Ecco #DimmiLaVerità del 23 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico commentiamo l'azione dei giudici nei casi della famiglia del bosco e di Vittorio Sgarbi.
Alessandro Giuli (Imagoeconomica)
Pro Vita: «Rotto il patto di coerenza tra governo ed elettori». In Fdi molti sarebbero sconcertati per l’avallo del premier all’operazione. Sgarbi: «Decisione stravagante».
Nonostante le polemiche di questi giorni Francesco Spano ieri mattina è stato nominato capo di gabinetto del ministero della Cultura. Prende il posto di Francesco Gilioli, rimosso dal ministro Alessandro Giuli lo scorso venerdì 11 ottobre per essere «venuto a mancare il rapporto fiduciario». Una revoca che, secondo fonti autorevoli, non sarebbe dovuta al caso Boccia, ma che arriverebbe perché Gilioli avrebbe fatto trapelare notizie riservatissime, anche se al momento non ci sono prove.
Il mondo dei pro vita fin da subito ha fatto capire chiaramente di non gradire la scelta dell’ex direttore dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali di Palazzo Chigi durante il governo di Paolo Gentiloni. E quindi, avuta l’ufficialità, l’associazione Pro Vita e Famiglia Onlus ha reagito chiedendo immediatamente la revoca della nomina. «Spano è noto alle cronache per lo scandalo che lo travolse nel 2017, quando emerse che l’Unar aveva finanziato con 55.000 euro un’associazione Lgbtq, di cui lui stesso sarebbe stato socio, accusata di praticare nei propri circoli prostituzione, scambismo e promiscuità sessuale di ogni genere, tra “dark room” e “glory hole”», ha ribadito Antonio Brandi, presidente dell’associazione. «La portata della polemica fu tale che nemmeno il governo di allora poté difendere Spano ed evitarne le dimissioni. Dopo sette anni, Spano rientra nella compagine del governo guidato da Giorgia Meloni, che all’epoca dei fatti non solo pretese le dimissioni di Spano, ma chiese giustamente la chiusura dello stesso Unar, un ente colonizzato dall’associazionismo Lgbtq».
Ci va giù duro anche il portavoce della Onlus, Jacopo Coghe: «La promozione di Spano è un’indecenza politica che tradisce il patto di coerenza tra la maggioranza di governo e gli elettori, che non hanno votato Fratelli d’Italia per veder tornare in un ruolo chiave un funzionario di area Pd travolto dallo scandalo dei finanziamenti alle associazioni Lgbt quando era direttore dell’Unar», accusa. E aggiunge: «Nel 2017 Giorgia Meloni affermò che le tasse degli italiani non potevano essere “buttate” per pagare lo stipendio di Spano, stipendio che ora sarà nuovamente pagato dai contribuenti proprio grazie al suo governo. Gli elettori di centrodestra sono furiosi per questa incoerenza, come dimostra la sfilza di commenti critici sui social network e la petizione che Pro Vita & Famiglia aveva lanciato contro la nomina di Spano, che in poche ore ha raccolto quasi 15.000 firme». Secondo Coghe poi, anche fonti interne a Fratelli d’Italia avrebbero confidato il loro sconcerto per l’avallo del premier su questa vicenda.
Il portavoce di Pro Vita e Famiglia Onlus, allarga poi le sue critiche all’intero operato del governo sui temi della famiglia. «La nomina di Spano è ancor più allarmante considerando che in due anni il governo non ha fatto assolutamente nulla per arginare la diffusione dell’ideologia gender nelle scuole, assistendo inerme al moltiplicarsi di corsi e progetti promossi dal movimento Lgbtq e dell’illegale carriera alias. Il dato politico è che, da oggi, al ministero della Cultura lavora un funzionario legato al Pd in più di ieri, e questo ci costringerà ad aumentare la vigilanza su ogni singolo euro delle tasse degli italiani che, oltre allo stipendio di Spano, sarà usato dal ministro Giuli per finanziare e promuovere film, mostre ed eventi di matrice gender e woke».
