2023-11-24
L’ideologia dell’Ue ha stufato pure gli olandesi
Geert Wilders (Getty Images)
Dipingere Geert Wilders come un tetro fascista o un pazzoide fuori controllo serve solo a esorcizzare la realtà: persino una popolazione europeista e di tradizione socialdemocratica come quella dei Paesi Bassi non ne può più di follie green e del multiculturalismo. L’espediente dialettico più diffuso tra i progressisti e i giornali che li rappresentano sta nello spostare sempre più a destra gli avversari politici. Più hanno potere e più diventano rappresentazione di una ultra destra razzista, fascista e a detta loro illiberale. I socialisti sarebbero pronti ad accettare la sconfitta alle urne solo se gli avversari fossero pronti a mettere in pista programmi di sinistra, affidando, per giunta, tutte le poltrone di comando alla nomenklatura socialdemocratica. Sembra un paradosso, ma è semplicemente la realtà. Motivo per cui il sogno di molti a sinistra sarebbe quello di abolire le elezioni, tanto per non correre più rischi. In Polonia e Spagna si stanno formando governi tenuti in piedi con il fil di ferro o, come nel caso di Madrid, con bruttissimi incesti politici. In Olanda abbiamo visto un film diverso. L’altra sera è stata confermata la vittoria del partito della Libertà (Pvv) e del suo leader Geert Wilders. La gran parte dei media italiani ieri lo descriveva a metà strada tra il diavolo e un folle che merita un trattamento sanitario obbligatorio. Lungi da noi difendere Wilders. Ci sembra più interessante raccogliere e analizzare le motivazioni della sua vittoria e confrontarle con quelle della sconfitta dell’altro candidato, il tanto celebre Frans Timmermans. Il Pvv ha incassato il 23,5% dei voti, pari a 37 deputati. Il tandem Verdi e socialisti si è fermato a 25. Con un seggio in meno, si piazza a 24 il partito di Mark Rutte e a seguire il Nuovo contratto sociale, movimento centrista fondato pochi mesi fa da un deputato di lungo corso, Pieter Omtzigt. L’incarico di formare il governo andrà a Wilders, probabilmente gli altri cercheranno di portare a casa accordi malsani. Il punto però è un altro. Il Pvv ha vinto per sfinimento. Persino gli olandesi, che come i belgi sono il popolo del Vecchio Continente più intriso di retorica europeista, più vicino ai temi del green e dell’inclusività sociale, deve aver capito che ormai c’è troppo scollamento tra il racconto che fa la politica e la realtà che la gente tutti i giorni affronta o è costretta ad affrontare. Timmermans si è dimesso dall’incarico di vice presidente e dal ruolo di commissario all’Ambiente con un anticipo di nove mesi rispetto al termine della legislatura. La sua speranza era chiaramente vincere in Olanda per riposizionarsi pur con un ruolo diverso in Europa. La cosa che ci è apparsa da subito folle è che il Timmermans in campagna elettorale a L’Aja abbia riproposto le stesse ricette del Timmermans commissario. Proseguimento della legge Natura, modello Green deal esteso alla maggior parte dei settori produttivi, transizione delle auto elettriche e normative in grado di sezionare e togliere il respiro all’intero comparto agroalimentare. I contadini olandesi hanno fatto barricate per mesi. Più di quelli francesi, belgi e tedeschi. Non è difficile comprendere come migliaia di lavoratori stanchi di dover lottare per il proprio futuro e di difendersi da una ideologia che così come applicata può portare solo povertà abbiano deciso di votare il solo partito schierato dall’altra parte. Il Pvv è infatti contrario alla transizione green così come impostata da Bruxelles. Punto. Il motivo è molto semplice. E questo vale per le categorie produttive. Poi c’è il tema sociale più ampio che riguarda la convivenza tra immigrati, clandestini e cittadini olandesi. Vivere nell’insicurezza non piace a nessuno. Tanto meno temere per sé o per il proprio patrimonio. È chiaro che il modello di integrazione socialista non funziona. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, si vada a riguardare le piazze piene dopo il 7 ottobre, data del massacro di ebrei praticato da Hamas. Quelle piazze erano zeppe di immigrati, musulmani e di chi odia il modello occidentale. Che, per carità, è pieno di difetti ma resta, per di più nell’alveo della cristianità, il peggiore dei migliori mondi possibili. Medio Oriente o regimi asiatici non hanno nulla da insegnarci. Da anni il modello woke punta ad azzerare la percezione delle differenze. Senza antagonismo non può esserci l’autodeterminazione del sé. Questo vale per gli individui e anche per i popoli. L’integrazione così come sta avvenendo è solo sottomissione. Visto che dall’altra parte resta vivo il desiderio della sharia, se non addirittura della jihad. Certo, sono estremismi. Ma proprio quelli muovono le masse. È chiaro dunque che chi ha votato il partito di Wilders ha voluto mandare un segnale preciso. Non solo più sicurezza, ma assieme ritorno all’autodeterminazione del sé. Di un modello occidentale oscurato e appannato proprio dai socialdemocratici. Ora, ogni volta i messaggi degli elettori crescono e allargano il perimetro e l’eco prodotta. Quanto successo in Olanda potrebbe essere l’esempio di quanto accadrà il prossimo giugno in occasione delle elezioni europee? Non lo sappiamo per certo. Diciamo che ce lo auguriamo. Per essere certi che la spallata abbia un senso e produca effetti concreti, servirebbe al più presto comprendere quali alleanze vogliono mettere in campo i partiti di centrodestra. Come vedono la transizione ecologica sostenibile? Come vogliono raggiungere la sovranità energetica? In quali settori tecnologici l’Europa dovrebbe diventare leader? Chi armerà i nostri eserciti e se necessario dove li manderemo per tutelare le fonti di approvvigionamento delle materie prime?
Jose Mourinho (Getty Images)