Giù il petrolio, produttori Usa scontenti. Anche la Russia soffre i prezzi bassi del greggio. Ue e gas russo, distacco difficile. Accordo USA-Ucraina, tempi lunghi. Panasonic a tutta batteria. Ancora mistero sul blackout in Spagna.
Donald Trump (Ansa)
L’inviato di Donald Trump inizia i negoziati con l’Ucraina e attacca la Commissione, nega che Vladimir Putin voglia invadere l’Europa e smentisce il Colle: «La seconda guerra mondiale non c’entra nulla». Donald: «Pace solo con me».
È improbabile che il Quirinale sia in cima ai pensieri dell’amministrazione americana, ma Steve Witkoff ha confermato che la Casa Bianca la pensa all’opposto di Sergio Mattarella. Intervistato dall’ex giornalista della Fox Tucker Carlson, l’inviato speciale per il Medio Oriente, ormai impelagato pure nelle trattative per porre fine alla guerra in Ucraina, ha liquidato le ossessioni europee per i piani d’attacco di Vladimir Putin: lo zar, ha assicurato il funzionario Usa, «non vuole conquistare tutto» il Vecchio continente. «L’idea che la Russia voglia invadere l’Europa è insensata. Abbiamo qualcosa che si chiama Nato, che non avevamo nella seconda guerra mondiale». A Washington considerano fuori luogo i paragoni con il passato. Compreso, evidentemente, quello tra l’aggressione agli ucraini e il Terzo Reich, che ha innescato uno scontro tra il Colle e Mosca. Le parole di Witkoff, però, suonano anche come una rassicurazione agli alleati in Europa: gli Stati Uniti non li priveranno del prezioso ombrello difensivo.
Carota e bastone. Tanto bastone. Dall’altra sponda dell’Atlantico, l’inviato speciale ha fatto partire una vibrante randellata. Il britannico Keir Starmer e i suoi omologhi, giovedì, si vedranno a Parigi per l’ennesimo vertice dei «volenterosi». Sarà presente pure Giorgia Meloni. Solo che il diplomatico ha liquidato il piano partorito da inglesi e francesi come «una posa, un atteggiamento» basato su una visione «semplicistica, da parte di leader che pensano: vogliamo essere tutti Winston Churchill».
Per la verità, tra i capi di governo cominciano a manifestarsi barlumi di buon senso. Ad esempio, Emmanuel Macron forse ha compreso che la forza d’interposizione lungo la linea del fronte dovrà apparire imparziale, magari agendo sotto l’egida Onu. Il ventilato coinvolgimento dei cinesi non esalta l’America, ma se garanzie di sicurezza ci dovranno essere, sarà inevitabile che sul terreno siano chiamate potenze non allineate al cosiddetto «mondo libero», tipo il Dragone e l’India.
La stampa, da noi, è impegnata a dimostrare che il tycoon e i suoi uomini sono pupazzi nelle mani degli eredi dell’Urss. Perciò, si è affrettata ridicolizzare i commenti di Witkoff. Non che siano mancate le sviolinate a Putin: «Non lo considero una cattiva persona», lo ha blandito l’imprenditore cooptato da The Donald. «È super intelligente. Con me è stato gentile e franco». Lo zar avrebbe rivelato di aver pregato per Trump dopo l’attentato della scorsa estate. Avrebbe pure commissionato un suo ritratto per regalarglielo e il presidente «è rimasto chiaramente toccato» dal gesto. È stato scritto che Witkoff condivide la tesi russa dell’Ucraina «falso Paese». Più che altro, lo statunitense sta compiendo lo sforzo non banale di entrare dentro la mentalità dei suoi interlocutori, esercizio affatto sterile per il quale, un’era fa, venivano arruolati i sovietologi: «In Russia», ha spiegato l’inviato speciale, «c’è la convinzione che l’Ucraina sia un falso Paese, che queste regioni», ovvero le due del Donbass, la Crimea, Kherson e Zaporizhzhia, «siano state messe insieme come una specie di mosaico e a mio parere questa è la radice della guerra. La Russia le ritiene proprie dalla seconda guerra mondiale ma nessuno ne vuole parlare». «Il punto», quindi, «è: il mondo riconoscerà che sono territori russi?». Witkoff ha comunque escluso che Mosca desideri annettersi l’intero territorio del Paese nemico: «Non ne ha bisogno. Ha riconquistato quelle regioni».