L’accusa insomma è pesante, e non tradisce l’evidente delusione di questi movimenti che, a detta di alcuni, negli anni avrebbero tentato di indirizzare molto, forse troppo, le decisioni di Fdi. Questa nomina dimostra il contrario. Giuli infatti è andato dritto sulla sua scelta non lasciandosi influenzare da un mondo che, va detto, ha portato molti consensi al partito di Giorgia Meloni, e che oggi chiede di essere ascoltato. Interpellato, anche l’ex sottosegretaio al Mic, Vittorio Sgarbi ha commentato la nomina definendola «stravagante» ma che dipende «dal rapporto di fiducia tra i due». Sul ruolo del premier: «Penso che se il presidente del Consiglio avesse o avrà delle obiezioni lo dirà direttamente. Mi pare nulla di misterioso». Infine aggiunge: «Vedo che c’è sicuramente un dibattito e una inquietudine soprattutto da parte del gruppo Pro Vita, che capisco, è comprensibile. Ma questo non fa diventare una persona colpevole in eterno di un errore di cui si è parlato nel passato».
La vicenda si concluse con un nulla di fatto. Spano si dimise ma poi la Corte dei Conti lo scagionò confermando la regolarità del bando e dei fondi. Lui disse di non essere a conoscenza delle attività che si svolgevano in quei luoghi anche se poi il programma Le Iene dimostrò che possedeva la tessera di quelle associazioni. Ciò che conta per Giuli, in ogni caso, è l’affidabilità e la professionalità che Spano ha saputo dimostrare lavorando con lui alla Fondazione Maxxi, quando ricopriva l’incarico di segretario generale.
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Vittorio Sgarbi (Imagoeconomica)
Continua il balletto sull’addio all’esecutivo dell’(ex?) sottosegretario: «Me ne vado, ma ora l’Antitrust indaghi su tutte le istituzioni». Il premier: «Si limiti ai fatti oggettivi».
«Sayonara» per Sgarbi direttamente dal Giappone. Il premier Giorgia Meloni, a Tokyo per il passaggio di consegne per la guida del G7, chiude il caso Vittorio Sgarbi e le sue dimissioni, con retromarcia, da sottosegretario ai Beni culturali. «Trovo corretta dopo il pronunciamento dell’Antitrust la decisione di dimettersi, per cui accolgo le dimissioni. Aspetto di incontrarlo a Roma per accoglierle. Sgarbi ha potuto contare su un governo che ha atteso elementi oggettivi. Ora spero che non pretenda che quello stesso governo sugli altri decida su elementi non obiettivi. Sarebbe eccessivo». Il critico d’arte, infatti, in una lettera indirizzata alla premier e pubblicata sul Corriere della Sera all’indomani delle «teatrali» dimissioni durante un evento organizzato da Nicola Porro, è passato subito all’attacco: «Se il governo, per mano di un suo ministro (cioè Gennaro Sangiuliano, al quale Sgarbi non perdona di aver inoltrato all’Agcm le lettere anonime che denunciavano l’incompatibilità, ndr) ha promosso un’indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo, è giusto che io chieda all’Antitrust che si estenda l’indagine a tutte le istituzioni, con gli stessi criteri. Non per ritorsione, ma per rispetto delle istituzioni alle cui decisioni io mi sono rimesso. E che tu ti faccia garante della integrità del governo quanto a possibili incompatibilità, se a me non è consentito parlare e promuovere in ogni modo l’arte e le mie idee».
E a proposito della sua «autosospensione» sempre nella lettera chiariva: «Io mi sono assolutamente dimesso ma i tempi presuppongono quelle che io chiamo dimissioni in due tempi: io da questo momento non ho deleghe attive e non voglio esercitarle». Infine in conclusione aveva sottolineato: «Meloni non mi ha chiamato, e non mi sono sentito affatto solo, ma se vuole chiamarmi mi chiami e io farò quello che mi dice».
