roma 2024

Confesso: Virginia Raggi suscita in me un sentimento di forte compassione. E non perché i suoi primi passi in Campidoglio si siano rivelati un po' incerti, ma in quanto mi rendo conto che contro di lei si è messa in moto una poderosa macchina da guerra. Qualsiasi cosa faccia o non faccia, la povera sindaca finisce nei guai e su di lei si riversano fiumi di parole, anzi di parolacce. Che la giovane avvocata prestata al Movimento Cinque Stelle fosse una cittadina poco esperta di cose amministrative e ancor meno preparata ad affrontare i trabocchetti comunali lo si poteva mettere in conto. Eppure stampa e tv non sembrano concederle tregua. Sbaglia a nominare un assessore? E vai con i titoli d'apertura in prima pagina. Inciampa sulle indagini in cui è finita la signora che deve provvedere a rimuovere il pattume dalle vie cittadine? Apriti o cielo. Ignazio Marino, che nominò a capo dell'azienda municipale dei rifiuti un tizio indagato per traffico di rifiuti e un capo dei vigili urbani senza i titoli per fare il capo dei pizzardoni, al massimo venne trattato con compatimento. A Virginia Raggi invece è riservato l'accanimento.

Intendiamoci: non mi sfugge la ragione di una simile accoglienza. Nonostante le frasi concilianti che in pubblico il presidente del Consiglio dedica a Virginia Raggi, è evidente che Matteo Renzi ha armato le sue truppe nel tentativo di dimostrare al Paese che il Movimento Cinque Stelle è incapace di governare e dunque, nel caso espugnasse Palazzo Chigi, non farebbe altro che danni. Roma è una battaglia decisiva per l'ex Rottamatore e se la perdesse, se cioè la sindaca pentastellata desse prova di saper far meglio di chi l'ha preceduta, alle prossime elezioni rischierebbe d'essere lui il rottamato. L'ordine di scuderia dunque è fermare Virginia Raggi subito, prima che possa fare qualcosa. Non dico far bene, anche solo dare la sensazione di essersi rimboccata le maniche per fare pulizia. Agli interessi di Renzi si sommano poi quelli di chi, con l'arrivo di una marziana in Campidoglio, vede minacciato il proprio potere e i propri affari. E perciò è partita la rumba. Ogni giorno porta la sua grana. Una volta è l'assessore sbagliato, un'altra l'appuntamento saltato, un'altra ancora la maledizione – falsa – della Chiesa.

Figuratevi adesso che c'erano in ballo le Olimpiadi, ossia il circo massimo degli appalti. Certa gente non vedeva l'ora di aggiudicarsi una commessa e di approfittare del magna-magna. Sapendo come in Italia sono finiti negli ultimi trent'anni i giochi invernali, quelli estivi e pure quelli primaverili, i Cinque Stelle fin da subito avevano detto: «No, grazie, niente Cinque cerchi. Se vinciamo noi le Olimpiadi non si fanno». E anche sulla base di questo impegno hanno chiesto i voti dei romani, i quali glieli hanno dati in misura generosa. Tuttavia Renzi e compagni hanno fatto finta di niente, come se la parola data prima di essere eletti valesse zero. Evidentemente, quando si giura in campagna elettorale, per la nostra classe politica di governo lo si fa con le dita incrociate e dunque non vale. E invece i Cinque Stelle, per una volta, ne hanno fatta una giusta, respingendo le lusinghe e anche le minacce. Il trattamento anti Raggi, che puntava a costringere la povera sindaca a cedere, schierandosi contro il Movimento e soprattutto contro chi l'ha eletta, non ha funzionato. E io me ne rallegro. Non soltanto perché finalmente c'è qualcuno che anche in politica ha una parola sola, e non due, tre o quattro come quasi sempre accade, ma anche perché, oltre ai rischi di sprechi e ruberie, con le Olimpiadi della Capitale vedevo il pericolo che il già strabordante debito della Città eterna debordasse oltre ogni misura. Capisco che Renzi si sia abituato a fare politica spendendo e spandendo (e l'aumento di 150 miliardi del debito pubblico in soli due anni e mezzo ne è la dimostrazione), ma c'è un limite che non si può valicare. Dunque, meglio così. Fine dei giochi: sia di quelli olimpici che di quelli di prestigio.

