L’espediente dialettico più diffuso tra i progressisti e i giornali che li rappresentano sta nello spostare sempre più a destra gli avversari politici. Più hanno potere e più diventano rappresentazione di una ultra destra razzista, fascista e a detta loro illiberale. I socialisti sarebbero pronti ad accettare la sconfitta alle urne solo se gli avversari fossero pronti a mettere in pista programmi di sinistra, affidando, per giunta, tutte le poltrone di comando alla nomenklatura socialdemocratica. Sembra un paradosso, ma è semplicemente la realtà. Motivo per cui il sogno di molti a sinistra sarebbe quello di abolire le elezioni, tanto per non correre più rischi. In Polonia e Spagna si stanno formando governi tenuti in piedi con il fil di ferro o, come nel caso di Madrid, con bruttissimi incesti politici. In Olanda abbiamo visto un film diverso. L’altra sera è stata confermata la vittoria del partito della Libertà (Pvv) e del suo leader Geert Wilders. La gran parte dei media italiani ieri lo descriveva a metà strada tra il diavolo e un folle che merita un trattamento sanitario obbligatorio. Lungi da noi difendere Wilders. Ci sembra più interessante raccogliere e analizzare le motivazioni della sua vittoria e confrontarle con quelle della sconfitta dell’altro candidato, il tanto celebre Frans Timmermans. Il Pvv ha incassato il 23,5% dei voti, pari a 37 deputati. Il tandem Verdi e socialisti si è fermato a 25. Con un seggio in meno, si piazza a 24 il partito di Mark Rutte e a seguire il Nuovo contratto sociale, movimento centrista fondato pochi mesi fa da un deputato di lungo corso, Pieter Omtzigt. L’incarico di formare il governo andrà a Wilders, probabilmente gli altri cercheranno di portare a casa accordi malsani. Il punto però è un altro. Il Pvv ha vinto per sfinimento. Persino gli olandesi, che come i belgi sono il popolo del Vecchio Continente più intriso di retorica europeista, più vicino ai temi del green e dell’inclusività sociale, deve aver capito che ormai c’è troppo scollamento tra il racconto che fa la politica e la realtà che la gente tutti i giorni affronta o è costretta ad affrontare. Timmermans si è dimesso dall’incarico di vice presidente e dal ruolo di commissario all’Ambiente con un anticipo di nove mesi rispetto al termine della legislatura. La sua speranza era chiaramente vincere in Olanda per riposizionarsi pur con un ruolo diverso in Europa. La cosa che ci è apparsa da subito folle è che il Timmermans in campagna elettorale a L’Aja abbia riproposto le stesse ricette del Timmermans commissario. Proseguimento della legge Natura, modello Green deal esteso alla maggior parte dei settori produttivi, transizione delle auto elettriche e normative in grado di sezionare e togliere il respiro all’intero comparto agroalimentare. I contadini olandesi hanno fatto barricate per mesi. Più di quelli francesi, belgi e tedeschi. Non è difficile comprendere come migliaia di lavoratori stanchi di dover lottare per il proprio futuro e di difendersi da una ideologia che così come applicata può portare solo povertà abbiano deciso di votare il solo partito schierato dall’altra parte. Il Pvv è infatti contrario alla transizione green così come impostata da Bruxelles. Punto. Il motivo è molto semplice. E questo vale per le categorie produttive. Poi c’è il tema sociale più ampio che riguarda la convivenza tra immigrati, clandestini e cittadini olandesi. Vivere nell’insicurezza non piace a nessuno. Tanto meno temere per sé o per il proprio patrimonio. È chiaro che il modello di integrazione socialista non funziona. