Forse qualcuno aveva convinto P.S. il videomaker Rai chiamato a testimoniare dall’ex inviata di La7 (in procinto di approdare a Rai 2) Sara Giudice nelle indagini che la coinvolgono insieme al marito Nello Trocchia (firma di Domani) per il presunto stupro di gruppo di una terza collega, che Gaia (nome di fantasia) e la coppia di giornalisti avessero trascorso insieme a casa dei due il pomeriggio precedente la festa dopo la quale sarebbe avvenuta la violenza. Dal verbale del videomaker la circostanza non emerge, ma le indagini difensive svolte da Alessandro Gentiloni Silveri, legale di Gaia, hanno fatto emergere questa possibile fake news che il testimone avrebbe veicolato nel suo ambiente lavorativo. Va detto che P.S. è l’amico (a verbale ha dichiarato «con Sara siamo molto amici in quanto abbiamo lavorato per molti anni insieme») che, come svelato ieri dalla Verità, Sara Giudice ha contattato circa un mese e mezzo dopo la presunta violenza della notte tra il 29 e il 30 gennaio 2023, raccontandogli della denuncia e chiedendogli se era disposto a testimoniare a favore di lei e del marito. L’opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura di Roma, depositata dal legale di Gaia evidenzia come la chat tra la Giudice e il videomaker avrebbe avuto come conseguenza delle modifiche della ricostruzione che, a caldo, P.S. aveva dato all’amica indagata. Scrive infatti Gentiloni Silveri: «Peraltro, si noti come nell’immediatezza del colloquio con la sua amica, egli (P.S., ndr) non confermi affatto alla Giudice quanto da secondo quest’ultima avvenuto in attesa del taxi ma senta il dovere di precisare che quei fatti erano precedenti, e che “certo tu eri più, spinta, questo va detto”; invece, dalla lettura delle sit si nota subito che il complessivo narrato del S. è divenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello degli indagati: le avances Gaia-Giudice tornano ad essere avvenute in attesa del taxi, e la seconda non è più descritta come “più spinta”». Ma come detto, secondo l’opposizione alla richiesta di archiviazione, il videomaker, avrebbe diffuso nell’ambiente lavorativo una vera e propria fake news: «Tale versione falsata è poi quella narrata dal S. anche nel contesto. Il racconto del sommario informatore è infatti arricchito da particolari falsi, quali il riferimento al fatto che Gaia avrebbe trascorso il pomeriggio del giorno della festa presso l’abitazione di Sara Giudice, ciò a confermare “che tra la coppia e Gaia si era già sviluppato un rapporto precedentemente”». La ricostruzione che l’operatore avrebbe fornito ai colleghi, raccolta dal legale dalla presunta vittima in sede di indagini difensive, è smentita dai messaggi che Gaia e la Giudice si sono scambiate prima della festa: alle 18:14 la Giudice invia un messaggio a Gaia in cui «le chiede di andare sotto casa (per prendere insieme il taxi) verso le 19». Alle 19:07 Gaia invia un messaggio per allertare la Giudice del fatto che era arrivata sotto casa della coppia. La festa, evidenzia Gentiloni Silveri «come da locandina, sarebbe iniziata nel locale di viale Trastevere alle 19:30». A verbale P.S. dichiara di conoscere Gaia «perché è stata la fidanzata di un mio carissimo amico quando lavorava» per una trasmissione Rai. Rispondendo a una domanda sul tipo di rapporto che ha con la collega il videomaker risponde così: «Con lei posso dire che siamo conoscenti, l’ho vista in parecchie occasioni lavorative». Anche in questo caso però, le indagini difensive forniscono una versione diversa. Una dirigente Rai, rispondendo a una domanda su una loro frequentazione in ambito lavorativo ha infatti dichiarato: «non mi risulta. Sicuramente non si frequentano in ambito lavorativo, in quanto Gaia è rientrata […] dopo un anno in cui ha lavorato in altre redazioni Rai; curando io stessa la verifica di tutti i servizi che vanno in onda, ivi compreso il nominativo dei film maker che partecipano al confezionamento del servizio, non mi risulta che abbiano mai lavorato insieme».