Le lisciate di pelo possono meravigliare, ma vale la pena tentare una strada diversa da quella intrapresa da Joe Biden, che insultava Putin fino a imbarazzare persino il suo staff. Sarebbe meglio imitare l’Ue, nel cui Parlamento serpeggia addirittura lo «sconcerto» per la riapertura del dialogo Usa-Russia? Sarebbe più produttivo seguirne l’Alto rappresentante, Kaja Kallas, che ha boicottato la tregua per le centrali? E il commissario alla Difesa, che evoca «azioni su larga scala» contro la Russia entro il 2030? Trump su una cosa ha ragione: non si può andare a trattare con qualcuno a cui si dà del criminale.
Certo, l’intervento di Witkoff mette pressione sugli ucraini, che ieri, in Arabia Saudita, si sono incontrati con i delegati americani per confrontarsi «sulla protezione degli impianti di energia e sulle infrastrutture». Volodymyr Zelensky ha chiesto di «spingere Putin» a fermare i raid. Oggi sarà la volta dei colloqui con i russi: il fiduciario di Trump si aspetta «progressi concreti», mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha parlato di «negoziati difficili. Siamo solo all’inizio». Ha lasciato intendere che ci sono state conversazioni riservate tra zar e tycoon, ma ha frenato su un incontro di persona: «Deve essere preparato con cura» e pure questo richiederà «difficili negoziati tecnici».
Si va configurando un approccio a due velocità. Il fattore tempo sarà un elemento di attrito. Washington ha fretta e, secondo Bloomberg, punta a una tregua per Pasqua; la Russia è in vantaggio sul campo, spera di massimizzare i risultati e preferisce prendersela con calma. L’Europa borbotta, ma non ha mai proposto una piattaforma diplomatica. The Donald, quando dice che solo lui è «in grado di fermare» lo zar e che, se fosse dem, gli darebbero il Nobel per la pace, sarà vanaglorioso. Ma poi aggiunge: «Voglio solo vedere che la gente smette di farsi ammazzare». Dopo tre anni di escalation, mica è poco.
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Keir Starmer e Donald Trump (Ansa)
Starmer richiama all’ordine Zelensky: devi trovare l’accordo con Trump. La leadership dell’ucraino barcolla. Basta bugie: senza armi e soldi dell’America la solidarietà e le velleità di Macron & C. sono solo chiacchiere.
L’Ucraina non può ottenere la pace senza gli Stati Uniti. Non lo dice J.D. Vance e nemmeno Donald Trump. Dopo il litigio con Volodymyr Zelensky lo ha spiegato Keir Starmer direttamente al presidente ucraino. Ovviamente non ha reso la dichiarazione in favore di telecamere, ma in privato, come si usa per mantenere riservate le questioni diplomatiche.
Il premier inglese ha parlato con Zelensky e con i 14 leader riuniti a Londra per discutere la situazione che si è venuta a creare dopo lo strappo alla Casa Bianca. Ad anticipare la posizione di Starmer è stato il Financial Times, ovvero la Bibbia finanziaria londinese, ascoltata e seguita in tutta Europa. Secondo il quotidiano britannico, il premier inglese si sarebbe assicurato che sia il presidente ucraino sia i capi di governo dei principali Paesi europei capissero che la pace non si può fare senza l’America. «C’è una sola soluzione», pare abbia detto, «e passa dalla Casa Bianca».
