2024-10-21
«In 46 anni d’impegno un’auto bruciata e molte intimidazioni»
Il magistrato Pino Morandini: «Ho ricevuto lettere minatorie e corso dei rischi. Non ho avuto paura, ma la mia famiglia ha pagato un prezzo».Una onorata carriera politica a difesa dei valori - che, in Trentino, l’ha portato ad essere vicepresidente della giunta provinciale e assessore prima, e consigliere di opposizione poi -, ma, soprattutto, 46 anni di militanza nel Movimento per la Vita italiano, di cui a lungo è stato vicepresidente, fanno di Pino Morandini un simbolo e un testimone delle battaglie pro life italiane. Classe 1949, magistrato, l’esponente trentino rappresenta quindi anche una memoria storica di quanto avvenuto negli ultimi decenni anche a proposito delle violenze dei paladini dell’aborto, ed è per questo che La Verità l’ha avvicinato.Morandini, lei è sul fronte pro life da una vita. Quante contestazioni di femministe e collettivi di sinistra ricorda?«Milito nel Movimento per la Vita da 46 anni e ne vado fiero, perché ho esperimentato che servire la vita nascente alimenta una cultura per la vita, ti aiuta a non conformarti alla mentalità dominante – per di più rinforzata dalla legge sul punto – e ti dona uno sguardo capace di vedere con occhi “nuovi” ogni uomo e l’umano che c’è in lui. Le contestazioni subite, a volte anche violente, talvolta pure “simpatiche”, sono state molte, davvero tante».Le prime? «Cominciarono in maniera pesante già all’indomani dell’approvazione della legge 194/78, quando a Trento ci fu impedito fisicamente di accedere alla sala che avrebbe ospitato il nostro primo appuntamento pubblico sul tema. La trovammo interamente occupata da movimenti femministi, che si erano pure premurati di sbarrare fisicamente anche la porta d’ingresso, mentre le forze dell’ordine assistevano passivamente alla scena».Lanci di uova? «Mi accadde ad un Convegno annuale dei Centri di Aiuto alla Vita a Valdocco, Torino. Mi pare fosse il 1999. Fummo bersagliati con lanci di uova da attiviste femministe, appostatesi sul marciapiede opposto all’entrata per la sala del Convegno. Un uovo mi beccò in pieno la giacca. Mia moglie ebbe un bel da fare per smacchiare».È vero che una volta le fu perfino bruciata l’automobile?«Correva l’anno 1981, era il mese di maggio, verso la conclusione della campagna referendaria, che chiamava il popolo italiano a scegliere tra la proposta cosiddetta massimale, quella cosiddetta minimale e quella radicale sulla legge 194/78. Allora si era in pochi, si girava da un capo all’altro dell’Italia per partecipare a dibattiti e conferenze. Fu un periodo comunque entusiasmante! Rincasai molto tardi da un incontro fuori regione e parcheggiai la macchina sotto casa. Dopo circa un’ora - erano all’incirca le 3 del mattino -, io e mia moglie fummo svegliati dal suono insistente del campanello di casa. Era una pattuglia della polizia, di passaggio in città per una perlustrazione notturna, che ci avvertiva che la macchina emanava una forte quantità di fumo. Si adoperarono immediatamente per aiutarci a domare quell’inizio d’incendio».Un gran spavento. «Ma fu un intervento due volte provvidenziale: la prima, per il fatto che mi salvarono l’auto - la mia prima auto, una bella macchina sportiva, comperata poco a poco con i risparmi; la seconda, fondamentale, perché il dono di quella macchina fu paradossalmente determinante per salvare un bambino dall’aborto: la storia travagliata e a lieto fine di una coppia sudamericana».Se non sbaglio, lei era pure al Salone di Torino nel 2011. «Trovammo tutte le sedie interamente occupate da giovani donne, che se ne stavano silenziose ad attendere l’inizio del nostro incontro. Non appena questo prese avvio, si alzarono tutte immediatamente in piedi, vennero al tavolo dei relatori e, aprendo le borsette, vi riversarono una quantità enorme di prezzemolo fresco - si sa, notoriamente usato un tempo dalle mammane per praticare l’aborto -, al punto che il lungo tavolo, da bianco che era divenne totalmente verde! Riuscimmo comunque, sia pure con forte ritardo, ad effettuare il nostro incontro».Ha mai temuto per la sua incolumità?«Non so se per incoscienza o per altro, ma le affermo in tutta franchezza che non ho mai temuto per la mia incolumità. Invece, la mia sposa e i miei figli hanno pagato un caro prezzo in proposito. E non solo per questo. Eppure, molti sono stati gli eventi “a rischio” in cui, mio malgrado, sono stato involontario protagonista. E assai numerose le lettere anonime ricevute, alcune piuttosto minatorie; anche per “frenare” le mie proposte politiche, legislative e amministrative, che però, grazie a Dio, sono comunque andate in porto in buon numero».Come mai i media faticano a riconoscere il problema della violenza degli abortisti sui pro life?«Penso ci siano svariati motivi, ma primariamente la non conoscenza della realtà e della concretezza del nostro lavoro, che è accoglienza senza giudizio alcuno, ascolto, dialogo, condivisione delle difficoltà, tenerezza, discrezione, ecc. - i Centri di Aiuto alla Vita - e annuncio, che si fa cultura, dell’inviolabilità della vita umana sin dal concepimento, della bellezza della vita innocente, e dell’urgenza di sostenere quella e sua madre - i Movimenti per la Vita».Ne ha viste tutti i colori, eppure tutt’ora partecipa a convegni e sempre con uno spirito aperto e fiducioso. Come fa? «Le confesso che la cosa stupisce anche me, molto. E mi ha accompagnato in tutte le vicende vissute per promuovere i valori antropologici, pure in politica. Avvertivo - e avverto - l’immensità epocale e planetaria della causa della vita umana, di fronte alla quale spesso mi sento inadeguato, e al contempo l’ardore per quella causa, una sorta di missione che, man mano che cercavo di vivere, mi cambiava dentro e mi spalancava il cuore».
Getty Images
Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.