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Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala (Getty Images)
La Corte dei conti chiama in causa tre dipendenti del Comune di Milano: sulle Park Towers possibile perdita da 321.000 euro. Continua il periodo nero del sindaco, tra ciclabili bocciate e caos San Siro. Mentre lui si preoccupa della poltrona dell’Anci.
La Milano da bere è finita da un pezzo e oggi alla cosiddetta capitale economica del Paese non resta altro da fare che bersi il suo sindaco, cioè augurarsi che faccia in fretta le valigie. Beppe Sala, ex city manager di una giunta di centrodestra che dopo aver fatto il commissario dell’Expo si è riciclato come primo cittadino di una giunta di centrosinistra, è sull’orlo di una crisi di nervi. Per anni è stato simbolo di una classe politica nuova, efficiente e brillante, ma di recente è l’esempio di ciò che non si deve fare. Infatti, non c’è cosa che tocchi che vada bene. Un re Mida al contrario, che vede perfino il modello Milano, la città dinamica e moderna da lui propagandata, mostrare diverse crepe. Ovviamente non mi riferisco alla sicurezza, argomento a lungo negato dal sindaco, secondo cui quella dell’opinione pubblica era solo percezione, per di più condizionata dalle campagne del centrodestra. Se fino a ieri si affannava a tranquillizzare una Chiara Ferragni in ansia per gli episodi di criminalità le cui voci avevano raggiunto perfino il suo attico dorato, oggi che le denunce Vip si moltiplicano, con influencer e attori che ogni giorno pubblicano sui social le loro (cattive) esperienze, Sala tace.
Ma se, ricordando il motto di Andreotti («La smentita è una notizia data due volte»), resta in silenzio perfino sulle classifiche del Sole 24 Ore che collocano Milano al primo posto per rapine, scippi e stupri, il sindaco parla, e anche molto, di cose che non riguardano la città. L’ultimo argomento che pare averlo fatto uscire di testa è la presidenza dell’Anci, ovvero dell’Associazione dei Comuni italiani, organismo da anni in mano alla sinistra. Pensando al proprio futuro (quando il suo incarico terminerà), Sala molto probabilmente ci aveva fatto un pensierino e, se non per lui, sperava di occupare la poltrona per qualcuno vicino, per poter poi avere voce in capitolo più avanti, quando verrà il suo turno di piazzarsi. Purtroppo, a Roma hanno in testa altre idee e al posto di Antonio Decaro, sindaco di Bari diventato europarlamentare, vorrebbero piazzare Gaetano Manfredi, primo cittadino di Napoli. A questo punto, impugnando lo spadone padano, Sala si è ricordato della questione settentrionale, contestando i salotti della Capitale che decidono senza neppure consultarlo.
L’aspetto curioso della faccenda è che il sindaco avrebbe ben altro di cui occuparsi. Da almeno un anno infatti, ha un grattacapo dietro l’altro e uno di questi è lo stadio in cui giocano Milan e Inter. L’anno scorso si era messo d’accordo per cedere San Siro agli azionisti delle due squadre, i quali una volta abbattuto il Meazza ne avrebbero edificato un altro, completando l’opera con alberghi, ristoranti, negozi e residenze. Una mega operazione immobiliare a tutto vantaggio degli investitori, ma costosa per il Comune, che si sarebbe visto privare di un bene e anche degli introiti che ne derivano. La contrarietà di alcuni comitati spontanei e pure della sovrintendenza ai beni storici ha però fatto naufragare il progetto e ora, oltre a non avere uno stadio dove far giocare le squadre, Milano non può neppure ospitare la finale di Champions league.
