Un anno e cinque mesi in primo grado per una scatoletta di cibo per gatti da 8,18 euro all’Esselunga. Lunedì, in Appello davanti alla quarta penale di Milano- sezione severa per tradizione - l’esito si è rovesciato: assoluzione perché il fatto non sussiste per S. P., 75 anni, pensionato, difeso dall’avvocato Michele Miccoli. Decisivo è stato il metodo della difesa: non una supplica, ma un’operazione di simmetria. L’avvocato ha portato in aula testualmente - il caso del politico del Partito democratico Piero Fassino: il profumo di oltre i 500 euro rubato al duty-free di Fiumicino lo scorso anno, l’iscrizione nel registro degli indagati, la successiva lettura dell’episodio come fatto di minima offensività e il risarcimento. Se un ex ministro, al centro di un protocollo di sicurezza aeroportuale, può invocare l’assenza di dolo e ottenere che l’ordinamento guardi alla tenuità, perché, ha scandito la difesa, quel medesimo parametro non dovrebbe valere a fortiori per un pensionato con 8 euro e 18 centesimi in mano?La strategia ha funzionato: non è stato il peso sociale dell’imputato a modellare la risposta ma, per una volta, il principio di eguaglianza in giurisprudenza. La Corte ha preso la strada che il tribunale di primo grado non aveva voluto vedere: il fatto non sussiste. Resta la fotografia: in un sistema che tollera di discutere la punibilità di condotte ben più costose quando coinvolgono figure pubbliche, il caso S. P. serve da contrappeso.
Mostra, per contrasto, che la scala penale vera del Paese non la misurano i codici, ma la posizione di chi viene giudicato. Finché qualcuno, in Appello, non osa mettere sullo stesso piano un ex ministro e un pensionato con una scatoletta.
I figli della Troika, alla Mario Monti per intendersi, sono spesso anche profeti di sventura. Di solito operano in «modalità tragedia», ammonendo che un certo debito pubblico non è sostenibile, nuotano volentieri nelle acque dei mercati che contribuiscono ad agitare, quindi passano con la ricettina già pronta e all’insegna di lacrime e sangue.
Poi c’è Carlo Cottarelli, l’ex direttore del Fondo monetario dal volto umano, da tempo impegnato a far dimenticare quello che ha combinato in Grecia. Per Pasqua, l’economista di Cremona ha cercato di convincere i lettori del Corriere della Sera che in fondo questa battaglia dei dazi non è una catastrofe e neppure un pasticcio irrisolvibile, come dicono i giornaloni. Evviva, modestamente lo scriviamo da settimane anche noi, mentre tutto intorno si ascoltano progetti folli, come ritorsioni contro Washington e minacce di avvicinarsi per ripicca a Pechino. Cottarelli sostiene che proprio la Cina è il vero obiettivo di Donald Trump e noi gli vogliamo credere, anche se a quel punto non si capirebbe più tanto perché la Casa Bianca se la sia presa anche con l’Europa. In ogni caso, Cottarelli spiega che su molte categorie di prodotti ci sono margini di trattativa, tra noi e gli Usa. Ah, «noi sarebbe l’Ue, non l’Italia. «La logica direbbe quindi che America ed Europa giungeranno a un accordo commerciale. L’unico caveat è che, talvolta, tra le nazioni non prevale la logica». Cioè, l’Ue sarebbe una nazione, per Cottarelli. Veramente, con tutto il rispetto, la nazione è quella con i parlamenti sovrani, che quando dall’alto qualcuno propone un Cottarelli come premier (2018) rispondono con una pernacchia. L’Unione europea come nazione è come le scritte sui viadotti «Sardigna Natzione», o «Vda libra» (come se qualcuno avesse mai invaso la Valle d’Aosta): propaganda senza popoli.
Un re ambientalista, buongustaio e soprattutto un grande amico di Carlo Petrini. Ieri la Stampa ci ha regalato un ritratto di Carlo d’Inghilterra vergato con sapienza dal fondatore di Slow food e dotato di un titolo suggestivo: «Io, re Carlo e i contadini a Buckingam Palace». E in sole due pagine, leggere come un millefoglie di melanzane al castelmagno, stranamente emerge soprattutto Petrini.
Carlin, come la chiamavano già a Trento ai tempi del PdUp (Partito di unità proletaria) e delle sue prime collaborazioni con il Manifesto, ci anticipa che re Carlo verrà in Italia ad aprile «con la regina consorte, per la prima volta da quando sono diventati regnanti». Poi racconta che lo scorso 7 febbraio sua altezza reale ha organizzato una serata di gala dedicata all’Italia e ha invitato, con sua «grande sorpresa», anche Petrini stesso. «Personalmente erano più di sette anni che non incontravo Carlo d’Inghilterra e, in questo periodo, molte cose sono avvenute, dal Covid alla scomparsa della regina Elisabetta», ci fa sapere l’abile enogastronomo. «A parte gli auguri di Natale, non mi è più capitato di incontrarlo personalmente», svela Carlin, «e di rafforzare un’amicizia ventennale», oh yes. Poi racconta che quando si sono rivisti è scattato subito «un grande e lungo abbraccio». Dopo di che, e ci fermiamo qui, Petrini da Bra comunica al popolo degli agnolotti al ragù di arrosto di aver «condiviso con il re» le proprie considerazioni sulla «caratteristica istituzionale del nuovo ruolo di re». Da compagno gastronomo a teorico della monarchia britannica. Dopo Slow food e Slow fashion, siamo pronti per Slow Monarchy. Nell’arco di mezzo secolo, la giusta evoluzione di un vero comunista piemontese.





