La maggior parte delle cose che mi hanno insegnato a scuola, me le sono dimenticate. C'è stato un momento che sapevo a memoria gli affluenti di destra e di sinistra del Po. Che adesso mi sarebbero così utili, guai al mondo se me ne ricordo uno. E i logaritmi? C'è stato un periodo, che è durato all'incirca due settimane, che le tabelle dei logaritmi non avevan segreti, per me. Adesso, se mi capitassero sottomano, non saprei da che parte voltarle. E, sembrerà strano, sono trentotto anni che non vedo una tabella dei logaritmi neanche pitturata. Meno male, perché non saprei cosa farci.
Ci sono cose, invece, tra quelle che mi hanno insegnato a scuola, che non me le dimentico fintanto che scampo. Mi ricordo un supplente di inglese, alle superiori, che abbiamo avuto solo per un'ora, ci ha insegnato una filastrocca, in inglese, che io, da allora, quaranta anni fa, non me la sono mai dimenticata: «How much wood would a woodchuck chuck, if a woodchuck could chuck wood? A woodchuck would chuck all the wood, if a woodchuck could chuck wood». Dove woodchuck è «marmotta», to chuck significa «masticare», e la filastrocca si potrebbe tradurre: «Quanta legna masticherebbe una marmotta se una marmotta potesse masticare la legna? Una marmotta masticherebbe tutta la legna se una marmotta potesse masticare la legna». E ce l'aveva fatta ripetere, quel supplente, ad alta voce, a tutta la classe, sempre più veloce, e dopo un po' si riusciva a dire velocissimamente, provate.
Sono contento, di quel supplente di inglese, mi ha fatto un regalo che non ho più dimenticato, mentre altre cose che mi hanno insegnato a scuola preferirei dimenticarle e non ci riesco. Come l'abitudine, che mi hanno inculcato fin dalle elementari, a non fare ripetizioni e a usare dei sinonimi. Milan Kundera, in un testo sulla traduzione (tratto dai Testamenti traditi, Adelphi 2010, traduzione di Maia Daverio), scrive che quasi tutti i traduttori soffrono del riflesso di sinonimizzazione. «Se nello stesso paragrafo del testo originale - scrive Kundera - compare due volte la parola “tristezza", il traduttore, contrariato dalla ripetizione (che considera un oltraggio alla doverosa eleganza stilistica), sarà tentato di tradurre, la seconda volta, con “malinconia". Ma c'è di più: il bisogno di sinonimizzare è ormai così profondamente radicato nell'animo del traduttore che questi opta da subito per un sinonimo: traduce “malinconia" laddove nel testo originale c'è “tristezza", traduce “tristezza" laddove c'è “malinconia"». «Faccio questa constatazione - conclude Kundera - mentre sto rivedendo la traduzione di un mio breve testo: io scrivo “autore", e il traduttore mette “scrittore"; io scrivo “scrittore", e lui traduce “romanziere"; io scrivo “romanziere", e lui traduce “autore"; se scrivo “verso", traduce “poesia"; se dico “poesia", traduce “poemi"».
Questa è una piccola serie di articoli sulle cose che siamo così abituati a fare che non ci accorgiamo neanche più di farle, le facciamo come se fossimo anestetizzati, come se «dormissimo la nostra vita di un sonno senza sogni» (Georges Perec), e la lingua è una delle cose che mi sembra subisca forse più di tutte la dittatura dell'abitudine; e tra i tic linguistici più radicati c'è l'idiosincrasia alle ripetizioni.