Tuttavia, non c’è solo il calcio. A impensierire il sindaco ci sono pure i pm, i quali gli stanno dando del gran filo da torcere, prima con il sequestro di decine di cantieri e l’accusa di abusi edilizi, e poi con le piste ciclabili, progetto che Sala ha tenuto a battesimo per presentarsi come ambientalista provetto. Nel primo caso, quello dei palazzi edificati senza autorizzazione a costruire ma con una semplice Cila, ossia una comunicazione di inizio lavori, pratica che si usa per ristrutturare una casa, non certo per la realizzazione dei condomini, la Corte dei conti ha chiesto a tre dirigenti del Comune di risarcire il Municipio con 321.000 euro per aver fatto perdere a Palazzo Marino gli oneri di urbanizzazione. Quanto alle piste per le due ruote, dopo la morte di una ciclista, la magistratura ha indagato i funzionari e pure l’assessore per omicidio colposo, perché i percorsi riservati agli amanti della pedalata si sono rivelati irregolari e pericolosi. In pratica, sia la Milano che va veloce (con la cazzuola) e quella che rallenta (con la bici) hanno subìto uno stop e ora Sala si lamenta, dicendo che con l’aria che tira la capitale economica dell’Italia rischia di fermarsi. Stop ai palazzi che crescono sulle fondamenta dei garage, basta piste ciclabili accanto a quelle dei camion. La depressione deve averlo così duramente colpito, che nell’ultima intervista si è messo a parlare del suo successore, candidando il figlio del commissario ucciso da militanti di Sofri e compagni. Ai milanesi non resta che sperare. In fondo, la Milano da bere si è bevuta anche un altro campione della sinistra come Giuliano Pisapia. Dunque, nulla è perduto, basta avere pazienza e prima o poi anche la corsa di Sala finirà come certe piste ciclabili: nel nulla.
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Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala (Getty Images)
La Corte dei conti chiama in causa tre dipendenti del Comune di Milano: sulle Park Towers possibile perdita da 321.000 euro. Continua il periodo nero del sindaco, tra ciclabili bocciate e caos San Siro. Mentre lui si preoccupa della poltrona dell’Anci.
La Milano da bere è finita da un pezzo e oggi alla cosiddetta capitale economica del Paese non resta altro da fare che bersi il suo sindaco, cioè augurarsi che faccia in fretta le valigie. Beppe Sala, ex city manager di una giunta di centrodestra che dopo aver fatto il commissario dell’Expo si è riciclato come primo cittadino di una giunta di centrosinistra, è sull’orlo di una crisi di nervi. Per anni è stato simbolo di una classe politica nuova, efficiente e brillante, ma di recente è l’esempio di ciò che non si deve fare. Infatti, non c’è cosa che tocchi che vada bene. Un re Mida al contrario, che vede perfino il modello Milano, la città dinamica e moderna da lui propagandata, mostrare diverse crepe. Ovviamente non mi riferisco alla sicurezza, argomento a lungo negato dal sindaco, secondo cui quella dell’opinione pubblica era solo percezione, per di più condizionata dalle campagne del centrodestra. Se fino a ieri si affannava a tranquillizzare una Chiara Ferragni in ansia per gli episodi di criminalità le cui voci avevano raggiunto perfino il suo attico dorato, oggi che le denunce Vip si moltiplicano, con influencer e attori che ogni giorno pubblicano sui social le loro (cattive) esperienze, Sala tace.
Ma se, ricordando il motto di Andreotti («La smentita è una notizia data due volte»), resta in silenzio perfino sulle classifiche del Sole 24 Ore che collocano Milano al primo posto per rapine, scippi e stupri, il sindaco parla, e anche molto, di cose che non riguardano la città. L’ultimo argomento che pare averlo fatto uscire di testa è la presidenza dell’Anci, ovvero dell’Associazione dei Comuni italiani, organismo da anni in mano alla sinistra. Pensando al proprio futuro (quando il suo incarico terminerà), Sala molto probabilmente ci aveva fatto un pensierino e, se non per lui, sperava di occupare la poltrona per qualcuno vicino, per poter poi avere voce in capitolo più avanti, quando verrà il suo turno di piazzarsi. Purtroppo, a Roma hanno in testa altre idee e al posto di Antonio Decaro, sindaco di Bari diventato europarlamentare, vorrebbero piazzare Gaetano Manfredi, primo cittadino di Napoli. A questo punto, impugnando lo spadone padano, Sala si è ricordato della questione settentrionale, contestando i salotti della Capitale che decidono senza neppure consultarlo.
