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Ansa
Dopo la sperimentazione nei piccoli centri, il servizio sbarca pure a Bologna, Verona e Cagliari. Da settembre verrà attivato a Milano, Roma e Napoli. Dopodiché sarà esteso agli sportelli di tutta Italia.
È il tormentone di chi deve partire. Lunghe attese (fino a 10 mesi), prenotazioni complicate, code estenuanti negli uffici delle questure lontani chilometri dalla propria abitazione. Il rinnovo del passaporto da facile incombenza si è trasformato in un girone dantesco.
Per un cambio di passo gli utenti ripongono qualche speranza nel nuovo servizio varato dalle Poste, da marzo scorso nei Comuni con popolazione fino a 15mila abitanti e ora esteso alle grandi città. Da ieri è attivo in 32 uffici postali di Bologna, 32 di Verona e 17 di Cagliari e in tutto il loro territorio provinciale. Da metà settembre sarà esteso a Milano (in 100 uffici postali), Napoli (in 72) e Roma (in 200) poi progressivamente su tutto il territorio nazionale. Dalle attese di mesi, come ha rilevato l’associazione Altroconsumo che ha monitorato le 17 maggiori città italiane, si scenderà a 15 giorni. Il servizio avviato in via sperimentale, ad ora è operativo in 300 comuni, di cui il più piccolo è Bova, in provincia di Reggio Calabria che conta 393 abitanti ed è a 57 chilometri dalla Questura. Sono stati rilasciati 2.200 passaporti. L’iniziativa viene incontro soprattutto ai residenti nelle piccole località che si trovano molto distanti dagli uffici della Questura e fino ad ora, oltre alle difficoltà della registrazione telematica, dovevano affrontare quelle di lunghi spostamenti.
A questa situazione si è giunti dopo il caos lasciato in eredità dal Covid. Il lockdown ha creato il caos nelle questure che hanno visto accumularsi le richieste di rilascio e rinnovo dei passaporti. Un disagio proseguito per molti mesi e che il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva attribuito all’accumulo delle procedure durante l’emergenza sanitaria. Alcuni mesi fa, sempre il titolare del Viminale aveva quindi annunciato che, come parte della soluzione al problema, la possibilità di richiedere o rinnovare il passaporto direttamente agli sportelli delle poste sarebbe presto arrivata anche nelle grandi città.
Vediamo nel dettaglio come funziona. Innanzitutto l’utente che ha bisogno di rinnovare o chiedere un nuovo passaporto, anche per i minori, deve verificare se il suo Comune è abilitato e quali sono gli uffici postali che effettuano il servizio. Il secondo passaggio è la prenotazione. Basta andare nella sezione specifica del sito di Poste Italiane, dove c’è l’indicazione passaporto elettronico. Successivamente, basterà recarsi presso l’ufficio postale abilitato prescelto e consegnare all’operatore un documento di identità, il codice fiscale, due fotografie a colori identiche e recenti (non più vecchie di sei mesi) conformi al codice Icao (si possono fare anche nelle macchinette per strada. Saranno legalizzate direttamente allo sportello), una marca da bollo da 73,50 euro e l’attestazione di versamento di 42,50 euro, effettuato a nome di chi richiede il passaporto tramite bollettino postale di conto corrente n. 67422808, intestato al Ministero dell’Economia e delle finanze - Dipartimento del Tesoro con la causale «Importo per il rilascio del passaporto elettronico». Per il rinnovo sarà necessario consegnare anche il vecchio passaporto, o nel caso di smarrimento o furto del documento, la relativa denuncia. Grazie alla piattaforma tecnologica in dotazione agli uffici postali sarà lo stesso operatore a raccogliere le informazioni anagrafiche e i dati biometrici del cittadino (impronte digitali e foto) inviando poi la documentazione all’ufficio di Polizia di riferimento.
Al momento della richiesta, si può scegliere se ricevere il documento direttamente a casa o andare in Questura a ritirarlo.
Se il passaporto è richiesto per i minori, serve una copia del documento di identità dei genitori in corso di validità, un atto di assenso nel caso in cui un genitore sia assente e la Certificazione di responsabilità genitoriale se c’è un unico genitore.
Alla fine dell’operazione viene rilasciata una ricevuta in cui sono indicati l’Ufficio di Polizia che gestirà la richiesta e il codice di protocollo di riferimento.
Il costo del passaporto, oltre agli altri oneri previsti, è di 14,20 euro, stabilito in base a una convenzione stipulata a febbraio scorso tra il ministero del Made in Italy, quello dell’Interno e il gruppo guidato da Matteo Del Fante ed è stato fissato in base a una metodologia di calcolo definita insieme al Mimit. Per farselo recapitare a casa bisogna spendere 9,53 euro.
