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Ranieri Guerra ha lavorato per il ministero della Sanità e per l'Organizzazione mondiale. E ci dice: mi hanno usato come parafulmine.
Ranieri Guerra ha lavorato per il ministero della Sanità e per l'Organizzazione mondiale. E ci dice: mi hanno usato come parafulmine.
Colpo di scena nelle indagini sul mancato aggiornamento del piano pandemico, il documento che allo scoppio della pandemia avrebbe potuto scongiurare la morte di migliaia di persone e le chiusure generalizzate. Il gip di Roma, Anna Maria Gavoni, nello stralcio delle indagini trasmesse dai pm di Bergamo e Brescia per competenza territoriale nella Capitale, ha infatti disposto l’imputazione coatta per l’ex numero due dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Ranieri Guerra, per l’allora direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, e per due dirigenti del ministero della Salute, Maria Grazia Pompa e Francesco Maraglino. Nei loro confronti la Procura di Roma aveva sollecitato l’archiviazione nel 2023, ma il giudice delle indagini preliminari, con un’ordinanza di 62 pagine depositata ieri, ha disposto che il pm entro dieci giorni formuli l’imputazione per l’accusa di rifiuto d’atti d’ufficio «in quanto indicati come responsabili del mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale del 2006 e dell’omessa definizione dei piani di dettaglio», sottolineando inoltre l’esistenza di indicazioni precise da parte delle istituzioni europee dell’«urgenza sostanziale» di redigere il documento.
Archiviata invece la posizione dell’ex presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, sia per l’ipotesi di truffa in riferimento a erogazioni pubbliche sia per il rifiuto di atti d’ufficio. Per quest’ultima ipotesi sono state archiviate anche le posizioni dell’ex capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e dell’allora dirigente del ministero della Salute, Claudio D’Amario. Archiviata anche l’accusa di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici per lo stesso D’Amario e per gli altri dirigenti Francesco Maraglino, Loredana Vellucci, Mauro Dionisio.
La notizia è uno schiaffo a chi dava per chiusa la partita sulla ricerca della verità circa l’impreparazione del Paese all’emergenza e le responsabilità delle alte cariche sanitarie. Come noto, quando il Covid arrivò, l’Italia era priva di un piano di preparazione e risposta. O meglio, ne aveva uno vecchio e non fu applicato nemmeno quello. Per mesi e mesi i vertici della sanità italiana, a partire dall’ex ministro Roberto Speranza, hanno mentito sull’argomento, tentando di nascondere l’evidenza. Poi la verità -anche grazie al lavoro dei familiari delle vittime, del loro ex consulente Robert Lingard, e di parlamentari come Galeazzo Bignami di Fdi - è venuta a galla.
«Siamo davvero molto soddisfatti di questo risultato e per l’approfondimento riservato alla questione così complessa che era oggetto dell’opposizione all’archiviazione da noi proposta all’udienza del 20 giugno 2024», ha dichiarato ieri Consuelo Locati, capofila dei legali dell’Associazione #Sereniesempreuniti, che assistono i familiari delle vittime, «è un grande risultato e un pezzo di verità riconosciuta e di rispetto e dignità che viene ridata a quei corpi accatastati cui è stata negata anche la dignità della sepoltura», ha concluso Locati.
Per l’avvocato Roberto De Vita, difensore dell’ex numero due dell’Oms, la decisione del gip è invece «in palese contrasto con l’approfondita indagine e la valutazione della Procura e appare basata su una prospettiva di esplorazione dibattimentale ipotetica, tra l’altro per il professor Guerra che aveva cessato le sue funzioni nel 2017».
Venne subito rimosso dall’Oms il rapporto critico sulla gestione della emergenza sanitaria che denunciava l’esistenza in Italia di un piano pandemico vecchio, datato 2006 e solo «riconfermato» nel dicembre del 2016.
Era il 13 maggio del 2020 e il dossier dei ricercatori Oms della sede di Venezia aveva come titolo Una sfida senza precedenti. La prima risposta dell’Italia al Covid-19. Doveva mostrare come il nostro Paese aveva reagito all’epidemia, in realtà rivelò che non si era affatto pronti. La risposta fu «improvvisata, caotica e creativa», si leggeva nel documento.
Il piano era un «copia-incolla» di quello del 2006, spiegò Francesco Zambon, coordinatore dell’Ufficio europeo che si occupò del rapporto. L’allora numero due dell’Oms, Ranieri Guerra, gli aveva chiesto due giorni prima della pubblicazione di mettere che era stato «updatet» e «reconfirmed», cioè aggiornato e riconfermato, nel 2016. La mail fu mostrata nella trasmissione di Rai3 Report.
