(Totaleu)
Lo ha dichiarato il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste a margine della riunione del Consiglio Agricoltura e pesca di Bruxelles.
Lo ha dichiarato il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste a margine della riunione del Consiglio Agricoltura e pesca di Bruxelles.
Lo ha dichiarato a Bruxelles il premier ungherese in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea presso il Consiglio Ue.
Mentre Berlino è assediata dai trattori degli agricoltori inferociti dalle dissennate politiche del governo tedesco, Ursula von der Leyen è impegnatissima a cercare una riconferma come presidente della Commissione per la prossima legislatura europea. Nei corridoi di Bruxelles non si parla d’altro che dello sforzo dell’esponente tedesca di accreditarsi in tutti i modi per raggiungere questo obiettivo. Del disegno fa parte certamente anche l’incarico affidato a Mario Draghi di disegnare un percorso di crescita economica, dopo la drammatica perdita di competitività dell’eurozona e dell’intera Unione.
«Competitività ma non a scapito di welfare e transizione verde», queste le conclusioni di Ursula von der Leyen e Mario Draghi dal seminario a porte chiuse organizzato dalla Commissione europea la settimana scorsa sulla situazione dell’economia.
«C’è la necessità di definire una roadmap ampia e dettagliata, che identifichi chiaramente priorità, linee d’azione e politiche da mettere in atto nei diversi settori» ha detto Draghi nell’occasione.
L’ex presidente della Banca centrale europea sta ascoltando, in questa fase, esponenti del mondo delle imprese e della finanza. Gli spunti raccolti, secondo le intenzioni dichiarate, saranno parte di uno studio con proposte di politiche economiche. Inevitabilmente, il campo si allargherà all’architettura istituzionale dell’Unione, con idee di modifica dei trattati.
Il pensiero di Mario Draghi sull’evoluzione dell’Unione europea è noto da quando l’Economist pubblicò a settembre 2023 un suo intervento: maggiore accentramento delle politiche fiscali per sottrarre poteri agli Stati e trasferimento a Bruxelles della regia degli interventi pubblici nell’economia. In questo modo sottraendo ulteriori competenze alle democrazie nazionali per portarle ad un livello insindacabile politicamente. L’idea di un debito in comune, infatti, porta con sé il trasferimento della facoltà di spesa verso un centro decisionale sovranazionale.
Gli stati, cioè le democrazie rappresentative, saranno legati mani e piedi alla Commissione. Altro che Pnrr. Il Piano Draghi prevederà una modifica dei trattati, tra cui non potrà non esserci l’abolizione dell’unanimità nel Consiglio europeo, per isolare i Paesi riottosi e andare avanti a colpi di maggioranza.
Nella realtà, qualunque riforma faccia, l’Ue non è in grado di stare al passo con Cina e Usa per la sua insita natura di economia a lenta crescita, dato il focus su controllo dell’inflazione, divieto di aiuti di stato, bassa domanda interna, deflazione salariale, export e austerità. Il Green deal con le sue politiche recessive e socialmente regressive viene a complicare una situazione già disastrosa.
La «road map» si chiama in realtà politica economica ed una volta era appannaggio degli Stati. I rappresentanti eletti che la mettevano in atto erano sottoposti al controllo politico degli elettori. Oggi invece c’è un pugno di tecnocrati politicamente irresponsabili che decidono a tavolino e non pagano alcun prezzo per i disastri che causano. Non si tratta di nazionalismo o di autarchia, bensì di una questione, molto pressante, di democrazia.
È evidente il tentativo di Ursula von der Leyen di blindare sé stessa quale unica candidata alla guida della prossima Commissione. Draghi sta scrivendo, di fatto, il programma politico che la Von der Leyen si propone di attuare una volta confermata nell’incarico dal prossimo Parlamento, dopo le elezioni europee.
A quel punto, peraltro, sembrerebbe naturale che a presiedere da novembre il Consiglio europeo andasse proprio Mario Draghi. Chi meglio dell’autore del programma politico dell’Unione può garantirne l’attuazione?