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, si vada a riguardare le piazze piene dopo il 7 ottobre, data del massacro di ebrei praticato da Hamas. Quelle piazze erano zeppe di immigrati, musulmani e di chi odia il modello occidentale. Che, per carità, è pieno di difetti ma resta, per di più nell’alveo della cristianità, il peggiore dei migliori mondi possibili. Medio Oriente o regimi asiatici non hanno nulla da insegnarci. Da anni il modello woke punta ad azzerare la percezione delle differenze. Senza antagonismo non può esserci l’autodeterminazione del sé. Questo vale per gli individui e anche per i popoli. L’integrazione così come sta avvenendo è solo sottomissione. Visto che dall’altra parte resta vivo il desiderio della sharia, se non addirittura della jihad. Certo, sono estremismi. Ma proprio quelli muovono le masse. È chiaro dunque che chi ha votato il partito di Wilders ha voluto mandare un segnale preciso. Non solo più sicurezza, ma assieme ritorno all’autodeterminazione del sé. Di un modello occidentale oscurato e appannato proprio dai socialdemocratici. Ora, ogni volta i messaggi degli elettori crescono e allargano il perimetro e l’eco prodotta. Quanto successo in Olanda potrebbe essere l’esempio di quanto accadrà il prossimo giugno in occasione delle elezioni europee? Non lo sappiamo per certo. Diciamo che ce lo auguriamo. Per essere certi che la spallata abbia un senso e produca effetti concreti, servirebbe al più presto comprendere quali alleanze vogliono mettere in campo i partiti di centrodestra. Come vedono la transizione ecologica sostenibile? Come vogliono raggiungere la sovranità energetica? In quali settori tecnologici l’Europa dovrebbe diventare leader? Chi armerà i nostri eserciti e se necessario dove li manderemo per tutelare le fonti di approvvigionamento delle materie prime?
Dopo mesi di indottrinamento sul «pianeta in pericolo» a causa delle emissioni di CO2, comincia ad essere nitido il contesto in cui media e istituzioni promuovono la lotta al cambiamento climatico: il passaggio obbligato pare essere la distruzione di tutti i settori produttivi primari dell’Unione europea, tra i quali l’allevamento, che contribuisce in modo sostanziale all’economia Ue.
L’altroieri, il ministro socialdemocratico danese delle finanze Jeppe Bruus ha dichiarato che forse potremo salvare il mondo tassando la bistecca. «Il governo sta ristrutturando l’industria alimentare ed esaminando la possibilità di istituire una tassa sulla produzione e sul consumo di carne bovina» (si parla di un aumento di circa 2 euro al chilo), ha annunciato Bruus. Finirà, insomma, che ci dovremo vergognare a mangiare ciò che un tempo presentavamo sulle nostre tavole con un certo orgoglio: ad esempio la gustosa manza danese, tra le produzioni bovine più apprezzate e diffuse al mondo per il sapore della sua carne. Copenhagen sta valutando «se sarà il caso di consumarla», ha detto Bruus, applicando alla lettera il monito del Consiglio etico della Danimarca, che pochi mesi fa ha chiesto di introdurre una tassa sulla carne rossa, dopo essere arrivato alla conclusione che «il cambiamento climatico è un problema di natura etica», sic.
Secondo quanto riportano i giornali locali, la manza danese sarebbe soltanto la prima, illustre vittima dei provvedimenti del governo danese: l’obiettivo finale è di tassare tutti gli alimenti, a tutti i livelli, a seconda del loro «impatto a livello climatico». Sono in pochi ad obiettare che, tra le libertà fondamentali delle persone, ci sarebbe anche quella di decidere cosa mettere nel carrello della spesa: ad affiancare l’esecutivo nella nuova crociata contro la bistecca ci sono i maggiori partiti danesi ed è verosimile che la legge, entro il 2024, sia approvata.
Le motivazioni fornite dal Consiglio etico sono strabilianti: poiché il cambiamento climatico rappresenta «una grande preoccupazione» per la Danimarca, tutto il Paese deve contribuire alla risoluzione del problema e «non è sufficiente contare sull’etica del singolo consumatore». Non ricorda, mutatis mutandis, ciò che le istituzioni dicevano quando - scaricando soltanto sui cittadini l’onere della pandemia - esortavano le masse a vaccinarsi, senza però garantire che il vaccino bloccasse il contagio?