Fine dei Giochi. Virginia Raggi ha detto no alle Olimpiadi del mattone, no agli affari delle lobby, no allo sport utilizzato come pretesto per nuove colate di cemento sulla città.

Altro che pressione dei poteri forti, è un no forte e chiaro quello della sindaca alla candidatura di Roma ai Giochi 2024 e lo dice in una conferenza stampa, affollatissima, al fianco del suo vice Frongia, senza averne parlato prima con Giovanni Malagò, con cui aveva un appuntamento, «bucato». Mister Coni, infatti, ha abbandonato il Campidoglio piuttosto irritato dopo 35 minuti di attesa (ma quale sindaco è mai stato puntuale?) e addio tregua olimpica e diplomatica. Un ritardo che salva Roma anche se l'incontro non avrebbe sortito una scelta diversa tant'è che la Raggi ha ribadito la sua posizione già nota fin dalla campagna elettorale: «Non abbiamo mai cambiato idea, l'abbiamo rafforzata. È da irresponsabili dire sì a questa candidatura. Ci viene chiesto di fare altri debiti, noi non ce la sentiamo». E quel «noi» per Virginia sono i romani, perché dopo che il Pd ha trasformato il ballottaggio in un referendum, i cittadini, ben 800 mila, scegliendo lei hanno già scelto di non candidare Roma alle Olimpiadi 2024 e perché «i soldi da investire sono quelli dei romani, su progetti lontani dai loro interessi».

La Raggi, sorridente e poco tecnica, ha utilizzato le slide per illustrare i numeri e le immagini degli sprechi, a cominciare dalla Vela di Calatrava, a Tor Vergata, progettata per i Mondiali di nuoto del 2009 ed oggi uno scheletro abbandonato, piscine costruite con muri storti inutilizzabili mentre la Capitale paga ancora il mutuo, senza dimenticare che «all'interno della gestione commissariale, un miliardo di euro di debiti derivano ancora dalle Olimpiadi 1960».

Insomma più che «cinque cerchi» un assegno in bianco per un progetto non sostenibile che porterebbe debiti certi e investimenti incerti e che la Raggi non intende firmare. Anche perché, basta guardare le altre edizioni, i costi lievitano sempre rispetto a quelli preventivati. E non manca l'affondo politico contro l'ex premier Monti: «Quando fu lui a dire no, la sua posizione fu considerata responsabile, ora con i dati macroeconomici sono peggiorati le Olimpiadi sono diventate un affare». E, sottolinea ridendo la Raggi, che di questa scelta si parlò «venti minuti, dichiarazione di Monti compresa». Danno d'immagine ed erariale per il no dopo che la candidatura era stata annunciata dallo stesso Renzi nel lontano dicembre 2014? Virginia non ha un'esitazione: «I danni erariali li paghiamo per le incompiute degli eventi del passato, per quello d'immagine non siamo soli, ci sono Amburgo, Boston, Madrid che come noi non se la sentono di ipotecare il futuro dei cittadini».

Dire no alle Olimpiadi per la pentastellata è dire sì allo sport, fondamentale per la qualità della vita dei cittadini, sì ad impianti comunali funzionanti e accessibili a tutti.

La prossima settimana il consiglio comunale voterà la mozione per il ritiro ufficiale della candidatura. Malagò intanto aspetta l'amico Renzi di ritorno dagli Usa, per andare avanti con la candidatura, bypassando la sindaca della Capitale e per trasformare un sogno in un incubo per i romani.

È un giorno importante per Roma. Il sindaco Raggi, a quanto pare, annuncerà oggi la decisione sulle Olimpiadi del 2024. Le pressioni per convincerla che rifiutare un'occasione simile sia una «follia» sono state tante: chi le ha ricordato la figuraccia che farebbe il Paese, chi ha ipotizzato addirittura di bypassare la capitale e dislocare i Giochi chissà dove. Il coro dei colleghi, da altre città, incita ad accettare la sfida. Ma i conti sono un'altra cosa. E suggeriscono prudenza.

La candidatura dell'Italia ad ospitare le Olimpiadi del 2024 fu annunciata il 15 dicembre 2014 dal premier Matteo Renzi. Il palco era quello del Coni, in corso c'era una premiazione e accanto a Renzi sedeva il presidente, Giovanni Malagò. Nessun altro. A quell'epoca Ignazio Marino, sindaco della città che dei Giochi sarebbe dovuta essere protagonista, era già nell'occhio del ciclone e nessuno si preoccupò di farlo partecipe.