Si va insomma verso un tandem Von der Leyen-Draghi per la prossima legislatura europea, anche a prescindere dalla maggioranza politica che risulterà nel Parlamento europeo dopo le elezioni. Puntando a darsi un profilo da custode istituzionale, infatti, la Von der Leyen mira ad accreditarsi come traghettatrice verso un’Unione più competitiva, e perciò accettabile anche da un Parlamento più spostato a destra dell’attuale. La sponda di Mario Draghi le è indispensabile per giovarsi dei riflessi derivanti dalla considerazione di cui gode l’ex presidente del Consiglio italiano. La presidente della Commissione si sta facendo vedere molto e domani sarà a Forlì dove incontrerà Giorgia Meloni nelle terre colpite dall’alluvione del maggio scorso. Il tentativo di ingraziarsi i favori italiani rischia però di scontrarsi con la protesta del presidio degli alluvionati, che hanno organizzato una manifestazione di protesta cui parteciperanno varie sigle, dall’Anpi alla Cgil a Fridays for future. Due fattori non secondari, inoltre, potrebbero mandare a monte il piano.
Il primo è il cosiddetto Pfizergate, ovvero l’inchiesta sui messaggi sms scambiati tra la presidente della Commissione e l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. È atteso entro marzo l’esito dell’esame della questione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. Anche se probabilmente nessuno vedrà mai tali messaggi, un verdetto di censura potrebbe essere deleterio per l’immagine della von der Leyen.
Il secondo è l’esito delle elezioni europee di giugno. Se le forze politiche più a destra ottenessero nel segreto dell’urna risultati superiori gli attuali sondaggi, ne risulterebbe indebolito il Ppe, che ad oggi ha ancora un ruolo centrale nella formazione di una maggioranza a Strasburgo. A quel punto, per la Von der Leyen non sarebbe facile restare dove si trova.
Dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai (Emirati Arabi Uniti) si terrà la Cop28, ma se ne parla già da giorni, probabilmente per via dell’annuncio di papa Francesco determinato ad esser presente. Cop significa «Conferenza delle parti», ed è una conferenza planetaria cui parteciperanno quasi 200 Paesi. Possiamo tranquillamente prevederne il fallimento senza sapere null’altro che il significato del numero 28, che significa che è la 28ma volta che i mammasantissima del globo si riuniscono con un unico preciso obiettivo, di tutta evidenza sempre fallito per 27 volte.
Cominciarono nel 1995, a Berlino, con la seguente parola d’ordine: «Agire sùbito!». E dicevano «sùbito» perché, altrimenti ci sarebbe stata la fine del mondo. E così il fallimento, perpetratosi per 27 anni consecutivi, è stato ogni volta doppio: intanto perché non hanno agito, né sùbito né in ritardo, e poi perché la fine del mondo non è occorsa. Cionondimeno, la parola d’ordine oggi è la stessa: «Agire sùbito». Quando si dice avere idee poche ma fisse.
Il pluriennale reiterato fallito obiettivo lo sapete: azzerare le emissioni di CO2 che, secondo la comune vulgata, sarebbero responsabili del cambiamento climatico. Attenzione, però: il fallimento non è la circostanza che le emissioni di CO2 non siano state azzerate, bensì che, invece, sono aumentate, e non di poco. I propositi di riduzione si son sempre fatti rispetto ai livelli del 1990: una volta, col protocollo di Kyoto, dovevano ridursi del 3% a livello globale entro il 2012, col pacchetto per il clima 20-20-20 la Ue avrebbe ridotto le emissioni del 20% entro il 2020 (il che avrebbe significato una riduzione globale del 2%). Al 2012 le emissioni, lungi dal ridursi del 3% erano aumentate del 40%; e al 2020, lungi dal ridursi del 2% erano aumentate del 60%, con la Ue che ha delocalizzato le proprie attività emettendo nei cieli di Pechino quel che prima emetteva nei cieli di Bruxelles.
Con gli accordi di Parigi del 2015 non so cos’altro si proponevano di fare, ma a questo punto è irrilevante saperlo, come sarà irrilevante qualunque cosa diranno il prossimo mese a Dubai: aria fritta è stata per 27 anni e aria fritta sarà anche quest’anno.
Ciò di cui non mi capacito è che chi governa il mondo non si ponga il problema del perché del fallimento. Dopo 27 anni l’unica che disse una cosa sensata è stata Giorgia Meloni, alla Cop27 d’Egitto: «Signori, qui o le riduzioni le facciamo tutti o è meglio lasciar perdere». E infatti due soli Paesi (Cina e India) emettono quasi la metà del mondo, cosicché le loro scelte sono determinanti per il successo dell’insano proposito; senonché essi, rispetto ai livelli del 1990, hanno aumentato le loro emissioni del 360%, quindi, come disse la nostra presidente, meglio lasciar perdere.