Intendiamoci, ciò che ha detto Starmer non è nulla di trascendentale, ma anzi è una semplice, forse banale, constatazione, che in questi giorni anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo più volte ripetuto. Però, dopo la disastrosa conferenza stampa nello Studio ovale, a qualcuno era venuta la malsana idea che non la pace ma la guerra la si potesse fare da soli, senza gli Usa. Da Macron a Scholz, tutti i leaderini europei non soltanto hanno manifestato solidarietà a Zelensky, ma hanno promesso di continuare a sostenere il Paese, pronunciando frasi roboanti. Esauritasi l’eco delle parole, tuttavia, si è subito posta una questione: sì, ma come? Cioè: dove troviamo i soldi e le armi per proseguire il conflitto e imporre a Putin una trattativa che non somigli a una resa? C’è chi ha fatto i conti e pare che servano 300 miliardi, soldi che si aggiungerebbero a quelli già spesi negli ultimi tre anni. Ma l’Europa ce li ha? Con i chiari di luna della recessione in Germania, con la Francia alla canna del gas e la Gran Bretagna che boccheggia, ovviamente no. I soli ad avere i soldi perché hanno un Pil che viaggia a gonfie vele sono gli americani. Dunque, volenti o nolenti, anche se molti politici con la puzza sotto il naso ne farebbero volentieri a meno, tocca convincere Zelensky a tornare a Canossa. Anzi, alla Casa Bianca. Potrà essere stato sgradevole, potrà essere giudicato un bullo, ma Trump nello Studio ovale ha detto un’amara verità. Senza gli aiuti degli Stati Uniti, l’Ucraina avrebbe resistito due settimane. Certo, come dice il premier polacco Tusk, è assurdo che 500 milioni di europei chiedano aiuto a 300 milioni di americani per farsi difendere da 150 milioni di russi. Ma il problema è che tra i 500 milioni di cittadini dell’Unione si fa fatica a trovarne qualcuno disposto a morire per Kiev. Dopo 80 anni di pace, l’Europa non vuole la guerra. Non vuole pagarne i costi, non intende contare i morti. Questa è la pura e semplice realtà che a sinistra si ostinano a non vedere. Tutto il resto, a cominciare dalle manifestazioni di solidarietà nei confronti dell’Ucraina espresse ai massimi vertici, sono chiacchiere. Anzi, ipocrisie che si possono tranquillamente sostenere mentre si sta comodi in salotto.
Zelensky ha perso la guerra. Punto. Se non vuole perdere anche la pace smetta di dare retta a chi è pronto ad armarlo, ma non a partire per il fronte.
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Volodymyr Zelensky e Donald Trump (Getty Images)
Scontro senza precedenti alla Casa Bianca in diretta tv. Il presidente Usa caccia l’ucraino: «Irrispettoso, torni quando è pronto per la pace».
La guerra in Ucraina è perduta da tempo, forse da quando è fallita l’illusione di una controffensiva da parte di Kiev, ovvero due anni fa. Però ieri, dopo centinaia di migliaia di morti in più, dopo una montagna di miliardi andati in fumo e una terra ridotta allo stremo, abbiamo avuto la plastica rappresentazione della sconfitta. La lite in diretta tv fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky rappresenta lo stato della guerra. Sotto gli occhi dei giornalisti è andata in scena la realtà dei fatti, senza le finzioni della diplomazia, senza i sotterfugi con cui in pubblico i politici in genere addolciscono i fatti.
Qualcuno penserà che il duello in mondovisione sia tutta colpa del nuovo presidente degli Stati Uniti e che senza di lui non avremmo assistito a una scena agghiacciante. Ma la verità è che quando le guerre sono perse è meglio dirlo e soprattutto ritirarsi. E questa è un’operazione in cui gli americani, a prescindere da chi ci sia alla Casa Bianca, sono maestri. Quando valutano che non esistano margini per resistere e ribaltare il fronte, abbandonano il campo e lo fanno in tutta fretta, senza mezze parole, senza troppi imbarazzi. È successo in Vietnam, con le immagini che sono passate alla storia degli elicotteri che mettevano in salvo i funzionari dell’ambasciata a Saigon. Una fuga che riconosceva la sconfitta e lasciava il Paese al proprio destino, cioè ai guerriglieri filo comunisti. Più di recente è capitato anche in Afghanistan, con l’abbandono di mezzi militari e di quei civili che avevano aiutato gli americani durante il periodo della gestione alleata. Ora la storia si ripete in Ucraina.