Non tutte le presunte vittime di stupro sono uguali. Qualcuna è più presunta di altre. Lo ha detto bene Luisella Costamagna, in un post su X: «Solo io trovo vergognosa una richiesta di archiviazione senza sentire la presunta vittima? Perché paladine/i contro la violenza su donne sono così indulgenti se sono coinvolti giornalisti? Correttezza e tutela devono valere sempre». E a chi le ha replicato, sostenendo che la pm ha fatto le sue valutazioni e ora deciderà un giudice, la conduttrice di Tango ha ribattuto che le valutazioni si fanno sentendo anche la presunta vittima, come prevede il codice rosso. Invece, in questa vicenda - che è stata rivelata dalla Verità, nonostante a quanto pare molti giornalisti ne fossero da tempo a conoscenza - a essere sentiti sono stati solo i presunti stupratori. Curioso. Non soltanto il magistrato non ha ritenuto di interrogare la presunta vittima, ascoltando esclusivamente i due cronisti accusati di stupro di gruppo con l’aggravante dell’uso di droga o sostanze alcoliche, ma la stessa cosa hanno fatto i giornali, i quali fin dall’inizio hanno dato voce alla difesa, senza mai ascoltare quella della presunta parte lesa.
Nei confronti degli accusati, Nello Trocchia e Sara Giudice, il primo cronista del Domani conosciuto per inchieste su criminalità e politica mentre la seconda collaboratrice di Piazza Pulita, la trasmissione di Corrado Formigli, è scattato il «soccorso rosso» della categoria. Nonostante ad accusarli sia un’altra giornalista, i colleghi hanno preferito ignorare la faccenda anche quando Trocchia e Giudice sono stati iscritti nel registro degli indagati. Poi, quando La Verità ha pubblicato la notizia, il Sistema (sì, non esiste solo quello della magistratura, ma anche quello che domina l’informazione) si è preso la briga di pubblicare una sola versione: quella degli accusati. Sara Giudice ha fornito la chiave per la soluzione del caso: lei e suo marito sono finiti in prima pagina con l’accusa di stupro perché Trocchia ha pubblicato inchieste scomode e un giornale di destra ha scelto di fargliela pagare. Peccato che non soltanto a La Verità non ci sia l’abitudine di pubblicare le notizie in base all’appartenenza politica di questo o quello, ma la denuncia per stupro risale a un anno e mezzo fa, ben prima che il cronista di Domani si rendesse protagonista di inchieste considerate scomode per l’attuale maggioranza. Ma se Sara Giudice prova a fare la vittima e a buttarla in politica (come fece anche in passato, quando un’inchiesta della Procura di Milano per voto di scambio coinvolse il padre, poi archiviato), il suo ragionamento può anche essere rovesciato. Per qualsiasi politico, non di prima ma anche di terza categoria, sarebbe stato possibile essere indagato senza che la notizia trapelasse sui giornali? Senza che gli atti finissero in prima pagina? Leggendo alcuni documenti abbiamo appreso che Corrado (Formigli?) sapeva dell’inchiesta che riguardava una sua giornalista, ma non ricordo che Corrado (Formigli?) ne abbia parlato come invece ha fatto per altri casi. Non solo. La stessa Giudice, conversando con un testimone a cui rinfresca la memoria sui fatti che la riguardano (ma gli indagati non si dovrebbero astenere dal sentire i possibili testimoni? O la subornazione esiste solo per Berlusconi?), parla della collega che l’accusa dicendo che con i soldi del risarcimento per la calunnia «ci andiamo tutti» a fare una vacanza (tutti chi? Lei e il testimone con cui messaggia?), aggiungendo poi che la presunta vittima avrebbe potuto lavorare a Piazza pulita, ma ora avrà terra bruciata intorno. Domande conseguenti: è così che funziona il Sistema? Se tocchi qualcuno del giro, rischi di tagliarti fuori? E a parlare è una donna che dice di difendere le donne.