Ora, non voglio parlare di clima globale, ché mi ci sgolo abbastanza da 23 anni e invano: rispetto al clima, l’insano proposito non ha successo perché il clima non è un problema, cosicché non può aver successo la soluzione di un problema che non c’è. Vorrei invece spendere due parole del perché il proposito è insano. In breve: è tale perché il mondo gira per un verso che, di tutta evidenza, non è ben compreso da questi che lo governano.
Dalla notte dei tempi fino a due secoli fa, l’unica energia disponibile è stata quella dal sole ed è l’energia dal sole quella che ha alimentato, al 100%, il fabbisogno energetico dell’umanità. Oggi l’energia dal sole contribuisce per meno del 10% (principalmente nella forma di idroelettrico), cosicché essa è l’energia del passato e non del futuro. La parola-chiave per comprendere come l’uomo si serve dell’energia non è la parola «energia» ma la parola «potenza». Questo è un concetto cruciale.
Tutte le civiltà si sono sviluppate perché hanno avuto a disposizione energia abbondante, con la potenza desiderata, e a buon mercato. Tutte, nessuna esclusa. E ove non v’è stata energia disponibile a buon mercato, in abbondanza e con la potenza desiderata, non s’è sviluppata alcuna civiltà. Ora, quella dal sole, in tutte le sue forme eccetto una, sarebbe abbondante e gratis, ma non era disponibile con la potenza desiderata. Faceva eccezione quella dalla legna da ardere, che infatti è stata largamente usata e che però, in assenza di macchine termiche, per millenni ha fornito solo calore. Cosa ha fornito, alle civiltà del passato, il lavoro con la potenza desiderata? Gli schiavi. In definitiva, le comunità che hanno praticato la schiavitù (e che sono state sufficientemente ingegnose) si sono sviluppate come civiltà, quelle che non l’hanno praticata sono rimaste allo stato primitivo.
Nell’Egitto, nella Grecia, nella Roma dell’antichità il 90% della popolazione viveva in schiavitù e le guerre si facevano per accaparrarsi le risorse d’energia e di potenza necessarie allo sviluppo di quelle civiltà. Un uomo può sviluppare una potenza di 50 watt, ma se servono 500 watt per sollevare una pietra, 10 uomini insieme fanno allo scopo. Per soddisfare i bisogni energetici nelle dette modalità, la schiavitù è stata la scelta più ovvia: era gratis.
Oggi la schiavitù è un tabù, ma non è un tabù di 2.000 anni fa: il film Via col vento è ambientato in un’America composta di 30 milioni di cittadini e 4 milioni di legittimi schiavi. Senza di questi, nessuno avrebbe, per esempio, raccolto il cotone: gli americani del Sud acquistavano uno schiavo come noi oggi acquistiamo una lavatrice. La guerra di Secessione si fece non perché i nordisti erano i buoni che volevano liberare gli schiavi e i sudisti i cattivi che volevano sfruttarli, ma perché, con l’avvento delle macchine termiche e delle industrie che si stavano sviluppando nel Nord, servivano operai che volevano essere pagati e non volevano la concorrenza di schiavi che avrebbero lavorato gratis.
Gli Stati del Nord promuovevano la liberazione degli schiavi per ragioni non morali ma di pura convenienza, tant’è che molti non li vollero nel proprio territorio: molti schiavi liberati tornarono in Africa, nei luoghi della odierna Repubblica della Liberia (appunto) e si misero a praticare la schiavitù a spese degli indigeni. Gli Stati del Sud persero la partita perché non avevano capito che stava arrivando il tempo quando gli schiavi non sarebbero stati più necessari: le macchine termiche alimentate a carbone stavano liberando l’uomo dalla pratica della schiavitù. Dobbiamo renderci conto che la schiavitù non stava diventando immorale ma solo obsoleta ed economicamente non conveniente. E questo grazie a quei combustibili fossili che chi oggi comanda il mondo vorrebbe eliminare.