«Ma non potevamo scrivere che fosse stato aggiornato. Infatti nel report abbiamo messo soltanto “riconfermato”», affermò Zambon nell’ampia intervista di Francesco Borgonovo sulla Verità del 22 dicembre 2020. Il dossier, che denunciava l’impreparazione dell’Italia alla pandemia venne ritirato dall’Oms, Zambon fu costretto alle dimissioni. Anche l’Istituto superiore della sanità, allora diretto da Silvio Brusaferro, non voleva che diventasse pubblico il mancato aggiornamento di un piano così fondamentale. Da una sua chat con Guerra, che prima lavorava in Italia e tra il 2014 e il 2017 era responsabile del dipartimento di Prevenzione nel ministero della Salute che aveva competenza pure sul piano pandemico, la Procura di Bergamo trovò conferme della volontà di far sparire il dossier. L’ex vice direttore aggiunto scriveva a Brusaferro di essere «stato brutale con gli scemi del documento di Venezia. Ho mandato scuse profuse al ministro e ti ho messo in cc di alcune comunicazioni. Alla fine sono andato su Tedros (il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ndr) e ho fatto ritirare il documento. Sto ora verificando il paio di siti laterali e social media dove potrebbe essere ancora accessibile per chiudere tutti i canali. La ritengo comunque una cosa schifosa di cui non si sentiva la mancanza. Spero anche di far cadere un paio di incorreggibili teste. Grazie».
Per Guerra, Brusaferro, per l’ex capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e per tutti gli altri indagati a vario titolo di rifiuto d’atti d’ufficio, di falso in atto pubblico, truffa, il sostituto procuratore di Roma Claudia Terracina aveva chiesto l’archiviazione nel novembre dello scorso anno; a giugno del 2023 erano state già archiviate anche le posizioni di tre ex ministri della Salute, Roberto Speranza, Beatrice Lorenzin e Giulia Grillo con un decreto del tribunale dei ministri. Eppure, come ricordava Alessandro Rico sulla Verità, «l’esponente dem ha detto che, quando è scoppiato il Covid, credeva “che già ci fosse il nuovo piano pandemico”. La pentastellata ha sostenuto di aver interpretato come “aggiornamento” un semplice “addendum del 2010”».
Era evidente, invece, che erano al corrente che il Parlamento europeo nel 2013 aveva introdotto l’obbligo per gli Stati membri del costante aggiornamento del piano pandemico nazionale previsto dall’Oms. Dovevano rivedere periodicamente le pianificazioni nazionali in materia di rischi emergenziali, incluse quelle di tipo biologico; era necessaria la costante acquisizione di dati e informazioni ritenuti essenziali per organizzare nell’emergenza il sistema sanitario e proteggere operatori e cittadinanza.
Quando scoppiò la pandemia l’Italia non era dotata di un piano pandemico aggiornato, nemmeno fu applicato quello vecchio «tanto che lo stesso Comitato tecnico scientifico, nella prima seduta del 2 febbraio 2020, aveva dovuto prendere atto della carenza di informazioni, dati e notizie utili a ricostruire un quadro conoscitivo delle strutture sanitarie, utili per contrastare la diffusione del Covid-19», ricordarono nel 2021 i propositori della istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria, oggi legge ma non ancora decollata.
I familiari delle vittime del Covid a Bergamo si sono opposti alla richiesta di archiviazione, il gip Anna Maria Gavoni aveva accolto la loro memoria fissando l’udienza il 20 giugno, rinviata al 5 luglio. Solo venerdì sapremo se i protagonisti del mancato aggiornamento pandemico saranno rinviati a giudizio.
Il ministro cancella dal documento pandemico i dpcm e apre alla revisione dei capitoli dedicati alle restrizioni. Svicola ancora invece sui vaccini, che al momento sono definiti «le misure preventive più efficaci» a prescindere persino dalla loro esistenza.
Il ministro della Salute ingrana la retro: il piano pandemico 2024-2028, quello che rispolverava i lockdown, i dpcm e la religione del vaccino, sarà modificato. Non poteva essere altrimenti: il principale azionista del governo, Fratelli d’Italia, aveva già proposto di cambiare un documento che - ha commentato domenica scorsa un esponente del partito - «sembra scritto dagli uomini Speranza». Dopo le critiche della Verità, era intervenuto, proprio sulle colonne del nostro giornale, anche un big meloniano: il viceministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, aveva suggerito almeno di «precisare meglio tutte le fasi di risposta all’emergenza che andrebbero seguite» prima di arrivare, come «extrema ratio», alla serrata totale.
La conferma che i lavori sono ancora in corso, e che la partita è aperta, l’ha data ieri, a Palazzo Madama, Orazio Schillaci, rispondendo alle interrogazioni della senatrice grillina Elisa Pirro e del senatore leghista Claudio Borghi.