La Danimarca è il primo Paese europeo a raccogliere la «sfida» di Bruxelles sulla riduzione delle emissioni a discapito dell’alimentazione dei cittadini. Ad aprile 2022, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha proposto un aggiornamento della direttiva sulle emissioni industriali dell’Unione europea per realizzare un’economia «a inquinamento zero, climaticamente neutra entro il 2050». La revisione comprendeva la proposta di estendere le norme anche agli allevamenti di bovini che, secondo Bruxelles, sarebbero responsabili del 54% di tutte le emissioni di metano di origine antropica dell’Ue. La Coldiretti ha definito la proposta dell’esecutivo di von der Leyen «ammazza-stalle», perché equipara gli allevamenti alle fabbriche, spingendoli alla chiusura e minando la sovranità alimentare. Molti esperti hanno sottolineato la differenza sostanziale tra le emissioni delle mucche rispetto alle emissioni industriali: secondo l’A.o.p. Italia Zootecnica «il metano dopo 50 anni è praticamente sparito, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni». A bloccare Ursula è stato il Parlamento europeo che, lo scorso 11 luglio, ha respinto qualsiasi ampliamento del campo di applicazione della direttiva, nonostante il sostegno di diversi governi europei e della Commissione. Ma la posta in gioco, a dispetto di quanto sostenga il Consiglio etico della Danimarca, è altissima e ha poco a che vedere con l’etica. La lobby del cibo sintetico è rappresentata dal gruppo Fairr, che riunisce Morgan Stanley, Jp Morgan, fondi internazionali come Blackrock e tanti altri, e muove investimenti per circa 7.000 miliardi di euro, premendo sui Paesi del G20 affinché siano tagliati tutti i sussidi all’agricoltura e agli allevamenti «inquinanti». Poco importa che l’intera filiera alimentare dia lavoro a 44 milioni di persone nell’Unione europea.
Ad aver investito sulla «transizione a un sistema alimentare più sostenibile» è il solito Bill Gates, che un mese fa, nel suo podcast Unconfused me, ha puntato il dito proprio sulle povere mucche: «Di tutto ciò che riguarda le emissioni e il clima, ciò di cui le persone sono probabilmente meno consapevoli è il ruolo dei fertilizzanti e delle emissioni di metano del bestiame». Quella contro l’allevamento è quasi un’ossessione per Gates, che nel 2018 si è spinto a scrivere nel suo libro che «se il bestiame fosse un Paese, sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra al mondo». Nel dubbio, il fondatore di Microsoft sta acquistando molti terreni (possiede circa 275.000 acri negli Stati Uniti, per un valore di 700 milioni di dollari) e, attraverso la sua Breakthrough Energy Ventures, ha investito centinaia di milioni di dollari proprio nei fertilizzanti. Vedi mai.
Non è una novità che esistano alcuni gruppi di pressione che, già da alcuni anni, spingono per uno sdoganamento della pedofilia. Mai era però successo che ad assumere posizione così scioccante fosse un’organizzazione in qualche modo collegata a un partito di governo. Comprensibile, quindi, lo stupore che suscitando in queste ore una dichiarazione al riguardo emersa in Rete a firma dei Jonge democraten, letteralmente i Giovani democratici, l’ala giovanile «indipendente» dei Democraten 66 (D66), forza politica socia-liberale olandese che fa parte della coalizione di quattro partiti che sostiene la premiership di Mark Rutte.
Va subito precisato che non si tratta di un vero e proprio comunicato ufficiale dei Giovani democratici, bensì di verbali interni di un’assemblea risalente al giugno 2019 - non è chiaro se dell’intera realtà o del solo gruppo di Amsterdam -, che però non erano mai stati pubblicati e, soprattutto, mai erano usciti dal circuito informativo dei Paesi Bassi. Da quei verbali, si evince come nel corso dell’assemblea dei Jonge democraten siano state formulate diverse tesi sconvolgenti.