Dalla documentazione allegata alla richiesta di archiviazione dell’indagine si scoprono altre due cose. La prima è che la Procura non soltanto ha accettato che il consulente cercasse nelle urine della presunta vittima solo la cosiddetta droga dello stupro e non altre sostanze in grado di dare stordimento, ma poi, secondo Sara Giudice, la pm non crede alla versione degli stupefacenti perché non ritiene che le urine risultate positive a una prova di laboratorio non certificato siano della presunta vittima. Domanda: quella di Giudice è una millanteria oppure l’indagata è a conoscenza di ciò che pensa il magistrato? Come dice Luisella Costamagna, che certo non è di destra, come mai i colleghi giornalisti di fronte a questi fatti sono così indulgenti da non farsi nemmeno una domanda?
Oltre al tassista Patrizio F., nel caso della presunta violenza di gruppo che vede indagati Sara Giudice (inviata di La7 in procinto di approdare in Rai) e il marito Nello Trocchia (firma di Domani), c’è un altro testimone fondamentale, citato dalla difesa della coppia denunciata da Gaia (il nome è di fantasia) una terza giornalista.
Se il tassista è l’unica persona che ha assistito alle avances in auto su Gaia la notte tra il 29 e il 30 marzo del 2023, P.S. videomaker di trasmissioni Rai, è la persona su cui Giudice e Trocchia hanno puntato per ricostruire quanto accaduto durante la prima parte della serata, durante la festa di compleanno della Giudice, organizzata in un pub di Trastevere. Per la pm della Procura di Roma Barbara Trotta, P.S. è un teste a discarico, sentito dagli investigatori «su sollecitazione della difesa degli indagati». Nell’atto, la pm ricostruisce anche la genesi della testimonianza: «Nella chat, datata 13 marzo (2023), Sara gli diceva che gli doveva parlare da vicino di una cosa importante, che in particolare doveva chiedergli di fare uno sforzo di memoria.
Lui le chiedeva con un vocale di cosa si trattasse e lei gli inviava la seguente risposta: «ti ricordi al mio compleanno quando stavamo fuori dal locale io te Nello e Gaia che aspettavamo taxi. Che lei si è accovacciata e mi baciava tutta disinvolta? O robe simili»». Ma proprio questa chat, un misto tra messaggi di testo e vocali, sarà probabilmente uno dei punti centrali dell’udienza del 10 dicembre, durante la quale il gip dovrà valutare l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal difensore di Gaia, Alessandro Gentiloni Silveri. Che di quella conversazione ha un’idea molto diversa, in particolare sul primo scambio di messaggi, che minerebbe la genuinità della testimonianza del videomaker: «La Giudice» scrive nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione «a quel punto invece di attendere una risposta o sentire la sua versione lo imbecca “che lei si è accovacciata e m i baciava tutta disinvolta? O robe simili”». Il legale di Gaia osserva che quello che poi diventerà a tutti gli effetti un testimone «nega tale versione perché risponde “si Sara .... no più che là fori, prima ... sulla porta prima… poi lì al taxi si, stavate a fa un po’ i mattacchioni, così, però che è successo? Scusa comunque si avvinghiava, vi avvinghiavate, certo tu eri più spinta, questo va detto”». A quel punto la Giudice attacca, anticipando all’amico i dettagli che ha già fornito al suo difensore: «Comunque adesso abbiamo detto anche all’avvocata… è possibile che ti chiamino per testimoniare, gli abbiamo detto quello che hai visto, di questi baci/effusioni prima di salire sul taxi, e quindi vediamo se servirà, e tutto quanto». La vera paura della giornalista però è che la sua vicenda diventi di dominio pubblico: «Mi raccomando tesò, massima riservatezza, perché questa cosa la sappiamo io, te, Nello, Corrado (Formigli, ndr) e il pubblico ministero, l’avvocato, perché la cosa importante che non esca, che venga archiviata». In alcuni messaggi di testo dice anche «Eh si la mia paura è che i vari Libero ci cavalchino. Speriamo non esce nulla la speranza è quella». Poi si lascia andare ad uno sfogo pesante, che, se preso alla lettera, contiene anche una contropartita per il testimone, evidenziando tra le cose importanti che «quando sarà archiviato venga denunciata per calunnia e ci andiamo a fare tutti una vacanza con i soldi della calunnia... mortacci sua…».