Secondo il Comitato Roma 2024, presieduto da Luca Cordero di Montezemolo, (almeno fino a quando Malagò lo riterrà opportuno, visto che il suo posto è stato offerto alla Raggi in cambio di un «sì»), «i giochi devono essere un acceleratore per i piani di trasformazione delle infrastrutture cittadine», il 70% degli impianti sportivi è «già disponibile» e per questo l'Italia «può permettersi un budget modesto». Il budget modesto ammonterebbe a 5,3 miliardi di euro e si tratterebbe di una spesa capace di ripagarsi da sola con «2,9 miliardi di euro» in benefici per l'economia, «una sferzata di adrenalina sul Pil», che potrebbe crescere dello 0,4% all'anno e «177.000 posti di lavoro» nei prossimi 8 anni. Oltre a ripagarsi da sola questa «modesta spesa», secondo Malagò e i suoi, sarebbe sufficiente per: organizzare i Giochi, costruire un Villaggio dello sport a Tor Vergata recuperando - contemporaneamente - le Vele di Calatrava (struttura fatiscente costata già più di 200 milioni di euro e lascito dei Mondiali di nuoto organizzati dallo stesso Malagò), organizzare il Foro Italico per ospitare le gare di nuoto, atletica, tennis e per le cerimonie di apertura e chiusura, costruire un velodromo, rimettere in sesto la Fiera di Roma, mettere in piedi un centro stampa su 40.000 metri quadrati di terreni pubblici e mettere mano a tutti gli impianti sportivi della città. Il tutto spendendo la metà di quel che ha speso Londra nel 2012. A supportare queste ottimistiche previsioni, oltre al dossier sui Giochi che illustra il «come» organizzativo ma non il «quanto», c'è un'analisi finanziaria di massima: 3 miliardi e 800 milioni di investimenti (a carico del pubblico), 1,3 miliardi per gli imprevisti, sempre a carico del pubblico e 2,1 miliardi per i costi operativi, di organizzazione dei giochi. Per un totale di 7,4 miliardi di euro. Alla voce «rientri netti» compaiono 2,2 miliardi che dovrebbe elargire lo sponsor (comprensivi del contributo del Cio previsto per questa edizione in 1,7 miliardi). E si tratta dell'unica voce «sicura». Il resto dei «rientri» sarebbero secondo gli analisti 1,1 miliardi di entrate fiscali (che solo in una visione squisitamente finanziaria possono essere computate a copertura spese) e 2,2 miliardi di «investimenti pubblici già programmati». Come se i soldi che verranno spesi, in quanto già previsti, non andassero considerati come un'uscita. I miliardi dunque non sono più 5,3, ma 7,4, mentre le entrate da sponsor e privati si fermano a 2,2 miliardi appena.

Nella previsione per Roma 2024 qualcosa non torna. Per esempio i costi delle spese organizzative, secondo Malagò e i suoi poco più di 2 miliardi. Istanbul, Madrid e Tokyo, per i Giochi 2020 hanno previsto alla medesima voce rispettivamente 2,9, 3 e 3,4 miliardi di euro. Perché l'Italia dovrebbe riuscire a spender meno? All'appello, poi, mancano altri costi vivi importanti. La sicurezza, per esempio. A carico del Comitato organizzatore solo per la parte tecnica (spesa prevista: 670 milioni di euro) ma a carico del pubblico per la parte operativa, con 80.000 agenti (tanti furono messi in opera a Rio) da preparare, alloggiare e gestire per un mese e mezzo. Ma c'è di più: dall'analisi presentata dal Comitato sono esclusi tutti i costi delle infrastrutture necessarie a rendere Roma una città capace di ospitare un evento tanto importante. Vero è come ha ribadito anche due sere fa - ospite della trasmissione Domenica Sportiva - il presidente del Coni, che il Comitato organizzatore lavora sugli aspetti che riguardano i giochi e lo sport e non sull'urbanistica, ma di Roma qualcuno dovrà pur occuparsene. Mezzi pubblici, aeroporto, viabilità, barriere architettoniche, verde, allestimenti: tutti costi al momento imponderabili.