Se uno si mette a scrivere, cioè se si sforza di scrivere in modo consapevole, e di usare le parole non come gli hanno insegnato a scuola, ma come gli sembra che vadano usate, se ne accorge subito. Io, per esempio, nei primi tempi della mia pratica di scrittura, ho avuto un'esperienza con una rivista bolognese, che poi è finita dentro un romanzo che si chiama Diavoli, che mi sembra racconti bene quel che succede e mi sembra sia un esempio col quale si può concludere questo articolo. Il protagonista del romanzo, che si chiama Learco Ferrari, ricorda un momento in cui aveva appena ricevuto una rivista con un suo racconto, e dice così:
«Allora, ero lì che leggevo il mio racconto, felice e contento come un pascià, arrivavo in un punto c'era scritto Generalmente, quando comincia una storia, la storia parte da una conversazione telefonica. Ma guarda che brutta frase che ho scritto, pensavo. Allora andavo avanti a leggere il mio racconto, mi ricordo, arrivavo a una frase che c'era scritto Premo forte, affondo le dita nella tastiera del computer. Be', pensavo, come mai ho scritto una frase così strampalata, cosa avevo nella mia testa quando scrivevo questo racconto?
Dopo mi veniva un dubbio, nella mia testa, uno di quei famosi dubbi editoriali che ti vengono quando nella tua vita la letteratura è troppo importante, che ti viene il sospetto che nel mondo della letteratura tutti si comportano come dei cialtroni ignoranti che non sono capaci di fare una cosa fatta per bene come si deve, che quando ti si presenta dentro la testa uno di questi dubbi, mi ricordo, non c'è niente da fare, mi ricordo, che te puoi dirti Ma dài, Ma cosa vai a pensare, Ma figurati, puoi dirti, ma non pensarci neanche, puoi dirti, Ma cosa ti salta in mente, puoi dirti, puoi dirti quello che vuoi non c'è niente da fare, quando ti viene dentro la testa uno di questi famosi dubbi editoriali te sei trasportato da una forza esterna e misteriosa che ti fa alzare da letto, ti fa accendere il computer, ti fa andare a cercare il file con il racconto che gli avevi mandato, a quella rivista di Bologna, ti fa andare a leggere quei due punti che ti suonavano così male, quando li leggevi nella rivista. Dopo magari trovavi che il primo punto, nel file che gli avevi mandato c'era scritto Generalmente, quando comincia una storia sentimentale, la storia comincia da una conversazione telefonica. La storia comincia, mica la storia parte. Allora dopo ti cominciava a venire il nervoso, quando facevi questa scoperta, e nella tua testa cominciavi a pensare dei nomi, però stavi ancora calmo e tranquillo e andavi avanti a cercare e trovavi che nell'altro punto, nel file che gli avevi mandato a quella rivista lì di Bologna, c'era scritto Premo forte, affondo le dita nella tastiera. Nella tastiera punto, senza del computer. Allora dopo cominciavi a picchiare il muro coi pugni, per fortuna c'è il cartongesso nel tuo appartamento, Teste di cazzo, cominciavi a dire, Ignoranti, Teste di cazzo, Chi cazzo siete, dicevi, e via un'altra scarica di pugni. Eh sì, stavi proprio male, quel giorno lì. Han sostituito comincia con parte, pensavi, che loro a scuola la maestra gli ha insegnato che non bisogna fare le ripetizioni, pensavi, han paura che la maestra gli corregge anche la loro rivista, che si vede che gliela mandano, alla loro maestra, che poi la maestra gliela manda indietro con le osservazioni, gli dà i voti, si vede, dal cinque al sei, deficienti, pensavi. Io ripeto tutte le volte che voglio, pensavo, teste di cazzo. Io scrivo comincia tutte le volte che voglio, coglioni, comincia comincia comincia comincia comincia comincia comincia, teste di cazzo coglioni che rimarrete sempre degli alunni a vita, che siete preoccupati delle vostre maestre, coglioni teste di cazzo, pensavi, teste di cazzo coglioni».
(6. continua)
Bene figlioli, non siete stati a scuola il venerdì? È il primo errore. L'ecologia è una scienza estremamente complessa. Occorre conoscere la biologia, l'economia, la geografia, un po' di antropologia e anche la storia per evitare di fare errori già fatti. Occorre conoscere la chimica e la biochimica. A scuola semmai bisogna andarci un giorno in più non un giorno in meno.