L’aspetto curioso della faccenda è che il sindaco avrebbe ben altro di cui occuparsi. Da almeno un anno infatti, ha un grattacapo dietro l’altro e uno di questi è lo stadio in cui giocano Milan e Inter. L’anno scorso si era messo d’accordo per cedere San Siro agli azionisti delle due squadre, i quali una volta abbattuto il Meazza ne avrebbero edificato un altro, completando l’opera con alberghi, ristoranti, negozi e residenze. Una mega operazione immobiliare a tutto vantaggio degli investitori, ma costosa per il Comune, che si sarebbe visto privare di un bene e anche degli introiti che ne derivano. La contrarietà di alcuni comitati spontanei e pure della sovrintendenza ai beni storici ha però fatto naufragare il progetto e ora, oltre a non avere uno stadio dove far giocare le squadre, Milano non può neppure ospitare la finale di Champions league.
Tuttavia, non c’è solo il calcio. A impensierire il sindaco ci sono pure i pm, i quali gli stanno dando del gran filo da torcere, prima con il sequestro di decine di cantieri e l’accusa di abusi edilizi, e poi con le piste ciclabili, progetto che Sala ha tenuto a battesimo per presentarsi come ambientalista provetto. Nel primo caso, quello dei palazzi edificati senza autorizzazione a costruire ma con una semplice Cila, ossia una comunicazione di inizio lavori, pratica che si usa per ristrutturare una casa, non certo per la realizzazione dei condomini, la Corte dei conti ha chiesto a tre dirigenti del Comune di risarcire il Municipio con 321.000 euro per aver fatto perdere a Palazzo Marino gli oneri di urbanizzazione. Quanto alle piste per le due ruote, dopo la morte di una ciclista, la magistratura ha indagato i funzionari e pure l’assessore per omicidio colposo, perché i percorsi riservati agli amanti della pedalata si sono rivelati irregolari e pericolosi. In pratica, sia la Milano che va veloce (con la cazzuola) e quella che rallenta (con la bici) hanno subìto uno stop e ora Sala si lamenta, dicendo che con l’aria che tira la capitale economica dell’Italia rischia di fermarsi. Stop ai palazzi che crescono sulle fondamenta dei garage, basta piste ciclabili accanto a quelle dei camion. La depressione deve averlo così duramente colpito, che nell’ultima intervista si è messo a parlare del suo successore, candidando il figlio del commissario ucciso da militanti di Sofri e compagni. Ai milanesi non resta che sperare. In fondo, la Milano da bere si è bevuta anche un altro campione della sinistra come Giuliano Pisapia. Dunque, nulla è perduto, basta avere pazienza e prima o poi anche la corsa di Sala finirà come certe piste ciclabili: nel nulla.
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Ansa
Nonostante le polemiche per l'indagine a carico dell'ex assessore alla Mobilità Marco Granelli, dopo la morte di una ciclista in via Francesco Sforza, l'attuale assessore Arianna Censi spiega alla Verità: «Il nostro obiettivo è quello di aumentarle».
La giunta di Milano di Giuseppe Sala tira dritto sulle piste ciclabili in città. Nonostante le polemiche per l’indagine a carico dell’ex assessore Marco Granelli, indagato per la morte di una ciclista tra via Francesco Sforza e corso di Porta Vittoria nel 2023, e nonostante il nuovo codice della strada potrebbe rivedere la modalità di realizzazione delle piste, palazzo Marino non prevede di modificare o ridurre gli attuali 328 km di itinerari ciclabili.
«Rispetto al nuovo codice della strada confido nel buon senso – spiega alla Verità Arianna Censi, assessore alla Mobilità del comune di Milano-. Non siamo l’unica città ad avere questo problema. Tutte le città in Italia lo hanno, confido quindi in una soluzione condivisa che non vada a stravolgere il lavoro fatto fino adesso. Non vogliamo cancellarle. Il nostro obiettivo resta quello di implementare e aumentare ancora di più il numero di ciclabili per rendere la città ancora più sostenibile».