Probabilmente il ritiro da un conflitto che gli Stati Uniti hanno combattuto virtualmente con armi e aiuti sarebbe avvenuto anche con Joe Biden, perché pressato dal Congresso anche lui non sarebbe stato in grado di sostenere una guerra costosa e destinata a protrarsi nel tempo. Con Trump, che dalla sua ha la brutalità e la franchezza dell’uomo d’affari abituato a negoziati duri, l’addio alle armi è stato repentino e senza giri di parole. L’America non ha più intenzione di continuare a sostenere un conflitto che non ha possibilità di essere vinto, ma che probabilmente rischia di estendersi, fino a trasformarsi in una guerra mondiale. E la reazione rabbiosa di Zelensky di fronte al mondo appare per quel che è: un gesto di stizza, una mossa disperata, forse una reazione orgogliosa ma che è soprattutto la rappresentazione della sconfitta. È dura riconoscerlo, ma le parole con cui il presidente americano ha liquidato quello ucraino sono la pura verità: senza l’aiuto degli Stati Uniti, Kiev non avrebbe potuto resistere due settimane di fronte ai carri armati russi. Si può anche dire che senza gli Usa probabilmente la guerra non ci sarebbe stata o per lo meno non sarebbe così lunga lunga e sanguinosa, perché un cessate il fuoco con qualche concessione alla Russia nei primi mesi era possibile. Di sicuro il sostegno occidentale ha motivato Zelensky e l’Ucraina a resistere, lasciando loro credere che avrebbero potuto farcela a ricacciare indietro i soldati di Vladimir Putin. A un certo punto, con la retorica delle sanzioni, della pace giusta, della difesa dei principi democratici, l’America e gli alleati hanno illuso Kiev che fosse addirittura possibile riprendersi la Crimea e il Donbass occupato undici anni fa.
Tre anni di morti e devastazioni, tre anni di crisi economica e di instabilità geopolitica hanno però dimostrato il contrario e fatto cadere il velo di ipocrisia di un Occidente che è disposto a combattere per gli ideali di libertà e pace ma solo a patto che a farlo siano gli altri. Si è finanziata una guerra per procura, la difesa della democrazia con il sangue degli ucraini, ben sapendo che nessuno, non gli americani ma nemmeno gli europei, era disposto a versarne una sola goccia. Così, mille giorni dopo, siamo di fronte alla realtà. L’America è stanca del conflitto e lo è anche l’Europa, sebbene i suoi governanti fingano di non saperlo. Trump, dopo avergli detto che il presidente ucraino gioca con la vita di milioni di persone, ha cacciato Zelensky dalla Casa Bianca. Noi che faremo? Continueremo a dire che non si può darla vinta a Putin? Sì, nessuno vuole alzare bandiera bianca di fronte a un dittatore, ma l’alternativa qual è? Questa è la domanda che avremmo dovuto farci tre anni fa, ma è soprattutto la risposta che avremmo dovuto darci da quando è iniziata la guerra.
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Volodymyr Zelensky e Donald Trump (Getty Images)
Scontro senza precedenti alla Casa Bianca in diretta tv. Il presidente Usa caccia l’ucraino: «Irrispettoso, torni quando è pronto per la pace».
La guerra in Ucraina è perduta da tempo, forse da quando è fallita l’illusione di una controffensiva da parte di Kiev, ovvero due anni fa. Però ieri, dopo centinaia di migliaia di morti in più, dopo una montagna di miliardi andati in fumo e una terra ridotta allo stremo, abbiamo avuto la plastica rappresentazione della sconfitta. La lite in diretta tv fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky rappresenta lo stato della guerra. Sotto gli occhi dei giornalisti è andata in scena la realtà dei fatti, senza le finzioni della diplomazia, senza i sotterfugi con cui in pubblico i politici in genere addolciscono i fatti.