Avete saltato un venerdì di scuola? E allora occupiamoci di ambiente e facciamo le cose serie. Per prima cosa dobbiamo avere chiaro che se consumiamo meno e inquiniamo meno, persone che attualmente producono le cose che noi compriamo e buttiamo resteranno disoccupate. Per questo è importante che queste persone siano lentamente spostate su fabbricazione di oggetti artigianali, sicuramente più gratificanti della produzione industriale, ma è evidente che questi oggetti costeranno moltissimo. Una sciarpa potrebbe costare tre giorni di stipendio.
stilografica
Come si fa a salvare il pianeta? Consigli spiccioli. Non compriamo nulla che sia fatto in Cina: la Cina è il maggiore inquinante del mondo e i trasporti uccidono il pianeta. Niente bottiglietta di plastica. Borraccia. Niente alluminio. Acciaio. Costa di più e dura 100 anni: la lasceremo in eredità ai nostri nipoti nella fortunata e giuliva evenienza che esistano. Niente penne biro: stilografica e basta, possibilmente in acciaio, ma sono ammessi anche altri materiali. Se possibile prendetela con il serbatoio a inchiostro: niente cartucce. Per inciso sarebbe interessante fare una specie di esperimento: girate tutta la vostra casa con una ciotola in mano, aprite anche i cassetti, guardate nelle borse, poi mettete nella ciotola tutte le penne e pennarelli, o quello che sono, che trovate in giro. Poi fate la conta, calcolate un euro a pezzo e vedete che cifra viene fuori. Stilografica, una sola e sappiamo sempre dov'è. E poi scrivere con la stilografica è un piacere esattamente come un piacere è avere una sciarpa di lana buona. E fino a qui è stato facile. Adesso arriva il difficile. Cosmetici. No, mai. Niente da fare. Inquinano: sostanze chimiche, coloranti e poi gli involucri e sono contenuti in confezione di plastica. È vero, truccate siamo molto più carine, ma se ve ne importa qualcosa del pianeta, oltre a saltare la scuola il venerdì rinunciate ai cosmetici, e poi a motorino e smartphone, perché onestamente non siamo rimasti impressionati dalla vostra fede quando siete risaliti sui motorini dopo le preziose manifestazioni. Tra l'altro i cosmetici sono a contatto con la pelle, che ha una grandissima capacità di assorbimento, quindi: i cosmetici, via.
E la crema per la pelle, quella roba lì? Olio extravergine di oliva. Se non desiderate profumare come un'insalata potete aggiungere qualche goccia di olio essenziale di menta o di limone. Shampoo. Io adoro lo shampoo, come si fa a resistere, sono magnifici gli shampoo, c'è quello che ha dentro la papaia, il mango, l'avocado, si potrebbe anche mangiare. In caso di guerra nucleare e relativa carestia, potrebbe far comodo. Poi c'è lo shampoo al lichene di Irlanda, che non so che diavolo sia, ma suona benissimo. Niente shampoo, sia per i componenti chimici sia per l'involucro evidentemente di plastica. Sapone di Marsiglia. Onestamente il sapone di Marsiglia i capelli li lava. Sono un po' abbacchiati, un po' opachi ma comunque sono puliti.
Ora i consigli un po' più seri: niente anticoncezionali. Sono buoni. Finiscono nelle nostre urine e dalle nostre urine nelle fogne, dalle fogne nei laghi, nei fiumi, nel mare e sono un inquinante micidiale. E anche i preservativi, figlioli, sono una plastica micidiale. Anche gli antiretrovirali che servono per curare l'Aids e gli antibiotici che servono per curare la sifilide sono inquinanti, quindi se volete salvare il pianeta, una vita sessuale fondata su castità, fedeltà e il calcolo dei giorni fertili, per evitarli o per non evitarli a seconda che non vogliate o vogliate un figlio, sono quello che vi serve, se veramente del pianeta ve ne importa qualcosa. E in effetti, a voi importa. Non è stato solo per saltare la scuola, per farsi di spinelli e birre sulle panchine (vi abbiamo visto), per farsi un giro in più nella gara di chi ha il motorino più veloce. C'era anche un desiderio feroce di qualcosa in cui credere: per questo vi dico: fermatevi.