Il capoluogo lombardo, come detto, è dotato di una rete di 328 chilometri di itinerari ciclabili. Con itinerario, fanno sapere dall’assessorato, si intende un percorso continuo e diretto, costituito da diverse tipologie a seconda della caratteristica della strada in cui si interviene. Ce ne sono di diverse. Dalle piste ciclabili in struttura, che al momento sono il 36% del totale, alle corsie in segnaletica, il 24 %, fino ai percorsi promiscui con pedoni che costituiscono il 18% o con veicoli che in questo caso devono essere soggetti a limitazioni di velocità come le aree 30, che sono il 22%. In pratica, se il nuovo codice della strada dovesse intervenire sul tema si può calcolare che potrebbero essere cancellati circa 80 chilometri, anche se è un calcolo molto approssimativo. La riforma, infatti, potrebbe prevedere il bando per le cosiddette bike lane ossia i percorsi per le biciclette che vengono realizzati con una semplice segnaletica sull’asfalto. In questo modo la pista ciclabile è separata dal resto della carreggiata. Il costo è basso, ma restano i rischi per ciclisti e automobilisti.
È dal 2020 che il sistema di realizzazione delle piste ciclabili è cambiato. Nel decreto rilancio del maggio di quattro anni fa, infatti, aveva previsto appunto la “corsia ciclabile”, «una parte longitudinale della carreggiata, posta a destra, delimitata mediante una striscia bianca discontinua, valicabile e ad uso promiscuo, idonea a permettere la circolazione sulle strade urbane dei velocipedi nello stesso senso di marcia degli altri veicoli e contraddistinta dal simbolo del velocipede».
La norma aveva incrementato la realizzazione dei percorsi, ma anche i rischi per ciclisti. Non a caso nella chiusura delle indagini per la morte della donna in via Francesco Sforza, gli inquirenti avevano evidenziato come la pista dove era avvenuto l’incidente era stata realizzata come parte di un piano per incentivare la mobilità sostenibile. Per la procura la progettazione presentava gravi carenze, tra cui la disorganizzazione nella disposizione della segnaletica che avrebbe contribuito a rendere l’incrocio particolarmente pericoloso per ciclisti e pedoni, rendendo la corsia ciclabile non conforme alle norme di sicurezza.
Nei mesi scorsi alcuni comitati avevano criticato palazzo Marino per i ritardi sulla realizzazione dei percorsi viabilistici. In particolare, quello che riguarda il Ponte della Ghisolfa, una strada molto pericolosa. A quanto pare i lavori dovranno incominciare nel 2025, mentre a settembre è stata dipinta una prima striscia bianca con una riduzione della carreggiata per le auto.
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Giuseppe Sala (Ansa)
Se dovessero processargli un assessore per le finte piste ciclabili di Milano, Beppe Sala già minaccia che non ne costruirà più manco una. Oddio, «costruire» è una parola grossa, perché il sindaco, tutto chiacchiere e calzino arcobaleno, in realtà le ciclabili le dipinge sull’asfalto e chi s’è visto s’è visto.
A spingere il primo cittadino di Milano sul possibile Aventino è l’avviso di chiusura indagini della Procura sulla morte di Cristina Scozia, 39 anni, uccisa da una betoniera il 20 aprile dell’anno scorso mentre pedalava in via Francesco Sforza. Su una «ciclabile» senza cordoli e protezioni laterali. A rischiare il processo è l’assessore Marco Granelli, un tempo responsabile della Mobilità e ora della Sicurezza, ma poi in sede civile rischia anche il Comune. Sala non l’ha presa bene e ha messo le mani avanti: «Se dovesse passare l’idea che le piste ciclabili possono essere fatte solo se protette da cordoli, abbiamo finito di fare piste ciclabili». Il sindaco ha poi aggiunto che «Milano è una città con le vie strette e in Europa la maggior parte delle piste ciclabili sono solamente disegnate sull’asfalto […]. Rimango dell’idea che siano gradite a una parte significativa della popolazione e ci terrei a continuare a realizzarle».
Nella sua reazione scomposta, l’ex manager si conferma poco avvezzo alle critiche, anche perché spalleggiato da una serie di associazioni di talebani ambientalisti che alla fine sono quasi peggio di lui. A Londra, visto che i ciclisti morivano come mosche, hanno modificato tutto e ora realizzano solo ciclabili protette. Una striscia di vernice, come si fa non solo a Milano, ma anche a Roma e a Torino, è pericolosa perché fa pensare ai cittadini di essere su una ciclabile, mentre sono in mezzo alle auto. Quanti morti, e quante condanne, ci vogliono per capirlo?
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