È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Dottor Crepaldi che cosa pensa della riforma della giustizia apparecchiata dal governo?
«La separazione delle carriere non mi scandalizza: se le due funzioni sono diverse può essere necessario alzare barriere contro interferenze reciproche, anche solo possibili, nei giudizi di professionalità e nelle nomine. Aumentare il livello di trasparenza interna può anche essere un ulteriore passo per recuperare la credibilità nei confronti dei cittadini. Del resto, il distacco del pubblico ministero dal giudice mi sembra ormai definitivo e le due professionalità sono ormai radicalmente diverse. La “cultura della giurisdizione” del pubblico ministero mi sembra lasciata alla buona volontà del singolo e non richiesta come minimo comune denominatore tra le due figure».
Che cosa intende per cultura della giurisdizione?
«Significa che il pm è in grado di valutare in modo tendenzialmente imparziale, pur essendo parte, la fondatezza della sua tesi e si pone il problema della sostenibilità in un processo delle ipotesi investigative».
Ma spesso non è così…
«Se un pm vede rigettate un numero assolutamente anomalo delle sue richieste al giudice significa che non pondera bene le sue istanze. Ma quando la riforma Cartabia ci ha proposto di verificare la professionalità dei magistrati valutando anche questi indici di anomalia ci siamo opposti con troppo fervore. Di che cosa si aveva paura?».
Il clima referendario è, come si dice, infuocato. Avvocati, politici e magistrati hanno già alzato le barricate in vista del voto.
«Spiace constatare come la discussione sia così accesa sulla separazione, quando, invece, i problemi principali della riforma sono altri».
E quali sono?
«A me sembra che un pm indipendente, ma slegato dalla giurisdizione, cioè dal mondo dei giudici, sia destinato a finire fuori controllo. Quanto ci metteranno accese dinamiche processuali a diventare problemi istituzionali tra i due Consigli, con il presidente della Repubblica chiamato a mediare? Con uno dei due Consigli che avrà mano libera a difendere le proprie ragioni e l’altro (quello dei giudici) costretto a prudenza per non esporre anche i colleghi che dovranno decidere sulle impugnazioni. Mi sembra chiaro che bisognerà presto rimettere mano agli equilibri».
Sembra di capire che a suo giudizio questa riforma non sia punitiva nei confronti dei pm…
«È esattamente il contrario. Il professor Ennio Amodio ha addirittura parlato di “ascensore istituzionale”. L’intento dichiarato è quello di dare più spazio alla giurisdizione, relegata a un ruolo di secondo piano dal protagonismo processuale e associativo dei pubblici ministeri. Ma tale obiettivo non mi pare realizzabile seguendo la strada tracciata dalla riforma. Non è coerente con la scelta di dare a una parte processuale, cioè al pm (le altre sono l’avvocato e l’imputato, ndr) pari dignità costituzionale rispetto al giudice e un proprio organo costituzionale».
Come si poteva evitare di accrescere il potere dei pm?
«Sarebbe bastato che la riforma mantenesse un unico Consiglio superiore diviso in due sezioni (una per i pm e una per i giudici) e non ci sarebbe stata ragione di opporsi. Invece si è deciso di andare oltre a quanto era strettamente necessario».
Sembra preoccupato…
«Sono gli equilibri che si verranno a creare dopo la riforma a preoccuparmi e a farmi propendere per una netta contrarietà alla riforma complessiva».
Che cosa pensa dell’Alta corte disciplinare per le toghe, un giudice terzo esterno ai Csm? Il ministro Carlo Nordio ha detto che sino a oggi Palazzo Bachelet con la sua sezione disciplinare ha garantito una specie di giustizia domestica per le toghe…
«La magistratura è, nel suo complesso, un corpo sano e laborioso, che non ha bisogno di ampliare l’uso del disciplinare».
Su questo mi sento di dissentire… comunque, prosegua pure con il suo ragionamento…
«Piuttosto bisognerebbe abbandonare l’idea che “uno vale uno” e cominciare a distinguere le attitudini dei singoli nelle valutazioni di professionalità, così da essere pronti quando si tratta di scegliere tra due colleghi per un incarico. Nella “notte in cui tutte le vacche sono nere” è facile far prevalere le logiche correntizie».