i fratelli grimm
E fino a qui abbiamo scherzato. E adesso figlioli, la roba seria. Imparate a non farvi infinocchiare dal potere. Ho usato un eufemismo, la parola che ho in mente non è infinocchiare e comincia per F. Sì, lo so, è una parolaccia, ma tanto la conoscete. Greta è stata accolta come una regina furiosa in un'assemblea chiamata Onu. L'Onu nel 2010 ha dato la presidenza della commissione sui diritti delle donne a una nazione che si chiama Iran, che proprio in quegli stessi giorni stava discutendo se, quando si lapidano le adultere, è meglio interrarle con tutto il busto fuori o è meglio seppellirle con solo la testa fuori. Ha vinto la seconda opzione. Qualsiasi cosa arrivi dall'Onu, fidatevi, è manipolazione. Dietro la vostra libera protesta capitanata dai vostri insegnanti e incoraggiata dal ministro della Pubblica istruzione, c'è il potere, e il potere vi vuole scemi. Chiunque vi racconti che con scioperi e cortei voluti dal potere si ottenga qualcosa, vi sta mentendo: perdete solo un giorno di scuola, cioè un pezzetto di quella conoscenza che, solo lei, può salvarvi. Per ottenere qualcosa occorrono studio, impegno, lavoro e dolore e, a volte cortei, ma di certo non quelli voluti dal ministero. Ogni giorno in cui mancate da scuola, vi rende più ignoranti, quindi più manipolabili.
Guardarvi sfilare mi ha ricordato la fiaba, quella del Pifferaio di Hamelin dei fratelli Grimm. Il racconto ha un antecedente storico. Nel XIII secolo successe ad Hamelin in Bassa Sassonia qualcosa di atroce e terribile. Successe il peggiore incubo che può succedere a un popolo. Qualcuno rubò i bambini. L'episodio risalente fu dipinto su una vetrata della cattedrale di Hamelin, descritto in fiabe e poesie, citato anche da Goethe nel Faust. Forse fu il diavolo, ma il signore degli inferi non può prendere gli innocenti. Forse un morbo, ma non ce n'è nessuno che rubi solo i bambini e lasci vivi gli adulti. Qualcuno ha veramente rubato ad Hamelin e all'Europa i suoi figli. Un pifferaio, un reclutatore sottrasse i figli alle madri impotenti, ai padri esautorati da un'autorità più grande di loro, al di là di ogni possibile contrattazione Nel XIII secolo un gruppo di truffatori organizzò la cosiddetta crociata dei bambini: bambini sono stati reclutati, tolti alle loro case e mandati a fare la guerra santa, a liberare Gerusalemme. Molti sono morti sulle strade tedesche e italiane, tutti gli altri sono stati venduti schiavi dalle stesse navi che avevano promesso di portarli fino alla Terra Santa dove nessuno di loro è mai arrivato.
illusioni
Nel Pifferaio di Hamelin, un uomo con il suono del suo piffero attira i bambini verso il disastro. Greta vi ha dato l'illusione di star combattendo una guerra santa. Teorie scientifiche discutibili, manipolate e spacciate per certezza, e il vecchio infantile sogno della sinistra che protestando tutti insieme si impressioni il potere e si modifichi il mondo, vi hanno trascinato come bambini dietro al pifferaio. Il potere vi ha messo nel sacco. Avete scioperato per avere tasse più micidiali. Avete scioperato per avere salari sempre più miserabili. Avete scioperato perché le industrie cinesi, mai nominate da Greta, invadano i vostri mercati. Avete scioperato per l'eutanasia obbligatoria. Avete scioperato per l'aborto obbligatorio al secondo figlio, o forse anche al primo. Io vi prego di fare la rivolta. Quella vera. Il potere vi vuole scemi. Buttate via la cannabis, lavatevi con il sapone di Marsiglia, usate la stilografica e soprattutto raddoppiate le ore di studio. Fate un dispetto al potere. E costruitevi il vostro futuro. Nessuno ve lo deve. Dovete farlo voi.