Il videomaker, si mostra molto disponibile e, anche se l’ha conosciuta solo alla festa, esprime giudizi molto duri su Gaia: «No Sara, ma io a disposizione totale e completa, cioè, ma figurati, ma poi, voglio dì, mi sembra un atto di spregiudicatezza… di mitomania proprio… e comunque certo tu fammi chiamare e io ci vado assolutamente, sti giorni no, perché fino a sabato sto fuori, però se me lo dicono un paio di giorni prima, prenderanno un appuntamento, comunque vacanze a parte, ste persone poi dopo, gli va fatta pagare, in senso legale, cioè loro devono capire che esiste un limite alla loro follia». L’indagata concorda: «Assolutamente si… Per fortuna diciamo, poi l’ho dovuto dire a Corrado (Formigli, ndr), perché sai non sia mai che.. questa cosa uscisse, lui comunque la doveva sapé, ed è rimasto veramente sconvolto, scioccato, perché poi a quella festa stava pure lui, e quindi… sai rischia pure in qualche modo di metterlo in mezzo, no? ... questo cazzo di Ghb ...». Poi afferma che, secondo lei, Gaia pagherà la sua denuncia anche a livello lavorativo: «Pensa stava addirittura venendo a lavorare a Piazza Pulita e quindi, il livello di terra bruciata che si farà attorno con questa storia è inimmaginabile, inimmaginabile, e comunque, esatto, cioè anche a livello legale, voglio che rimanga una denuncia per calunnia, perché è troppo grossa, troppo grossa, sta cosa che ha fatto». In un altro passaggio della chat il testimone ipotizza perfino l’entità della condanna che potrebbe subire Gaia e la somma che la sua amica potrebbe ottenere: « Si becca 7 anni. Ti fai dare 100k (100.000 euro, ndr) di risarcimento» Per dare forza alla sua posizione, la Giudice si spinge perfino a un’affermazione tutta da dimostrare, ovvero quella di essere a conoscenza del fatto che la pm con crede che Gaia sia sta drogata: «La pm non crede manco alla versione del Ghb. Ha disposto la prova del Dna sulla piscia (sic!, ndr), perché crede non sia manco la sua».
Dopo il primo test che aveva dato esito positivo svolto in un laboratorio privato che aveva conservato il campione, la Procura aveva in effetti disposto ulteriori accertamenti (che hanno dato esito negativo sulla presenza di Ghb e che sono contestati dalla difesa) tra cui quello, di prassi, del Dna.
In un successivo passaggio della chat la Giudice, che al suo interlocutore dice perfino di temere che le possono togliere la figlia, torna sull’argomento del Ghb, ipotizzando che Gaia abbia preso la sostanza a casa: « E poi dice che aveva ghb nelle urine. Con referto. Ma a quella festa non girava nulla. Dove se l’è preso A casa sua». Il videomaker chiosa: «È un attacco ai giornalisti non alle persone». E l’indagata conferma: «Anche, si».
Nella sua intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, Sara Giudice, l’inviata di La7 (in procinto di approdare a Rai 2) indagata insieme al compagno Nello Trocchia (cronista di Domani) per violenza sessuale di gruppo ai danni di una terza collega Gaia (nome di fantasia), era stata decisa. Per lei il bacio scambiato con la presunta vittima «era consenziente e lei lo sa». Nelle stesse ore, i legali della coppia, Grazia Volo e Virginia Ripa di Meana, annunciavano che nei confronti della denunciante si «profila il reato di calunnia».