La prima, seguendo la strategia di Giuseppe Conte, ha provato a rimarcare le somiglianze della bozza discussa in questi giorni con i provvedimenti attuati dall’esecutivo giallorosso, a marzo 2020: «Si chiede di sapere», recitava l’interpellanza depositata in Aula, «quali siano le differenze» tra il nuovo piano pandemico e le «misure adottate dai precedenti governi durante la pandemia». Il secondo, che all’inizio, sui social, aveva minimizzato quelle preoccupanti analogie, dev’essersi poi accorto che qualche problemino c’era davvero. Così, ha preteso giuste rassicurazioni sul fatto che ci sia margine per degli emendamenti al documento, al fine di preservare i tre impegni assunti dal centrodestra con gli italiani: affidarsi, in caso di futura emergenza sanitaria, più al senso di responsabilità individuale che alle restrizioni; evitare gli obblighi vaccinali; includere il Parlamento nelle decisioni, anziché procedere per editti del premier.
È su questo punto che il ministro si è lasciato andare all’ammissione più franca: in un piano pandemico, ha concesso, «non è indispensabile affrontare aspetti giuridici». In sostanza, il manuale che indica le linee guida per fronteggiare un’epidemia non dovrebbe spingersi fino a prescrivere quali siano gli strumenti normativi migliori - i decreti legge oppure i dpcm. Secondo Schillaci, coinvolgere il Parlamento resterà «il mezzo più idoneo». Se tanto ci dà tanto, dunque, dalla versione definitiva del piano 2024-2028 dovrebbe essere espunto il passaggio che definisce i dpcm lo «strumento centrale di governo dell’emergenza sanitaria», tale da riflettere «la posizione costituzionale del presidente del Consiglio quale garante dell’unità di indirizzo dell’azione di governo e di bilanciamento dei molteplici interessi pubblici». Significherebbe neutralizzare la minaccia dell’eredità di Conte.
Sui lockdown, Schillaci è stato un po’ più lasco. Ha ribadito che il testo - tuttora «in fase di revisione» - sarà migliorato tenendo conto dei suggerimenti delle parti, a cominciare dalle Regioni, le quali hanno sollecitato una definizione dettagliata di «ruoli, competenze e tempistiche» da attribuire sia ai governatori, sia a tutti i ministeri interessati (Interno, Infrastrutture, Istruzione, Lavoro, Turismo). Per il resto, l’inquilino di lungotevere Ripa ha gettato acqua sul fuoco, ricordando che le chiusure di scuole e attività non essenziali, menzionate dal piano pandemico, dovrebbero comunque essere imposte solo se si rivelassero «strettamente indispensabili», applicate con criteri di gradualità e proporzionalità «sia alla probabilità sia all’entità dell’evento», oltre che per periodi di tempo limitati. La sensazione è che, su questa materia, finisca per prevalere il lodo Bignami: potrebbero essere esplicitate le condizioni in presenza delle quali stringere passo dopo passo le maglie.
Rimane sospesa la questione dei vaccini, ai quali il piano pandemico conferisce, a prescindere, la qualifica di «misure preventive più efficaci». Schillaci non ha evocato obblighi e green pass, ma ha avvalorato i dubbi sollevati dalla Verità. Ha rimarcato che uno dei pregi del documento - finalmente «aggiornato», ha rivendicato lui, con una stoccata ai predecessori inadempienti - è che non si focalizza sui virus di tipo influenzale, bensì predispone un armamentario utile per affrontare la comparsa di un qualunque patogeno ignoto. Allora, com’è possibile stabilire a priori che l’alleato più prezioso sarà il vaccino? Con il Covid ci siamo messi a lodare il vaccino sperimentale. Il prossimo passo sarà venerare il vaccino immaginario?
Ciò dimostra quanto sia importante la commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia del 2020. Anche ieri, in Senato, la pentastellata Pirro ci ha tenuto a denunciare che si tratta di un plotone d’esecuzione politico per quei benemeriti che hanno lottato, a mani nude, contro un nemico inatteso e letale. La cronaca, però, prova che, dove s’indaga sul serio, le verità scomode emergono. L’omologo organismo inglese, ad esempio, ha appena raccolto una testimonianza esplosiva del professor Mark Woolhouse: l’esperto ha affermato che alla Bbc è stato permesso di «travisare» il rischio posto dal Covid. Segnalando «ripetutamente rari casi di morte o malattia grave tra gli adulti sani, come se fossero la norma», l’emittente di Stato ha persuaso il pubblico che chiunque corresse gli stessi pericoli, al solo scopo di cementare il consenso per i lockdown.
I politici nostrani dovrebbero sforzarsi di concepire l’operazione trasparenza quale dovere civico. D’altronde, se essi temono il redde rationem, noi cittadini abbiamo motivo di temere loro. La senatrice del M5s ha rinfacciato alla Lega di avere «problemi con le limitazioni delle libertà». Ecco: in troppi, a togliercele, non si farebbero nessun problema.