Islamofobia
Psicoreato. Insieme all'omofobia, l'islamofobia è l'accusa ultima, la stigmate dei reprobi. Dopo aver superato, lasciando sul campo morti e feriti, i grandi totalitarismi del XX secolo, la libertà di parola si è schiantata come una libellula spiaccicata sul parabrezza del politicamente corretto. «La grande forza motrice degli oligarchi è la loro convinzione di fare del bene», diceva Jack London.
Convinzione, è solo una convinzione. Non è che lo facciano sul serio, il bene, ma dato che loro sono il bene, gli altri devono essere il male. L'accusa di islamofobia non paralizza solo la parola, annebbia anche le capacità di prevenzione del terrorismo che possiamo chiamare internazionale oppure religioso, purché non lo chiamiamo islamico. All'indirizzo bit.ly/31Oair8 troverete il libro Islamofobia, lo psicoreato del futuro totalitario. Gli autori, David Horowitz e Robert Spencer, devono girare con la scorta, quindi vale la pena di leggere quello che scrivono. Il libro spiega come, per il timore di essere accusati di islamofobia nell'America di Barack Obama, che comportava il blocco della carriera, il rischio di licenziamento, un corso di rieducazione in dieci lezioni da seguire (subire?) in moschea, le persone non abbiano denunciato comportamenti molto sospetti in situazioni in cui il sospetto era dannatamente giustificato e non siano stati evitati atti di terrorismo (internazionale e/o religioso), che sarebbero stati evitabili. Quindi impariamo a essere maleducati. Impariamo a essere cattivi. Impariamo l'incredibile arroganza di dire che ci sentiamo meglio a vivere senza che nessuno ci accoltelli sui treni, ci schiacci con un camion sul lungomare di Nizza, ci massacri a un concerto di una cantante onestamente mediocre, ma non per questo bisognava fare una strage. Ritroviamo il coraggio delle parole: si dice terrorismo islamico. La signora Laura Boldrini si arrabbierà e non ci inviterà più per il tè, e noi ce ne faremo una ragione.
Latino
Scrive Niccolò Machiavelli nella Lettera a Francesco Vettori (10 Dicembre 1513):
«Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch'io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro».
Anche se non arriveremo a leggere Marco Tullio Cicerone come Machiavelli, sapere il latino è bellissimo, capire la citazione, riconoscere il senso delle sillabe nel verso della preghiera è entusiasmante. Negli anni Cinquanta, quando sono nata io, avevamo i messali italiano-latino: a un certo punto cominciavi a capire e a cavartela. Era la lingua sacra che tutti conoscevano, anche gli analfabeti. Non era un sistema di snob per discriminare il povero e quindi l'incolto, era il sistema per innalzare il povero e l'incolto. Tutti sapevano l'Avemaria e il Pater in latino. L'analfabeta o l'incolto nell'imparare l'Avemaria in latino vestiva a sua volta panni reali e curiali, per usare la bellissima espressione di Machiavelli, offriva a Dio quella maggiore fatica, quel suo maggiore sforzo e ne ricavava fierezza. Inoltre, essere confrontati tutte le domeniche con la messa in latino ci rendeva sostanzialmente bilingui. Questo favoriva, anche in epoche di gravi analfabetismi, una capacità linguistica che adesso, incredibilmente, in epoca di scuola dell'obbligo, si è persa. Nei vicoli di Napoli gli analfabeti degli anni Cinquanta parlavano un linguaggio più ricco e corretto degli alfabetizzati attuali. Il latino era la lingua comune dell'Europa: era la nostra identità.