Secondo l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal legale di Gaia, Alessandro Gentiloni Silveri, la Giudice e Trocchia durante le indagini avrebbero tentato di far ricadere sulla sua assistita l’ombra di un’altra vicenda di presunte molestie avvenuta nell’ambiente televisivo: «Menzione specifica, poi, merita la manovra di introdurre un tema del tutto estraneo alla vicenda per far apparire la persona offesa in una luce dubbia rispetto al comportamento sessuale: riferisce Sara Giudice nel suo interrogatorio che la mia assistita le avrebbe confidato di aver subito la richiesta di un rapporto sessuale da parte del suo capo, e di aver rifiutato». Una scabrosa vicenda che si sarebbe consumata negli studi della Rai. Poi prosegue: «La Giudice, al corrente della vicenda delle accuse, risultate infondate, relative a comportamenti sconvenienti asseritamente posti in essere all’interno della redazione […] cerca evidentemente di coinvolgere la mia assistita in tale vicenda». Il difensore conclude: «Tale manovra è al contempo giuridicamente futile-sia perché la maldicenza riferita è falsa, sia perché, quand’anche Gaia avesse avuto problemi sul luogo di lavoro, tale circostanza sarebbe muta ai fatti della notte del 29-30 gennaio 2023 e moralmente volgare, sostanziandosi in uno scomposto argumentum (denigratorio) ad personam, tristemente tipico delle “difese” dalle accuse di violenza sessuale». Secondo la ricostruzione del legale quindi, la Giudice avrebbe accusato la sua presunta vittima di essere una sorta di denunciatrice seriale, anche se in realtà questo secondo caso non è mai finito all’attenzione della magistratura: un audit interno aveva fatto emergere l’assoluta estraneità di Gaia. Infatti, durante le indagini difensive svolte dal legale di Gaia, una dirigente della tv di Stato ha dichiarato di essere «certa che la stessa (la presunta vittima, ndr) non è stata né convocata per rendere dichiarazioni né citata nelle carte della procedura».
Questo, però, non è l’unico punto della strategia di difesa coppia che sarebbe smentito dai fatti. Secondo la Giudice, la ricostruzione fatta da Gaia rispetto all’invito a salire a casa loro sarebbe un’invenzione. La pm Barbara Trotta, nella sua richiesta di archiviazione, riassume così la versione della videoreporter: «Mentre lei e Gaia continuavano a baciarsi fuori dal taxi e Trocchia pagava la corsa lei aveva avuto la sensazione che Gaia volesse salire con loro a casa, ma ad un certo punto l’aveva invitata a “finirla qua” e tornare a casa sua in quanto aveva riflettuto sul fatto che il giorno dopo doveva prendere un aereo e poi c’era la baby sitter a casa che guardava la loro figlia». Insomma, secondo la Giudice, le avances pressanti sarebbero state di Gaia, e lei le avrebbe respinte. Quel bacio fuori dalla macchina, però, non emerge dalla ricostruzione del tassista sentito a verbale e che, in un’intercettazione agli atti dell’indagine ha detto a un amico: «Se la volevano porta’ a casa». E soprattutto, la versione della Giudice pare smentita da un suo messaggio inviato a Gaia. Quest’ultima, la sera della festa, mentre va verso casa degli indagati invia un messaggio alla Giudice: «Accanto a me cammina uno che parla come Nello...uguale…». La risposta della Giudice lascia intendere che la bambina non fosse a casa: «Mi sa che è Nello eh, mi sa che è Nello, perché sta arrivando lui, che abbiamo appena lasciato Sofia (nome di fantasia, ndr), mi sa che è lui, scendo allora». Differenze di versione inconciliabili, rese ancora più difficili da dipanare dalla scelta degli inquirenti di non procedere al sequestro dei cellulari degli indagati, come invece avviene spesso in casi del genere. Così come rimane nel mistero la presenza di Ghb, la cosiddetta «droga dello stupro», nelle urine di Gaia. Un primo test, fatto effettuare dalla giornalista in un laboratorio privato, aveva dato esito positivo, ma il successivo esame svolto dal consulente della Procura aveva dato esito negativo. Sul lavoro del consulente tecnico incaricato dalla pm pesa, però, c’è una critica contenuta in un parere richiesto dalla difesa da Gaia a una docente universitaria di tossicologia forense. L’esperto evidenzia che da parte del ctu «non è stata effettuata la ricerca di altre sostanze tossiche esogene, come espressamente richiesto nell’incarico». La pm, nonostante il mandato in parte disatteso dal consulente, nella richiesta di archiviazione si è limitata a evidenziare che il controesame aveva dato esito negativo al Ghb.