La prima è che la «pedofilia è un orientamento sessuale con cui si nasce». Considerandola un mero orientamento sessuale, l’organizzazione giovanile ha altresì suggerito che la pedofilia dovrebbe esser presentata ai minori come tale all’interno del curriculum di educazione sessuale scolastica al fine di fornire loro le informazioni essenziali di quella che è considerata una «identità» stigmatizzata. Conseguentemente, sempre nel corso dell’assemblea, i Giovani dem olandesi - che consentono l’adesione a soggetti dai 12 ai 30 anni ed hanno capitoli in diverse città del Paese - si sono trovati concordi nell’affermare che «nelle scuole secondarie dovrebbe essere impartita un’istruzione sulla pedofilia come orientamento sessuale».
Una simile svolta, nell’ottica dei Jonge democraten, appare motivata dal fatto che «molti pedofili considerano il suicidio», dato che la pedofilia non è un’«identità» rispettata. Non è finita. Nel corso dello stesso incontro, i giovani progressisti olandesi hanno pure adottato una risoluzione sui materiali sugli abusi sessuali sui minori. Pur prendendo atto come, secondo le leggi vigenti, «produrre, possedere, visualizzare e distribuire materiale pedopornografico virtuale costituisce un reato», l’organizzazione giovanile ha dato il suo appoggio alla «pornografia infantile virtuale», asserendo che «la visualizzazione di materiale pedopornografico virtuale potrebbe forse aiutare i pedofili a conoscere i propri sentimenti senza nuocere ad altre persone».
Per non farsi mancare nulla, nella medesima occasione si è pure dato il placet al «cambio di sesso» per i minori: «L’assistenza alla transizione deve essere disponibile per tutti coloro che soffrono di disforia di genere. Essa deve essere assicurata collettivamente». Non sembra essere pertanto un caso che il primo rappresentante maschio apertamente transidentificato nel parlamento olandese, Lisa Mianti van Ginneken, sia stato eletto nel 2021 in quota D66. Sempre van Ginneken, dal 2017 al 2021, era alla presidenza di Transvisie, gruppo favorevole alla somministrazione dei bloccanti della pubertà per i minori con disforia di genere.
Ma torniamo al verbale dei Giovani democratici. Per capirne di più sul documento e soprattutto sulla posizione del partito cui essi sono collegati, il giornalista Tamás Orbán ha provato, per conto del portale European Conservative, a contattare dei responsabili del D66: nessuna risposta. Su Twitter c’è chi ha provato a contattare direttamente Kalle Duvekot, presidente nazionale dei Giovani democratici, ma dal suo profilo non trapela nulla sull’esplosiva vicenda; il che pare assai grave.
Anche perché, se da una parte è vero che nei Paesi Bassi spinte pro pedofilia non sono certo nuove - era il 31 maggio 2006, quando il Corriere della Sera dava la notizia della nascita, in Olanda, di Nvd, presentato come «il partito dei pedofili» - dall’altra i Giovani democratici non sono affatto una realtà marginale, tutt’altro. Con oltre 3.500 membri, rappresentano infatti una delle più grandi organizzazioni politiche giovanili del Paese, e il fatto che essa sia «affiliata» alla forza social-liberale D66, che è partito di governo, rende quel verbale d’assemblea pro pedofilia qualcosa di inaudito. Quel che è sicuro è che i Jonge democraten non sono nuovi a posizioni assai forti.
Basti pensare che già nel 2017 avevano appoggiato con convinzione l’abolizione degli indicatori di sesso sui documenti di viaggio, sostenendo che «non tutti si identificano come maschi o femmine. Ci sono anche persone che scelgono di presentarsi come donne in alcuni giorni e come uomini in altri giorni. La scelta del genere e della registrazione del genere è difficile per loro». Non si tratta di dichiarazione estrema come quella pro pedofilia ma, insieme a quanto ricordato in favore ai baby trans, rende quanto affermato in quei verbali del 2019 tristemente plausibile.







