2023-08-31
La tassa sulla carne diventa una realtà: inizia la Danimarca
Il governo vuole disincentivare i consumi per ridurre l’impatto climatico. È la linea di Bill Gates, per cui gli allevamenti sono il male.Dopo mesi di indottrinamento sul «pianeta in pericolo» a causa delle emissioni di CO2, comincia ad essere nitido il contesto in cui media e istituzioni promuovono la lotta al cambiamento climatico: il passaggio obbligato pare essere la distruzione di tutti i settori produttivi primari dell’Unione europea, tra i quali l’allevamento, che contribuisce in modo sostanziale all’economia Ue. L’altroieri, il ministro socialdemocratico danese delle finanze Jeppe Bruus ha dichiarato che forse potremo salvare il mondo tassando la bistecca. «Il governo sta ristrutturando l’industria alimentare ed esaminando la possibilità di istituire una tassa sulla produzione e sul consumo di carne bovina» (si parla di un aumento di circa 2 euro al chilo), ha annunciato Bruus. Finirà, insomma, che ci dovremo vergognare a mangiare ciò che un tempo presentavamo sulle nostre tavole con un certo orgoglio: ad esempio la gustosa manza danese, tra le produzioni bovine più apprezzate e diffuse al mondo per il sapore della sua carne. Copenhagen sta valutando «se sarà il caso di consumarla», ha detto Bruus, applicando alla lettera il monito del Consiglio etico della Danimarca, che pochi mesi fa ha chiesto di introdurre una tassa sulla carne rossa, dopo essere arrivato alla conclusione che «il cambiamento climatico è un problema di natura etica», sic. Secondo quanto riportano i giornali locali, la manza danese sarebbe soltanto la prima, illustre vittima dei provvedimenti del governo danese: l’obiettivo finale è di tassare tutti gli alimenti, a tutti i livelli, a seconda del loro «impatto a livello climatico». Sono in pochi ad obiettare che, tra le libertà fondamentali delle persone, ci sarebbe anche quella di decidere cosa mettere nel carrello della spesa: ad affiancare l’esecutivo nella nuova crociata contro la bistecca ci sono i maggiori partiti danesi ed è verosimile che la legge, entro il 2024, sia approvata. Le motivazioni fornite dal Consiglio etico sono strabilianti: poiché il cambiamento climatico rappresenta «una grande preoccupazione» per la Danimarca, tutto il Paese deve contribuire alla risoluzione del problema e «non è sufficiente contare sull’etica del singolo consumatore». Non ricorda, mutatis mutandis, ciò che le istituzioni dicevano quando - scaricando soltanto sui cittadini l’onere della pandemia - esortavano le masse a vaccinarsi, senza però garantire che il vaccino bloccasse il contagio? La Danimarca è il primo Paese europeo a raccogliere la «sfida» di Bruxelles sulla riduzione delle emissioni a discapito dell’alimentazione dei cittadini. Ad aprile 2022, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha proposto un aggiornamento della direttiva sulle emissioni industriali dell’Unione europea per realizzare un’economia «a inquinamento zero, climaticamente neutra entro il 2050». La revisione comprendeva la proposta di estendere le norme anche agli allevamenti di bovini che, secondo Bruxelles, sarebbero responsabili del 54% di tutte le emissioni di metano di origine antropica dell’Ue. La Coldiretti ha definito la proposta dell’esecutivo di von der Leyen «ammazza-stalle», perché equipara gli allevamenti alle fabbriche, spingendoli alla chiusura e minando la sovranità alimentare. Molti esperti hanno sottolineato la differenza sostanziale tra le emissioni delle mucche rispetto alle emissioni industriali: secondo l’A.o.p. Italia Zootecnica «il metano dopo 50 anni è praticamente sparito, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni». A bloccare Ursula è stato il Parlamento europeo che, lo scorso 11 luglio, ha respinto qualsiasi ampliamento del campo di applicazione della direttiva, nonostante il sostegno di diversi governi europei e della Commissione. Ma la posta in gioco, a dispetto di quanto sostenga il Consiglio etico della Danimarca, è altissima e ha poco a che vedere con l’etica. La lobby del cibo sintetico è rappresentata dal gruppo Fairr, che riunisce Morgan Stanley, Jp Morgan, fondi internazionali come Blackrock e tanti altri, e muove investimenti per circa 7.000 miliardi di euro, premendo sui Paesi del G20 affinché siano tagliati tutti i sussidi all’agricoltura e agli allevamenti «inquinanti». Poco importa che l’intera filiera alimentare dia lavoro a 44 milioni di persone nell’Unione europea. Ad aver investito sulla «transizione a un sistema alimentare più sostenibile» è il solito Bill Gates, che un mese fa, nel suo podcast Unconfused me, ha puntato il dito proprio sulle povere mucche: «Di tutto ciò che riguarda le emissioni e il clima, ciò di cui le persone sono probabilmente meno consapevoli è il ruolo dei fertilizzanti e delle emissioni di metano del bestiame». Quella contro l’allevamento è quasi un’ossessione per Gates, che nel 2018 si è spinto a scrivere nel suo libro che «se il bestiame fosse un Paese, sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra al mondo». Nel dubbio, il fondatore di Microsoft sta acquistando molti terreni (possiede circa 275.000 acri negli Stati Uniti, per un valore di 700 milioni di dollari) e, attraverso la sua Breakthrough Energy Ventures, ha investito centinaia di milioni di dollari proprio nei fertilizzanti. Vedi mai.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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