La storia del presunto stupro da parte di Nello Trocchia e Sara Giudice ai danni di una collega giornalista, ancora tutto da chiarire dal punto di vista giudiziario, ci insegna che la sinistra sta facendo incredibili passi avanti nella lotta alla cultura politically correct. Il primo: dopo decenni di commiserazione d’ufficio a favore della parte lesa, i compagni hanno scoperto che la versione delle vittime si può mettere in dubbio. In fondo, non è complicato: basta che i presunti colpevoli facciano partedella casta giornalistica e/o siano nel giro dell’amichettismo possibilmente di sinistra, possibilmente femminile. Non a caso, è a Sara Giudice che viene data la parola all’indomani dell’articolo della Verità: doppie pagine in cui la giornalista ex Piazzapulita, in procinto di sbarcare sulla tv di Stato, si dichiara «addolorata» per le «bugie» raccontate dalla collega. Selvaggia Lucarelli, che è sempre un passo avanti, va oltre la realtà fattuale e suggerisce che forse l’articolo della Verità è «legato al lavoro a Piazzapulita» di Sara Giudice. L’eventualità che la presunta vittima possa essersi sentita soggiogata da due colleghi forse più affermati di lei non viene neanche presa in considerazione, come invece di solito accade.
Immaginiamo che al posto della nota coppia Giudice-Trocchia, disinvolta e incautamente felice come emerge dallo sfogo affidato alla delicata penna di Lucarelli, ci fosse stato un Morgan o un Leonardo Apache La Russa: mettere il microfono a disposizione dell’accusa, come è accaduto ieri su tutti i quotidiani, non sarebbe stato definito uno sfacciato caso di victim blaming? Non sarebbero insorti tutti i collettivi femministi, i Me too e i #senonoraquando de noantri lamentando, in barba a ogni residuo garantista, di aver dato ai presunti stupratori troppo spazio?
Secondo passo avanti: gli amichettisti di cui sopra, per anni strenui promotori della lotta al reato (sconosciuto ai più) di «vittimizzazione secondaria» (così definita quando una persona che dichiara di aver subito una violenza «primaria» subisce ulteriori violenza, ad esempio verbale, da parte di soggetti diversi, ndr) hanno deciso, a quanto pare, di metterla definitivamente al bando. Sembrano passati anni luce da quando il responsabile informazione del Pd Sandro Ruotolo la evocò, neanche un anno fa, contro Filippo Facci, prendendo le difese della ragazza che accusava di stupro il figlio del presidente del Senato. Ruotolo e il Pd attaccarono pesantemente l’editorialista di Libero per aver scritto, con stile oltremodo dissacrante, che «la ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa» e riuscirono a fargli perdere il contratto in Rai. L’attenzione nei confronti della vittima da parte del responsabile informazione Pd e di tutta la sinistra, che come un sol uomo accusò Facci di «sessismo, razzismo e apologia del pensiero fascista», è evaporata come neve al sole. La presunta vittima pare non interessare a nessuno, neanche ai pm che hanno posticipato a dicembre il suo interrogatorio. E com’è stata delicata Repubblica - che ai tempi di Leonardo Apache titolava sul «figlio del presidente del Senato indagato per stupro» - a dedicare un articoletto alla «coppia di giornalisti», senza indicare i loro nomi nel titolo. Forse qualcuno ha intuito che chi di politically correct ferisce, di politically correct perisce? Pare vero.