I miei atlanti di anatomia erano ancora scritti in latino. Ai congressi scientifici fino al 1800 si parlava latino. Le grandi università, ovviamente fondate dal Vaticano, a cominciare dalla più antica università d'Europa, quella di Bologna, l'Alma mater studiorum, insegnavano in latino, così che tutti, anche persone non di lingua italiana, potessero studiarvi. Il latino era la lingua sacra, che dava sacralità alla messa e alla preghiera. Una volta buttato via questo, è risorta Babele. Se morirò in Irlanda non capirò l'estrema unzione. In Polonia non capisco la messa.
Lato oscuro
Il lato demente della nostra epoca è il tentativo continuo e costante di nascondere il nostro lato oscuro. È il delirio del politicamente corretto. La collera, l'aggressività, il dolore, la violenza, fanno parte dell'essere umano, ne sono costituenti normali. Ora sono diventati i crimini. E quindi, strutturalmente criminali, sono gli uomini che strutturalmente hanno una maggiore aggressività, e che vengono descritti dal femminismo storico come strutturalmente cattivi.
Noi siamo anche il nostro lato oscuro. Senza il nostro lato oscuro non siamo perfetti, siamo incompleti, atrocemente zoppi (e si dice zoppi, non diversamente abili). Nel Vangelo c'è scritto zoppo, cieco e muto: quelle sono le parole del dolore, perché il dolore può essere consolato e può anche renderci forti come lo sono le spade di acciaio temprate nel fuoco, ma a patto di non negarlo, di guardarlo in faccia.
Il lato demente della nostra epoca è l'eliminazione del dolore. Tutto. La vergogna è dolore. La paura è dolore. Quindi li eliminiamo. Eliminiamo il lato oscuro. Schiacciare un bambino con la vergogna è un gesto grave, che lo renderà insicuro. Permettere a un bambino di non provare mai vergogna è in comportamento folle che lo spingerà verso il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale, ampollosi termini in «psicologichese» con cui oggi si indica il piacere di fare il male. Quanto la mia cagnolina Favola è scappata in mezzo alle vigne con il labrador della vicina di casa mentre era in calore e mi ha scodellato i cuccioli, sono rimasta ammirata per la sua capacità di fare la cosa giusta al momento giusto. Quando i cuccioli erano piccolissimi lei era dolcissima, quando sono stati più grandi lei li metteva in riga quando sgarravano a sganascioni e ringhiando. Si rifugiavano sotto il termosifone. Quindi il processo educativo necessita di amore, guida, accoglienza e timore. Dove non c'è timore non può esserci processo educativo. Questo suona terribile. Il timore? No. Mai. E invece è così: il processo educativo necessita di timore, il timore di rabbuiare la mamma, il timore dell'insufficienza. Tra l'altro imparando a sfidare il timore si impara il coraggio. Bambini di tre anni che tengono in pugno i genitori, sedicenni che informano che loro non andranno più a scuola? Questi figli sono stati allevati secondo i dettami della pedagogia demente: senza timore. Che nessuno si faccia illusioni: dove non c'è timore il processo educativo si ferma. Non può esserci solo timore come nella terrificante pedagogia cosiddetta nera del pedagogista tedesco Daniel Paul Schreber, ma non può esserci l'assenza del timore. Un bambino è perfettamente in grado di tollerare il timore del padre o della madre. È la mancanza di processo educativo che lo annienta, lo riduce a un piccolo reuccio terrorizzato.
E anche l'aggressività è una componente indispensabile, senza la quale saremmo finiti per fare da merenda alle tigri dai denti a sciabola e non avremmo superato l'era glaciale. Privi del lato oscuro diventiamo fiocchi di neve.