Costoro vorrebbero un mondo con l’elettricità prodotta dagli impianti eolici e fotovoltaici. Ma non si rendono conto che tutti i componenti di questi impianti -e anche degli impianti nucleari - sono prodotti da derivati dei combustibili fossili. Un mondo privo di combustibili fossili è un mondo privo anche d’impianti eolici o solari. Un mondo senza combustibili fossili è un mondo senza elettricità. Nel mondo precedente a un paio di secoli fa nulla aveva bisogno di elettricità. Il mondo che emergerebbe da un ipotetico successo di una qualche Cop sarebbe un mondo come quello precedente a un paio di secoli fa. Ecco perché la Cop28 fallirà.
Sembra che in Emilia Romagna abbiano qualche problema con le sospensioni legate al Covid. Come noto, la Regione guidata da Stefano Bonaccini non ha accolto di buon grado la riammissione al lavoro dei sanitari sospesi. L’assessore alla Sanità, Raffaele Donini, si è preoccupato di invitare le aziende sanitarie a non collocare i reintegrati in reparti dove siano presenti pazienti immunodepressi, ribadendo così la falsità secondo cui i renitenti all’iniezione sarebbero in qualche modo pericolosi. Questa però non è l’unica vicenda problematica. C’è anche un’altra storia piuttosto singolare che non ha del tutto a che fare con la vaccinazione, ma che riguarda la giunta emiliana e la sospensione di un sanitario.
Tutto inizia alla metà di febbraio del 2022, quando l’assessore Donini si scontra pubblicamente, e in modo piuttosto ruvido, con la direttrice generale del dipartimento salute della Regione, Licia Petropulacos.
Al centro della discussione ci sono i tamponi per il personale sanitario: sono previsti ogni quindici giorni, ma la dirigente ha deciso di sospenderli. Un approccio seguito negli stessi giorni da altri responsabili di strutture mediche, tutti pronti a schierarsi contro i test a tappeto che immancabilmente scoprono casi di positività causando perdita di personale.
La Petropulacos prende una decisione condivisibile, ma l’assessore Donini non è d’accordo e blocca il provvedimento, esasperando la dirigente che è già contestata dai sindacati. Risultato: la Petropulacos si sfoga a mezzo stampa. Parla di «umiliazione», ribadisce che «non sono i sindacati né la politica a dire che scelte si fanno in sanità». Poi attacca frontalmente l’assessore: «Tra noi c’è un divario culturale incolmabile», dice. «Sono stanca di questo schifo, questo è solo l’ultimo episodio di una catena inaccettabile. Non ce la faccio più. Io lavoro per i cittadini, non faccio schifezze. Questa è una gestione della cosa pubblica che non condivido».
Non è una semplice arrabbiatura. Le critiche della dirigente sono strutturali, e riguardano anche alcune scelte della Regione in materia di appalti, in particolare una vicenda di cui, di lì a pochi mesi, si occuperà anche l’Autorità anticorruzione.
A ricostruire i fatti in questione è proprio l’Anac: «Nel corso del 2021 la Ausl di Bologna ha voluto applicare un modello di accreditamento all’eccellenza a valenza internazionale», scrive l’Anticorruzione sul suo sito. «L’accreditamento all’eccellenza è un processo volontario di valutazione rivolto al miglioramento continuo della qualità. Su richiesta dell’Azienda, Accreditation Canada ha effettuato uno studio preliminare della realtà bolognese ed ha avanzato una proposta di contratto triennale. L’Ausl ha accettato affidando l’incarico all’ente no profit. La spesa prevista è stata definita, per tre anni, in 398.373 euro più l’Iva».
Quasi 400.000 euro per pagare un ente di accreditamento internazionale: una cifra enorme, che secondo la Petropulacos non è stata gestita adeguatamente. È proprio lei a presentare un esposto all’Anac, che dopo qualche tempo le dà ragione: «L’Azienda sanitaria locale (Ausl) di Bologna ha affidato i servizi di consulenza e valutazione della qualità ad “Accreditation Canada”, ente no profit con sede ad Ottawa, in totale violazione delle norme del Codice appalti», scrive Anac. E aggiunge: «L’Ausl bolognese avrebbe dovuto indire una gara pubblica o quantomeno una procedura negoziata».
