Il motivo del licenziamento, deciso da Matteo Renzi e approvato da quelli che ora l'hanno eletto leader, fu la manifesta incapacità dell'allora premier di risolvere i problemi del Paese. Perché un tizio che nel 2014 fu giudicato inadatto ad affrontare i guai italiani debba ora essere in grado di mettere mano a quelli del Pd è un mistero che solo un evidente stato confusionale può spiegare. Se poi si considera che, in piena pandemia, il neoeletto ha proposto lo ius soli, ovvero la cittadinanza agli immigrati, ci sarebbe da chiamare l'ambulanza. Tuttavia, non è del nuovo capo che vi vogliamo parlare, ma di quello vecchio, perché da lui dipendono molte delle difficoltà che ora ci tocca affrontare.
Chiariamo subito una cosa: Nicola Zingaretti era e resta un modesto funzionario di partito. Tuttavia, per carenza di dirigenti in grado di esercitare la leadership, anche un grigio burocrate come il governatore del Lazio nel marzo del 2019 fu scelto per guidare ciò che restava del maggior partito della sinistra. Prima di lui c'era stato Maurizio Martina, cioè il nulla, e invece ci sarebbe dovuto essere Marco Minniti, ex ministro dell'Interno con Paolo Gentiloni. Ma siccome l'uomo forte del partito (prima di prendersi il Viminale si era occupato di servizi segreti e si è detto tutto) non era gradito a Renzi, che dopo essersi dimesso per eccesso di sconfitte voleva continuare a mettere becco su chi dovesse guidare il Nazareno, alla fine la scelta cadde su Zingaretti: il meno ingombrante.
Di lui si poteva dire tutto, tranne che fosse un leader, e forse è proprio per questo che fu scelto. Il governatore del Lazio avrebbe dovuto guidare un partito fuori dai giochi, perché all'opposizione, e dunque senza possibilità di toccare palla. Invece, meno di sei mesi dopo la sua nomina, Zingaretti si è trovato tra le mani una decisione che avrebbe inciso come nessun'altra sulla vita del Paese.
In piena estate, dopo aver vinto le elezioni europee e avere sfiorato il 34 per cento, Matteo Salvini decise di mandare al diavolo i 5 stelle e Giuseppe Conte, aprendo la crisi. La scelta non fu dovuta a un colpo di sole, e neppure a un abuso di mojito, come qualcuno ha scritto. Se il leader della Lega si decise a quel passo fu perché si era convinto che con i grillini non sarebbe riuscito ad andare avanti. C'è chi si è chiesto però perché fece quella mossa in pieno agosto. La spiegazione è semplice: confidando nelle vacanze, il capo leghista sperava con un blitz di sorprendere alleati e avversari. Un ingenuo, con il senno di poi? Può darsi, soprattutto perché si fidò di Zingaretti, il quale gli garantì che avrebbe fatto da sponda alla sua richiesta di elezioni anticipate. Il segretario del Pd non vedeva l'ora di liberarsi di tutti i renziani con cui l'ex segretario aveva riempito il Parlamento. Fare il capo di un partito cercando di comandare onorevoli che rispondono a un altro in effetti non dev'essere facile. Ma per Zingaretti non era facile neppure mantenere una linea. Infatti, quando Salvini chiese le elezioni, il segretario del Pd provò a seguirlo, ma la decisione di chiudere anticipatamente la legislatura fu travolta nell'arco di un giorno. Il più fermo oppositore delle elezioni stava un po' più in alto del segretario del Pd, cioè sul Colle. E poi ci si mise il capo del genio guastatori a sfondare la linea di difesa, ovvero Renzi. Risultato, a MaZinga toccò arretrare, passando dal no alle elezioni, al no a Conte. Anche su questo tenne la posizione per 24 ore, poi digerì pure il giurista di Volturara Appula, meglio noto come un uomo per tutte le stagioni.
Così nacque il governo giallorosso, con ciò che ne consegue. I decreti Salvini cancellati, l'accordo per portare Ursula von der Leyen e Paolo Gentiloni alla Ue, i ministri Azzolina, Speranza e Caltalfo all'Istruzione, alla Salute e al Lavoro. Insomma, gran parte del disastro si deve a Er saponetta, il segretario indeciso a tutto che qualcuno ha paragonato a un personaggio dei cartoni animati: Leone, il cane fifone.
Ulteriore prova Er Zeppola (a chiamarlo così fu Beppe Grillo) l'ha data con la crisi di governo che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi. Partito con un perentorio o Conte o morte, cioè elezioni, Zingaretti si è accomodato a sostenere l'ex governatore della Bce, del quale era pronto a fare il ministro, ma pure lì si è fatto fregare. Non da Renzi, che è molto più bravo di lui, ma perfino da Andrea Orlando, che pur essendo il suo vice è riuscito a soffiargli la poltrona da ministro, facendosi nominare al posto della Catalfo.
Sì, il povero Zingaretti ha preso botte da tutti: appoggiandosi a Goffredo Bettini, un politico di terza fila del Pd romano che qualcuno ha scambiato per statista, nell'ordine è stato preso in giro dal capo di Italia viva, ma anche da quelli delle correnti del suo partito, come Franceschini e Orlando, che si sono accaparrati gli incarichi giusti, lasciando a lui le polemiche per il mancato rispetto delle quote rosa. In pratica, un disastro. Ma non è finita. Per cercare di correre ai ripari e mettere pace in un Pd balcanizzato, Zingaretti ha pensato di dimettersi per farsi rieleggere con acclamazione. Il piano prevedeva di schivare il congresso e le inevitabili guerre intestine, puntando sull'assemblea nazionale, dove i suoi controllavano il 70 per cento degli aventi diritto al voto. Peccato che mentre lui studiava il sistema per rendersi popolare in un partito che il popolo lo schifa (vedi la polemica sul tweet a favore di Barbara D'Urso), Franceschini e Orlando senza dirglielo avevano già cambiato cavallo, preferendo Enrico Letta a un ronzino azzoppato. La storia del povero Saponetta si chiude qui e per lui non è previsto nessun risarcimento. A dire il vero, non è previsto neppure per noi, anche se ci ha regalato il peggior governo della storia, quello che ha dovuto fare i conti con la peggiore crisi sanitaria ed economica dell'Italia ed è riuscito a far peggio di ciò che ci si aspettava.