Qualcuno penserà che il duello in mondovisione sia tutta colpa del nuovo presidente degli Stati Uniti e che senza di lui non avremmo assistito a una scena agghiacciante. Ma la verità è che quando le guerre sono perse è meglio dirlo e soprattutto ritirarsi. E questa è un’operazione in cui gli americani, a prescindere da chi ci sia alla Casa Bianca, sono maestri. Quando valutano che non esistano margini per resistere e ribaltare il fronte, abbandonano il campo e lo fanno in tutta fretta, senza mezze parole, senza troppi imbarazzi. È successo in Vietnam, con le immagini che sono passate alla storia degli elicotteri che mettevano in salvo i funzionari dell’ambasciata a Saigon. Una fuga che riconosceva la sconfitta e lasciava il Paese al proprio destino, cioè ai guerriglieri filo comunisti. Più di recente è capitato anche in Afghanistan, con l’abbandono di mezzi militari e di quei civili che avevano aiutato gli americani durante il periodo della gestione alleata. Ora la storia si ripete in Ucraina.
Probabilmente il ritiro da un conflitto che gli Stati Uniti hanno combattuto virtualmente con armi e aiuti sarebbe avvenuto anche con Joe Biden, perché pressato dal Congresso anche lui non sarebbe stato in grado di sostenere una guerra costosa e destinata a protrarsi nel tempo. Con Trump, che dalla sua ha la brutalità e la franchezza dell’uomo d’affari abituato a negoziati duri, l’addio alle armi è stato repentino e senza giri di parole. L’America non ha più intenzione di continuare a sostenere un conflitto che non ha possibilità di essere vinto, ma che probabilmente rischia di estendersi, fino a trasformarsi in una guerra mondiale. E la reazione rabbiosa di Zelensky di fronte al mondo appare per quel che è: un gesto di stizza, una mossa disperata, forse una reazione orgogliosa ma che è soprattutto la rappresentazione della sconfitta. È dura riconoscerlo, ma le parole con cui il presidente americano ha liquidato quello ucraino sono la pura verità: senza l’aiuto degli Stati Uniti, Kiev non avrebbe potuto resistere due settimane di fronte ai carri armati russi. Si può anche dire che senza gli Usa probabilmente la guerra non ci sarebbe stata o per lo meno non sarebbe così lunga lunga e sanguinosa, perché un cessate il fuoco con qualche concessione alla Russia nei primi mesi era possibile. Di sicuro il sostegno occidentale ha motivato Zelensky e l’Ucraina a resistere, lasciando loro credere che avrebbero potuto farcela a ricacciare indietro i soldati di Vladimir Putin. A un certo punto, con la retorica delle sanzioni, della pace giusta, della difesa dei principi democratici, l’America e gli alleati hanno illuso Kiev che fosse addirittura possibile riprendersi la Crimea e il Donbass occupato undici anni fa.
Tre anni di morti e devastazioni, tre anni di crisi economica e di instabilità geopolitica hanno però dimostrato il contrario e fatto cadere il velo di ipocrisia di un Occidente che è disposto a combattere per gli ideali di libertà e pace ma solo a patto che a farlo siano gli altri. Si è finanziata una guerra per procura, la difesa della democrazia con il sangue degli ucraini, ben sapendo che nessuno, non gli americani ma nemmeno gli europei, era disposto a versarne una sola goccia. Così, mille giorni dopo, siamo di fronte alla realtà. L’America è stanca del conflitto e lo è anche l’Europa, sebbene i suoi governanti fingano di non saperlo. Trump, dopo avergli detto che il presidente ucraino gioca con la vita di milioni di persone, ha cacciato Zelensky dalla Casa Bianca. Noi che faremo? Continueremo a dire che non si può darla vinta a Putin? Sì, nessuno vuole alzare bandiera bianca di fronte a un dittatore, ma l’alternativa qual è? Questa è la domanda che avremmo dovuto farci tre anni fa, ma è soprattutto la risposta che avremmo dovuto darci da quando è iniziata la guerra.
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