Fu proprio questa imponderabilità a rendere le Olimpiadi di Londra tra le più costose della storia dei giochi, con spese per l'organizzazione che «superano in media del 179% le previsioni», come racconta un rapporto dell'Istituto Bruno Leoni (febbraio 2014, titolo: Perché rinunciare alle Olimpiadi 2024). Nell'ottobre 2012 il governo britannico rivendicò il successo dei giochi di Londra dichiarando di aver speso 8,9 miliardi, cioè meno dei 9,3 preventivati. Ma questa analisi non diceva tutta la verità. Otto anni prima, nel 2005, agli esordi della candidatura, i miliardi di euro messi pubblicamente in preventivo erano appena 2,4, cifra che venne triplicata nel 2007, alla prima revisione dettagliata delle spese. Londra a conti fatti spese 6 miliardi più del previsto. Almeno sei miliardi, anzi, visto che nel gennaio 2012 un'inchiesta di Sky stimò che la cifra realmente spesa fosse di 12 miliardi di euro, cui si dovevano ancora aggiungere «5,7 miliardi stanziati per le misure straordinarie antiterrorismo, i 6,5 miliardi per l'adeguamento del trasporto pubblico» con un conto complessivo reale vicino ai «24 miliardi». Anche in termini di impatto macroeconomico, secondo gli esperti, per Londra non andò meglio. Nel 2013 il governo vantò un bilancio positivo infarcendolo di contratti stipulati tra privati nei giorni del «business summit» e ad altri affari assegnati ad aziende inglesi all'estero. La lettura fu criticata dal Financial Times che sottolineò l'intangibilità di questi calcoli.

E poi c'è il precedente di Roma 2020. Con un budget simile a quello ipotizzato oggi per Roma 2024, l'Italia nel 2013 rinunciò alla candidatura. Vero è che al governo c'era il parsimonioso Monti, ma non si può certo dire che da allora il Belpaese sia decollato. All'epoca il Comitato promotore era presieduto da Marco Fortis e il bilancio preventivo - più dettagliato di quello presentato per Roma 2024 - parlava di 2,5 miliardi per la parte organizzativa; 2,8 miliardi per impianti e infrastrutture sportive e circa 4,4 miliardi per infrastrutture pubbliche. Secondo Fortis, l'Italia avrebbe registrato un aumento di spesa pubblica pari a 8 miliardi di euro con un aumento cumulato del Pil pari a 1,2%. Il progetto venne stoppato dal governo che lo ritenne troppo gravoso.

A suggerire prudenza al sindaco di Roma non c'è solo il passato, ma anche il futuro. Cosa accadrebbe al Comune con un ipotetico «sì» olimpico? La Raggi dovrebbe firmare l'Host city contract una serie di impegni, che spettano alla città ospitante. Doveri e vincoli da rispettare, qualunque esborso, monetario, politico o organizzativo comportino, negli otto anni a venire. Molti dei quali sottendono ulteriori impegni economici. Per esempio, la città ospitante ha l'obbligo di cancellare qualsiasi contratto già in essere che sia in contrasto con l'host city contract, deve dare la garanzia che nelle settimane precedenti i giochi non si svolgeranno eventi privati o pubblici che possano ostacolare le Olimpiadi, deve farsi garante della realizzazione dei piani di trasporto previsti e assicurare che le sedi scelte per le gare siano in possesso degli standard internazionali e che tutti i fornitori garantiranno servizi di alto livello.

«Noi ci dobbiamo occupare di organizzare la manifestazione. Questi sono i nostri compiti, queste sono le nostre deleghe, i nostri incarichi». Così diceva Giovanni Malagò di Roma 2009, quando era presidente del Comitato promotore per i Mondiali di nuoto. Proprio come oggi, la questione sportiva secondo lui doveva rimanere separata da quella urbanistica. L'evento, certamente importante per il mondo dello sport, finì però piuttosto male in termini di conti: 9 milioni di euro di buco, un'inchiesta giudiziaria e un lungo elenco di sprechi mai ripagati. Per esempio, il Polo tatatorio di Ostia: 26 milioni di euro, promesso alla città e rimasto riservato agli atleti; Valco San Paolo: 18 milioni e una piscina dal tetto forato; le Vele di Calatrava: 200 milioni per un'opera mai finita, che ora lo stesso Malagò vorrebbe ributtare nel piatto delle Olimpiadi.

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