In ogni caso il premier ha già accettato le dimissioni dopo che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva pubblicato sul bollettino settimanale la delibera nella quale si confermava che esercitando la sua attività di critico d’arte contemporaneamente alla carica di sottosegretario di governo, Sgarbi aveva violato la legge Frattini sul conflitto di interessi. Si legge infatti nel testo dell’Agcm: «Secondo la denuncia pervenuta in Autorità, i collaboratori del prof. Sgarbi [omissis] e [omissis] condurrebbero con soggetti terzi vere e proprie trattative con l’unico obbiettivo di avvantaggiarsi e ottenere una contropartita, ovvero un indebito profitto economico, che realizzano attraverso accordi commerciali, il cui oggetto è la prestazione d’opera da parte del prof. Vittorio Sgarbi. Verrebbero così organizzati eventi ad hoc (presentazioni dei suoi ultimi libri o messa in scena dei suoi spettacoli) ovvero, nel caso in cui gli eventi siano già programmati da parte di amministrazioni, enti od organizzazioni locali, s’inserisce la presenza del sottosegretario all’inaugurazione di mostre, musei ed eventi di vario genere».
Dopo le parole della Meloni pronta la risposta dell’ex sottosegretario: «Sono felice che abbia accolto le mie dismissioni ma io pongo una questione di tipo giuridico: quella della legittimità del ricorso al Tar da dimissionario. La questione che io ho posto oggi non riguarda il mio rapporto con lei: io mi attengo a quello che mi dice, il problema è quello che dicono gli avvocati. Però il ricorso lo farò in ogni caso». Comunque, in questo «lascio o non lascio», il diretto interessato aggiunge: «Confermo le mie dimissioni, che saranno esecutive alla fine del percorso amministrativo che prevede il pronunciamento del Tar dopo il mio ricorso. Me ne andrò anche nel caso di una sentenza favorevole». Anche perché secondo l’ormai ex politico la delibera dell’Autority è chiara: «Non posso fare la vita che ho fatto per cinquant'anni, non posso essere me stesso e essere sottosegretario, come si capisce subito leggendone la forzata motivazione, di una decisione tanto politicamente corretta, quanto giuridicamente scorretta». Insomma Sgarbi pare voglia vendere cara la pelle anche se domenica sera sono arrivate nuove accuse da Report, trasmissione Rai durante la quale il critico d’arte aveva lanciato urla ed insulti ad un giornalista. Dopo aver sollevato la vicenda del furto del quadro del ’600 di Rutilio Manetti per la quale Sgarbi è indagato per autoriciclaggio di beni culturali, nell’ultima puntata è stato intervistato il suo ex assistente Dario Di Caterino secondo il quale il sottosegretario «ha ricevuto soldi anche in contanti» per le sue attività personali, mentre già faceva parte del governo. Inoltre si è fatto riferimento ad autisti utilizzati come prestanome: uno di loro sarebbe stato ricompensato con un assessorato antimafia in uno dei tanti Comuni guidati da Sgarbi in questi anni come sindaco.
Nel frattempo, mentre Sgarbi temporeggia, da Pd e M5s arriva una richiesta di chiarezza. «Apprendiamo che la presidente del Consiglio ha ricevuto una lettera firmata dal “sottosegretario dimissionario”, Vittorio Sgarbi, che annuncerebbe una trattativa con il governo su modalità, tempi e conseguenze delle sue dimissioni. Siamo davanti a una situazione mai accaduta che getta le istituzioni nel ridicolo e nell’imbarazzo. Meloni dica con chiarezza se Sgarbi si è dimesso o no. E, in caso contrario, chiuda questo balletto inqualificabile e proponga immediatamente al presidente della Repubblica il decreto di revoca del sottosegretario», dice la capogruppo dem nella commissione Cultura della Camera, Irene Manzi. Invece i colleghi pentastellati di Camera e Senato Antonio Caso e Luca Pirondini chiedono che «l’agonia» venga chiusa definitivamente.