L’iniziativa è destinata ad essere copiata anche all’estero. «In molti stanno guardando il nostro esempio, perfino il Giappone» ha detto il direttore generale di Poste Italiane, Giuseppe Lasco e ha sottolineato che il servizio ha richiesto «un impegno importante a partire dalla formazione del personale e l’implementazione della piattaforma informatica dalla quale le questure possono recuperare in tempo reale i dati dei richiedenti». La piattaforma renderà possibile, probabilmente da novembre, anche il rilascio della carta di identità elettronica. L’impegno finanziario aggiuntivo è stato di 80-100 milioni di euro.
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Il 2020 ha rappresentato un vero boom per i secondi passaporti, golden visa. Si cercavano mete isolate, o dove la sanità fosse migliore, rispetto al proprio Paese di origine. Trend che però si sta sgonfiando nel tempo. Negli ultimi anni molti di questi visitatori hanno deciso di tornare indietro per diversi motivi: fattori culturali, familiari, economici o politici.
I passaporti d’oro non vanno più di moda. I programmi golden visa sono molto popolari tra gli individui con un alto patrimonio che comprano secondi passaporti per diversificare i propri investimenti o per far studiare i figli nelle università più prestigiose. Durante il picco pandemico nel 2020 i golden visa sono stati usati anche per scappare dalle città, tipicamente densamente popolate, e andare in località più remote o in quei paesi dove si pensava che la sanità fosse migliore rispetto al proprio. Trend che però si sta sgonfiando nel tempo. Negli ultimi anni molti di questi visitatori hanno infatti deciso di tornare nei loro paesi di origine per diversi motivi: fattori culturali, familiari, economici o politici.
Ad evidenziare questa dinamica è il rapporto di Henley & Partners, una delle principali società di consulenza globale che si occupa di cittadinanza e residenza, che sottolinea come numero di richiedenti di visti d’oro, che hanno invertito la propria migrazione, è aumentato del 15% nel 2023, rispetto all’anno precedente. Il rapporto prevede inoltre che questa tendenza continuerà a crescere nel 2024. Ci sono diversi motivi legate alla migrazione inversa. Alcuni sono ragioni squisitamente economiche, come possono essere gli incentivi che i vari governi danno per rientrare nel proprio paese di origine, altre invece sono più sentimentali e dunque legate alla famiglia o alla mancanza della propria cultura.
Economia & Politica
Molti paperoni hanno deciso di lasciare il proprio paese di origine, ben prima della pandemia perché la situazione economica non brillava particolarmente. Parliamo nello specifico della Grecia, della Spagna, del Portogallo e della Turchia. Realtà che però negli ultimi anni hanno mostrato una crescita interessante e una situazione economica, che rispetto al passato, risulta essere in netto miglioramento. Oltre a questa dinamica c’è da evidenziare anche che molti paesi, in giro per il mondo, stanno mettendo in campo diversi programmi per attrarre in patria i cervelli espatriati. Il mix ha ovviamente incoraggiato alcuni a tornare a casa per valutare se effettivamente c’è margine economico sufficiente per crescere.
Stesso ragionamento si può fare per la stabilità politica, in senso inverso questa volta. Alcuni paesi che offrono programmi di golden visa come il Montenegro, Cipro e Malta hanno avuto qualche problemino di incertezza politica negli ultimi anni. Questo ha ovviamente sollevato preoccupazioni tra gli investitori stranieri che hanno scelto di tornare nei loro paesi di origine, anche per un maggiore senso di protezione.
Cultura & Famiglia
Legato al concetto di “senso di protezione” ci sono altri due elementi che stanno spingendo i paperoni a tornare a casa: l’affinità culturale mancante e i legami famigliari. Per quanto riguarda il primo aspetto, molti che hanno ottenuto i visti d’oro, negli anni passati, sono andati a vivere nel Regno Unito, negli Usa, in Canada o in Australia. Paesi che hanno la propria cultura e dinamiche. Molto spesso chi si è trasferito in queste realtà ha dovuto fare i conti con una lingua, una cucina e dei valori diversi. Alcuni si sono adattati e hanno trovato il loro equilibrio, ma molti hanno preferito, dopo aver portato a termine il motivo del loro trasferimento (magari legato agli studi dei figli), di tornare nel loro paese di origine, dove si sentono più connessi con il territorio. Stessa cosa per la famiglia. Molto spesso quando si è ottenuto un visto d’oro e si è partiti per la nuova destinazione si sono lasciati a casa i cari. Molti, dopo anche il Covid, hanno capito l’importanza di mantenere rapporti stretti con i propri famigliari e amici e hanno deciso di tornare indietro.