Insomma, tra l’assessore alla Sanità e la direttrice del dipartimento salute corre pessimo sangue. E infatti il 16 febbraio del 2022 la Petropulacos viene sospesa dall’incarico. È ritenuta colpevole di avere rilasciato dichiarazioni che «minano la reputazione e credibilità istituzionale della Regione Emilia-Romagna e determinano un significativo pregiudizio alla corretta ed efficiente funzionalità dei servizi sanitari regionali, in una persistente fase di emergenza sanitaria». La pena è di 30 giorni di lontananza forzata dall’ufficio, che possono diventare 60.
Il caso, non è difficile da comprendere, è di estrema gravità. Una dirigente contesta l’operato di un assessore, presenta un esposto all’Anac, evoca «schifezze» nella gestione della cosa pubblica e si mostra in clamoroso disaccordo riguardo le politiche sul Covid. L’Anac, qualche mese dopo, conferma i sospetti della donna, che però nel frattempo si è beccata un mese di sospensione dall’incarico. Parlando con il Corriere di Bologna, la Petropulacos usa toni esplosivi: «Per dare l’idea dello squadrismo e della violenza assurda a cui vengo sottoposta…», racconta. «Sono andata a prendere le mie cose in ufficio, le foto di mio padre e alcuni documenti personali, e ho trovato il mio ufficio sgombrato di tutte le mie cose […] e l’addetto informatico stava portando via il computer. Hanno fatto le pulizie, e questo dimostra che non hanno minimamente intenzione di considerare questa sospensione come temporanea. Quello che faranno sarà raccogliere dossier nei miei confronti per sostanziare un licenziamento per giusta causa». Sembra arrivato l’epilogo di una triste storia di politica, ma non è ancora finita.
Il 16 febbraio del 2022 la Petropulacos viene sospesa. Però il 31 marzo dello stesso anno torna (almeno sulla carta) operativa, e con un nuovo incarico di tutto rispetto: responsabile della nuova Area di monitoraggio dell’impatto della pandemia da Covid-19. Capito?
La donna che aveva contestato l’assessore sulla gestione del Covid e per questo era stata sospesa viene scelta come responsabile della struttura che dovrebbe «valutare l’impatto della pandemia Covid-19 nell’ambito sanitario della Regione Emilia-Romagna in termini di organizzazione delle risorse, conseguenze sugli operatori sanitari, riprogrammazione delle attività ed impatto economico». Da un certo punto di vista, potrebbe sembrare perfino una scelta coraggiosa: alla grande accusatrice si affida il compito di valutare la gestione della pandemia. Nella realtà, però, le cose vanno in maniera un po’ diversa.
Che qualcosa non torni lo nota, a ottobre, il consigliere regionale leghista Daniele Marchetti. Egli si accorge che la Petropulacos il nuovo incarico non lo ha «mai espletato perché la stessa usufruiva di un periodo di ferie per poi presentare documentazione di quiescenza».
Già: la dirigente, dopo la sospensione di un mese, avrebbe dovuto assumere un ruolo rilevante in una struttura appena creata. Ma non appena rientrata in servizio ha prima preso le ferie, poi è andata in pensione. Curioso no? Di fatto, la Petropulacos non è più tornata all’opera dopo la feroce lite con l’assessore alla Sanità. Il leghista Marchetti ha deciso di vederci chiaro, e ha interrogato la giunta regionale per sapere se fosse «a conoscenza delle intenzioni di Petropulacos di presentare documentazione di quiescenza con posizione di ferie intermedia». Domanda non certo peregrina: che senso ha attribuire un incarico, per altro impegnativo, a una persona che si appresta a ritirarsi?
L’assessore Donini afferma di non essere stato a conoscenza della volontà della dirigente di andare in pensione. Sarà pure. Ma la strana successione degli eventi fa sospettare che ci sia stata una manovra per liberarsi senza troppo clamore di una professionista non gradita ai vertici. «Preso atto dell’intera vicenda», dice Daniele Marchetti, «sorge il legittimo sospetto che il procedimento che ha portato prima alla sospensione, poi al reintegro a capo dell’Area monitoraggio Covid, e dunque alla richiesta di quiescenza di Petropulacos potrebbe essere stato messo a punto fra le parti in gioco. Forse nell’ottica di creare una via d’uscita ad una dirigente che all’assessorato ha creato più di qualche grattacapo…».
Che volete, in Emilia Romagna sono fatti così: con le sospensioni in ambito sanitario hanno sempre problemi.