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Vittorio Sgarbi (Imagoeconomica)
Caro Vittorio Sgarbi, ti scrivo questa cartolina perché ti ho incontrato in tv, nel giorno in cui hai annunciato le dimissioni, e mi sei sembrato improvvisamente sollevato. E allora, adesso che hai «minacciato» di tirarla per le lunghe, dicendo: «Le dimissioni? Le devo ancora negoziare con il governo, sarà una agonia lunga»: ripeto la domanda: «Perché mai sei diventato sottosegretario?».
A parte che già la parola «sottosegretario», oltre a indicare una carica sicuramente troppo limitata per contenere il tuo ego, è orrenda e mal si addice a un cultore della bellezza come te, ma come fai a non renderti conto che il fatto stesso di essere nelle istituzioni è incompatibile con l’essere Sgarbi? Te lo dico con affetto e con stima, anche se in passato tu hai usato per me parole di una violenza inaudita. Abbiamo fatto pace proprio perché tu sei Sgarbi. E da te si accetta anche l’insulto, la parolaccia, la pipì fuori dal vaso, il gesto estremo e/o dannunziano. Lo si accetta in nome della tua cultura, della tua preparazione, del contributo che hai dato e continui a dare alla conoscenza dell’arte e anche, più in generale, al nostro pensiero. Spesso è difficile essere d’accordo con te, ma in quello che dici brilla sempre una luce di spiazzante intelligenza, che è rara nel nostro Paese. E perciò va tutelata come un’oasi Wwf. Che cos’è dunque questa attrazione per le cariche istituzionali? Che bisogno hai del cadreghino con la targhetta del ministero? O della poltroncina di sindaco nei più sperduti paesi? Che cos’è questa bulimia assessorile che ti fa fagocitare qualsiasi ruolo politico e ti fa bramare anche ciò che non puoi avere (come il seggio di consigliere regionale in Lombardia)? Se davvero, come tu dici, il tuo unico intento è quello di contribuire alla cultura del Paese, credimi: è più facile farlo senza i legacci che inevitabilmente una carica istituzionale ti impone.
Perché tu, caro Vittorio, sei Sgarbi. Vivi alla Sgarbi. Parli alla Sgarbi. Ti muovi alla Sgarbi. Qualcuno l’altra sera in tv ti definiva una rockstar. Ma sì: come le rockstar pensi di poter vivere al di sopra delle regole dei comuni mortali, pensi ti sia lecito tutto, insulti al prossimo e patte dei pantaloni abbassate compresi. Però, vedi, se tu insulti qualcuno mentre sei Sgarbi è un conto. Se tu lo fai mentre sei sottosegretario o ministro o presidente dell’Onu è un altro conto. Se hai un incarico pubblico, per dire, hai il dovere di rispondere a giornalisti, che ti fanno delle domande, quali che esse siano. Io non so che cosa ci sia di vero o no nella storia dei quadri rubati e riapparsi, ma non si può impedire a chi fa il nostro mestiere di fare inchieste e chiederne conto a chi è al potere, in qualsiasi momento. E rispondere con gli auguri di morte si può fare (forse) se si è Sgarbi. Non certo se si è sottosegretari. Per questo, credimi, caro Vittorio, meglio così. Meglio le dimissioni. E anzi ti vorrei dare due consigli che forse ti faranno arrabbiare: lascia, subito e senza agonie, non solo questa ma tutte le altre cariche pubbliche che hai e prometti di non accettarne mai più. Così finalmente sarai Sgarbi. Soltanto Sgarbi. Infinitamente Sgarbi. E se vorrai insultarmi per questa cartolina, lo accetterò volentieri.
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Vittorio Sgarbi (Ansa)
Il critico: «L’ho meditato per due ore. Il ministro Sangiuliano? Uomo senza dignità».
Vittorio Sgarbi si dimette da sottosegretario e accusa il «suo» ministro Gennaro Sangiuliano di essere un uomo senza dignità. «È un colpo di teatro, sono due ore che medito se farlo o se non farlo. Mi dimetto con effetto immediato da sottosegretario del governo e lo comunicherò nelle prossime ore alla Meloni», ha detto Sgarbi a sorpresa dal palco della «Ripartenza», la kermesse ideata da Nicola Porro a Milano.