Numerosi magistrati sono ostili anche all’idea di selezionare con i bussolotti i componenti dei vari Csm…
«Sul sorteggio bisogna partire facendo la massima autocritica. La proposta è figlia dell’incapacità della magistratura di liberarsi dal correntismo. Governo autonomo significa anche assumersi la responsabilità di cambiare quello che intacca l’autonomia del magistrato dall’interno, cioè le degenerazioni del sistema correntizio. Ma su questo punto si è scelta la conservazione».
Quindi, semplificando, considera il sorteggio una sorta di giusta punizione per chi non ha saputo liberarsi dal sistema clientelare che regna dentro al vostro mondo?
«No, la punizione è ingiusta perché finisce per riverberarsi sull’autorevolezza di un organo costituzionale che non è proprietà esclusiva della magistratura, ma appartiene a tutti i cittadini».
A onor del vero a minare l’autorevolezza della categoria ci hanno pensato, per anni, molti suoi colleghi. Le chat di Luca Palamara sono lì a testimoniarlo. E non stiamo parlando di episodi secondari. Le sue parole sono balsamo per chi, soprattutto tra le toghe progressiste, sostiene che questa parte della riforma, ossia un giudice terzo, minerebbe l’autonomia della magistratura…
«La strumentalizzazione di oggi da parte della politica delle storture del correntismo per indebolire il Csm è figlia degli scioperi indetti contro la riforma Cartabia: se si fosse accettata una riduzione della discrezionalità nelle nomine e si fosse presa sul serio la mano tesa dal legislatore per rendere più serie le valutazioni quadriennali, oggi avremmo più credibilità nel gridare contro la perdita di autorevolezza del Consiglio che certamente deriverà dal sorteggio».
Alla fine, lei voterà Sì o No al referendum?
«No, per il motivo che le ho detto. Ma non ho aderito al comitato del No perché vedo troppi slogan e poca lungimiranza. Tutti i protagonisti della giustizia, magistrati e avvocati, che si spendono nella campagna referendaria dovrebbero avere il senso di responsabilità che deriva dalle rispettive funzioni e informare anziché rivolgersi accuse reciproche. Cercherò di contribuire a modo mio a far capire ai cittadini i possibili rischi».
Ci sarà una giustizia da amministrare anche dopo il voto…
«E specialmente la mia categoria deve necessariamente pensare a cosa accadrà all’indomani del referendum: se vincerà il No sarà importante gestire con responsabilità la rinnovata capacità di incidere sull’opinione pubblica, senza montarsi la testa. Se, invece, vincerà il Sì bisognerà evitare aventini e sabotaggi di sorta e collaborare alla ricerca dei nuovi equilibri nell’interesse della giustizia».
Secondo lei i suoi colleghi, soprattutto i pm, ascolteranno questo suo invito?
«A parte qualche fuga in avanti, la magistratura si è sempre dimostrata responsabile nei momenti di difficoltà e sono sicuro che lo sarà anche questa volta».
Alcune toghe parlano di fascismo in arrivo…
«E io mi dissocio. Non si può sostenere né che oggi l’Italia sia priva di un efficace controllo giurisdizionale, né sventolare fantasmi di derive autoritarie di cui, allo stato, non si vede l’ombra».
In fondo, anche Giovanni Falcone invocava la separazione delle carriere…
«Lasciamo tutti stare Falcone. Tirarlo per la giacchetta continuamente per fare campagna elettorale in entrambi i sensi mi sembra inutile, oltre che poco rispettoso».






Le battute da caserma dell’ex capo dei giudici
Lo screenshot circola ormai da un paio di giorni nelle chat del magistrati. Ed era facile immaginare che, per la portata del commento, prima o poi da quelle chat dovesse saltarne fuori. Sotto un articolo del quotidiano online Today, intitolato «Ronaldo e Giorgina cercano personale, stipendio da 6.000 euro, quali sono le mansioni» e pubblicato il 2 gennaio sulla pagina Facebook della testata (quasi 3 milioni di follower, quindi non un circuito ristretto), scatenando oltre 500 opinioni di utenti, è comparso un commento dai toni pesantemente sessisti: «Ma il personale deve anche mettere incinta Giorgina? E se sì, quante altre volte ancora?».