Nel 2024 la migrazione inversa sarà un fenomeno sempre più forte, che rimodellerà il panorama dei visti d’oro. Il ritorno alle origini, come visto, non è solo una scelta nostalgica o romantica, sicuramente anche questi aspetti hanno una valenza, ma una mossa che viene calcolata nei minimi dettagli per poter sfruttare al meglio le nuove opportunità economiche che il paese di origine può offrire, uniti al capitale culturale e alle reti globali che si sono costruite nel tempo. Si tratta dunque di una nuova mobilità internazionale che nei prossimi anni mostrerà tutto il suo potenziale.
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Roberto Speranza (Ansa)
Il ministro della Salute è fiducioso. Anzi, molto fiducioso, addirittura ottimista. Lo ha spiegato lui stesso ieri in un'intervista al Messaggero in cui, sprizzando il tipico entusiasmo che lo contraddistingue, ha annunciato che presto si potrà viaggiare con il passaporto vaccinale.
Che i vaccini non ci siano ancora, e dunque quest'estate sia difficile poter disporre di un passaporto che attesti l'immunizzazione, è un dettaglio che a quanto pare non turba Roberto Speranza. Il quale, per il futuro, è così speranzoso che alla domanda se alla fine dell'estate gli italiani saranno costretti a rispettare altre restrizioni come quelle imposte nelle ultime settimane o, a proteggerci dal Covid, basteranno mascherine e distanziamento, ha risposto con un benaugurante «valuteremo». Sì, l'uomo che da oltre un anno ha il compito di difenderci dalla pandemia e, da oltre un anno, ci racconta di intravedere la luce in fondo al tunnel, ancora una volta ha dato prova non solo di contraddirsi, ma anche di essere inadeguato al compito che è chiamato a svolgere. Le risposte fornite al giornale romano sulla situazione italiana e sulle ragioni di alcune scelte adottate dal suo ministero in vista delle festività, si rivelano così vaghe da far dubitare che egli abbia un piano. Alla richiesta di una spiegazione per la chiusura di bar e ristoranti, negozi e parrucchieri, nonostante sia stato registrato un calo dell'indice di contagio, Speranza non ha chiarito di avere intenzione di valutare i divieti in base all'andamento dell'epidemia, ma si è limitato ad affermare, come un dogma scientifico, che la diminuzione della curva degli ammalati non sia da considerarsi sufficiente. A dire il vero, la riduzione delle persone infettate dal coronavirus lui la chiama «un piccolo tesoretto», scambiando i buoni risultati per un bonus tipo quelli distribuiti a piene mani dal governo Conte. E infatti il ministro annuncia di aver intenzione di spendere il tesoretto nelle scuole riaprendo asili, elementari e medie. Sia ben chiaro: il gruzzolo di Speranza non prevede investimenti a tutela degli studenti, con messa in sicurezza delle aule e potenziamento del trasporto pubblico per evitare assembramenti e assicurare il distanziamento dei ragazzi. No, il piccolo capitale è solo virtuale e non sono contemplati capitoli di spesa. In pratica, si ritorna in classe dopo Pasqua senza che nulla sia cambiato dai tempi dei banchi a rotelle della coppia Azzolina-Arcuri. Le lezioni riprendono, ma solo per gli alunni delle scuole inferiori, che i genitori non sanno come sistemare, mentre gli studenti del liceo e delle professionali dovranno continuare ad accontentarsi della Dad.
Naturalmente, il ministro sorvola sulle ragioni per cui un negozio, dove l'assembramento nelle ore di punta sfiora le quattro persone, debba restare chiuso e un'aula, in cui per cinque ore sono stipati 25 ragazzi, possa essere riaperta. L'unico accenno è un riferimento al ruolo strategico dell'istruzione rispetto al resto, con il che si capisce che Speranza, da buon militante comunista, consideri tutto ciò che ha a che fare con il denaro, ovvero le attività commerciali e artigianali, ma anche i parrucchieri e i centri estetici, poco strategici. Per loro, il semaforo del ministero continuerà a essere rosso, per lo meno fino a che la campagna vaccinale non consentirà di ripartire. Una riapertura in tempi brevi comunque non prevista, perché Speranza già annuncia che il sistema a colori sarà in vigore anche a maggio. Del resto, non c'è da stupirsi: mentre in altri Paesi, per somministrare i farmaci anti Covid sono state mobilitate tutte le risorse disponibili, da noi si è fatto con calma. Al punto che il ministro si compiace di poter annunciare che tra fine aprile e inizio maggio si potranno cominciare a vaccinare le persone anche in farmacia. «Abbiamo approvato una norma. L'accordo con i farmacisti è in dirittura d'arrivo» ha rivelato orgoglioso dopo un anno e 100.000 morti e dopo aver dichiarato che il governo era prontissimo a fronteggiare l'epidemia. Sì, dopo 12 mesi l'accordo è in dirittura d'arrivo. Ciò che non è in dirittura d'arrivo, purtroppo, è la lettera di dimissioni di Speranza.