Durante l’evento Sgarbi ha spiegato che «l’Antitrust ha mandato una molto complessa e confusa lettera dicendo di aver accolto due missive anonime, che ha inviato il ministro della Cultura, in cui c’era scritto che io non posso fare una conferenza da Porro, non potrei parlare d’arte né occuparmi di arte. Questa conferenza, secondo quello che l’Antitrust mi ha inviato, sarebbe incompatibile, illecita, fuorilegge». Per questo, ha aggiunto, «mi dimetto e lo faccio per voi, per evitare che tutti voi siate complici di un reato, io parlo da questo momento libero del mio mandato di sottosegretario. Avete comunque un ministro e altri sottosegretari. Io riparto e da ora in avanti potrò andare in tv e fare conferenze».
Il riferimento di Sgarbi è all’istruttoria aperta per valutare se c’è incompatibilità tra le sue attività extra governo e il ruolo che ricopre al ministero, con le segnalazioni del ministro Sangiuliano sui compensi ricevuti. Vicenda su cui l’Antitrust dovrà pronunciarsi entro il 15 febbraio, anche se pare sia già pronto il verdetto. Il critico d’arte ha inoltre attaccato: «Non parlo con Sangiuliano, chi accoglie lettere anonime è senza dignità. Non l’ho sentito, non ci parliamo dal 23 ottobre quando mi ha dato la delega per occuparmi della Garisenda». Poi ha aggiunto: «Ringrazio il governo e in particolare Meloni di non avermi chiesto niente, neanche queste dimissioni, e di avere detto di aspettare l’indicazione dell’Antitrust. C’è stata un’azione precisa per portarmi a dimettermi».
Oltre al caso Mibac, però, per Sgarbi c’è anche la vicenda giudiziaria, con l’inchiesta della Procura di Macerata sul quadro di Rutilio Manetti rubato nel 2013, che ha provocato una bufera mediatica, dopo le urla e gli insulti che il critico ha rivolto a un giornalista di Report. «Ho espresso le mie imprecazioni come fa chiunque. Io sono noto per le mie imprecazioni, per le “capre”, ma non ho alcuna volontà di crudeltà e di morte per nessuno. Mi scuso, perché chi l’ha interpretato in una trasmissione che è stata particolarmente cruda, ma che era sostanzialmente una trasmissione con un’intervista non autorizzata, non voluta. D’ora in avanti augurerò la morte senza essere responsabile di essere sottosegretario e non voglio essere sottosegretario». Anche se ha annunciato che farà ricorso al Tar «perché si dica comunque che io non avevo un’altra professione, ne avevo solo una: essere Sgarbi, essere uno storico dell’arte».
Dimissioni eclatanti che, però, sembrano non bastare al Pd. «Meloni e Sangiuliano spieghino al Parlamento per quali ragioni il governo ha fatto orecchie da mercante sul caso Sgarbi», hanno dichiarato i componenti dem della commissione Cultura della Camera. «Il governo ha fatto di tutto per evitare di prendere una posizione chiedendo, in più occasioni, il rinvio dell’esame parlamentare della mozione di sfiducia. Per quali ragioni? Meloni, che dice di non essere ricattabile, dica come mai lei e il ministro della Cultura abbiano agito con tanta reticenza». Per il M5s si tratta di una vittoria: «Le dimissioni di Sgarbi sono una buona notizia per tutto il Paese. E il risultato concreto di tutti gli sforzi che il M5s ha messo in campo in questi mesi rispetto a una delle questioni morali più eclatanti tra quelle che attanagliano il governo. Evidentemente Giorgia Meloni e il suo esecutivo non potevano reggere alla mozione che abbiamo presentato e alla pressione mediatica anche internazionale che il caso ha suscitato».
Nei giorni scorsi Sgarbi si era anche dimesso dal Comitato nazionale sul Canova in polemica con il sindaco di Possagno che lo aveva escluso dalla Fondazione.
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