato lo stesso Le Maire al Corriere della Sera, ha ricevuto il sostegno dei transalpini nelle trattative per evitare l'avvio della procedura di infrazione per debito eccessivo da parte della Commissione europea. Sulla Web tax il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha ricordato che il governo «era in attesa di decisioni a livello europeo per avere provvedimenti concordati, poi l'azione è stata rimandata: in ogni caso siamo in tempo per far partire questo provvedimento per l'anno prossimo». Ma la mossa dell'Antitrust europea contro Amazon sembra portare a un'accelerazione nella direzione indicata dalla Francia, cioè verso una maggiore severità nei confronti dei giganti del Web.