Se fosse stato il post di un hater o anche di un qualsiasi cittadino con molta probabilità sarebbe passato inosservato. Ma il nome di Luca Poniz, ex numero uno dell’Anm ed esponente di Magistratura democratica, accanto a quelle parole, lo ha trasformato in uno screenshot virale. Con tanto di like di quanti ne condividevano probabilmente il pensiero.
Contattato telefonicamente dalla Verità, Poniz ha liquidato la questione spiegando di non essere stato lui e di non essere a conoscenza di quel commento: «Impossibile», afferma subito. E dopo aver ascoltato la lettura del titolo del giornale online e anche del commento a lui attribuito, ha inanellato una lunga serie di «no». Per concludere con un «non so di cosa sta parlando». Impossibile cercare di approfondire. Neppure dopo la scomparsa del commento dalla pagina social di Today, che ovviamente ha alimentato il giallo. La foto del profilo usato per commentare l’articolo coincide con quella dell’user di Poniz, che si presenta subito come l’utenza di un giurista: due foto della bilancia a due piatti, l’immagine di una toga (con like di Mimmo Truppa, toga bolognese di Md, di Eugenio Albamonte, segretario di Area ed ex presidente dell’Anm, di Jole Milanesi, ex consigliere della Corte di Cassazione in pensione e del professore di diritto penale Marco Pellissero), magistrati e criminologi tra gli amici (tra i quali il pm genovese della Direzione distrettuale antimafia Anna Canepa, ex segretario di Md ed ex vicepresidente dell’Anm). E se non è stato il magistrato a commentare sotto quell’articolo di Today (come lui stesso ha confermato) ci sono solo due alternative: il suo profilo è stato hackerato, oppure qualcuno si è divertito a fare un collage e a creare ad arte uno screenshot per far divertire le toghe alle spalle di Poniz. Che alla ulteriore domanda sugli hacker, inviata sulla sua utenza Whatsapp, però, non ha risposto. Nonostante la doppia spunta blu abbia certificato la ricezione e anche la lettura. Di certo, se di taroccamento si tratta, l’autore ha cercato di usare (esasperandolo), oltre alla foto del profilo, pure lo slang social del collega, che all’indomani della nomina di Carlo Nordio a via Arenula, in modo poco elegante aveva commentato un post di Davide Steccanella, avvocato milanese molto conosciuto e stimato. Steccanella, noto anche per le sue posizioni politiche di estrema sinistra e per essere il difensore dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, un po’ a sorpresa, aveva definito il neo ministro della Giustizia Nordio, «sulla carta, il miglior ministro della Giustizia degli ultimi trent’anni», dal momento che, «pur essendo stato per anni pm, non crede (caso più unico che raro) che la galera sia l’unico rimedio ai mali del mondo».
Poniz, forse dimentico di aver fatto il presidente dell’Anm in quota Md ai tempi della crisi dell’hotel Champagne e di essere su una bacheca di Facebook molto seguita (soprattutto nell’ambiente giudiziario milanese), se ne è uscito con un «ma chi è il tuo pusher?». E quando Steccanella, per evitare di innescare una lotta sulla propria bacheca, ha tentato di ammorbidire i toni con un «Dai su», Poniz ha rincarato la dose: «Dai su lo dico io». Poi ha aggiunto sprezzante: «Dovresti informarti prima di fare certe uscite. E vedo che raramente lo fai».
Steccanella a quel punto deve aver contato fino a dieci prima di rispondere così: «Allora, non è che se qualcuno dissente dalla tua (legittima) opinione ciò significa che è disinformato. Almeno io non ragiono così». Ma Poniz è andato avanti deciso. E anche nella successiva risposta ha usato nei confronti dell’avvocato parole piuttosto pesanti: «Nel caso di specie lo sei eccome. Non sei informato sul profilo del ministro, che certo non si desume da quello che scrive nei fondi per il Gazzettino. Poi ognuno giudica da quello e come ritiene. Resto però sbalordito». Nel caso del commento sulle mansioni per i dipendenti ricercati da Giorgina e Ronaldo, invece, devono essere rimasti sbalorditi i colleghi che si sono ritrovati nelle chat lo screenshot dal commento sessista con la foto profilo dell’ex numero uno dell’Anm.