2025-01-30
Il pm furioso col governo perché gli ha tolto il «suo» volo di Stato
Il procuratore Lo Voi ha fatto ricorso contro la decisione di Mantovano di non concedergli più il Falcon per la spola Palermo-Roma. L’«atto dovuto» nei confronti di premier, ministri e sottosegretario? È una bufala smentita dalla legge e da autorevoli magistrati. Prima la sua Procura ha messo una nota «riservata» dei nostri 007 a disposizione dei cronisti (sotto indagine) di un quotidiano che da anni sguazza nelle beghe interne ai servizi segreti. Una velina molto scomoda per la Presidenza del Consiglio, dal momento che svelava presunte spiate di tre barbe finte ai danni del capo di gabinetto di Giorgia Meloni. Poi ha iscritto sul registro degli indagati per favoreggiamento personale e peculato il premier, due ministri, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, l’autorità delegata ai servizi segreti, per la scarcerazione del generale libico Osama Almasri Habish Najeem, accusato di crimini contro l’umanità, e per suo trasferimento a Tripoli su un Falcon, sempre dei servizi segreti. Una trasvolata che ha portato alla contestazione del peculato. Da queste due notizie deduciamo, magari sbagliando, che Francesco Lo Voi non abbia in simpatia le agenzie d’intelligence e che non sopporti l’uso improprio dei voli di Stato della Cai, la compagnia gestita dai servizi segreti. Ma c’è chi collega questa apparente ostilità al contenzioso in corso da mesi tra lo stesso governo, nella persona di Mantovano, magistrato in quiescenza, e Lo Voi, proprio in materia di voli di Stato.La notizia è apparsa ieri, seppure un po’ nascosta, sul Corriere della Sera, dove si leggeva: «Non senza malizia fonti di governo ricordano che il procuratore Francesco Lo Voi, cui si deve l’avviso di garanzia, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato perché Mantovano gli avrebbe tolto l’aereo dei servizi con cui, per motivi di sicurezza, volava da Roma a Palermo e ritorno». In effetti, ieri, siamo riusciti a visionare il carteggio intercorso tra Mantovano e il procuratore in tema di voli di Stato, il cui utilizzo era stato concesso negli anni ’90, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, ad alcuni procuratori siciliani e al capo della Direzione nazionale antimafia. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti e quasi tutte le toghe sono state lasciate a terra. A partire da Nino Di Matteo che, pure, ha ricevuto minacce di morte da Totò Riina. L’oggetto della prima missiva del febbraio 2023 è chiarissimo: «Richiesta di voli di Stato del procuratore della Repubblica di Roma dottor Francesco Lo Voi» e «diniego di autorizzazione allo stato degli atti». Il 16 febbraio, il magistrato prova a far valere le proprie ragioni con l’Ufficio voli di Stato: «Per quanto possa rilevare, rappresento che - così come In passato - l’uso del volo di Stato consente uno spostamento molto più rapido rispetto a quello dei voli di linea, evita la presenza dello scrivente in ambienti e situazioni di facile riconoscibilità personale (aerei e aeroporti) ed evita altresì l’Impiego di personale di scorta (con le conseguenti spese a carico dell’amministrazione di appartenenza) conseguenti all’utilizzo di mezzi diversi; superfluo segnalare che per lo spostamento da Roma a Palermo o viceversa non è utilmente praticabile l’utilizzazione del mezzo ferroviario o l’uso di autovettura, in considerazione dei lunghissimi tempi di percorrenza, non compatibili con le esigenze di servizio».Mantovano replica a stretto giro che «la maggiore rapidità dei voli di Stato non è un argomento in sé decisivo se non accompagnato dalla dimostrazione che un tempo di viaggio maggiore sarebbe incompatibile […] con indifferibili esigenze di servizio». Inoltre, evidenzia che «la presenza della scorta supererebbe le preoccupazioni circa la riconoscibilità». Per questo annuncia di aver incaricato il Servizio voli di fare «una comparazione economica tra il costo complessivo del volo di Stato senza scorta e quello del volo commerciale con scorta».L’8 marzo Mantovano oppone a Lo Voi un altro diniego e questa volta spiega di aver fatto i conti e che «il costo di un volo di Stato per la finanza pubblica di andata e ritorno nella tratta Roma-Palermo è di almeno 13.000 euro (a seconda del velivolo utilizzato), mentre il biglietto di andata e ritorno nella stessa tratta su un volo di linea varia dai 400 ai 700 euro per passeggero». Per questo Mantovano conclude: «Ciò rende il volo di Stato sempre e notevolmente più costoso della soluzione commerciale». E, quindi, esclusi casi specifici, che non possono essere valutati una volta per tutte, «delibera di non autorizzare i voli di Stato in oggetto».La risposta di Lo Voi è il ricorso straordinario presentato il 4 luglio 2023 dai suoi avvocati al Consiglio di Stato contro Mantovano e nei confronti del ministro Matteo Piantedosi, a suo giudizio l’unico competente a occuparsi della questione.Nel testo la toga contesta «la convenienza in termini di costo dell’utilizzo di voli di linea che comporterebbe un risparmio di spesa (per altro, non così rilevante)».Inoltre ribadisce che, a suo giudizio, sussiste l’«inopportunità» di farlo viaggiare come i comuni mortali sia «in termini di praticabilità di un trasporto […] di agenti di armati», sia per gli «evidenti rischi a cui potrebbero essere sottoposti gli altri passeggeri».Nonostante le aspre doglianze il pronunciamento del Consiglio di Stato non sarebbe ancora arrivato.Nel frattempo il procuratore, lunedì, ha iscritto sul registro degli indagati anche le sue controparti, Mantovano e Piantedosi (seppure non fossero citati, al contrario di Nordio, nell’ordinanza della Corte d’Appello di Roma che ha fatto scarcerare Almasri), sulla scorta della denuncia di un ex sottosegretario del governo Prodi, passato dal Msi, all’Italia dei valori al Pd, ovvero l’avvocato Luigi Li Gotti. Il quale ha chiesto alla Procura di Roma lo svolgimento di indagini «sulle decisioni adottate e favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e di condurlo in Libia». Questo accadeva giovedì 23 gennaio. Da allora sono passati appena tre giorni, week end compreso, e Lo Voi ha deciso l’iscrizione di gruppo per i reati suggeriti da Li Gotti.Il procuratore, in base al codice, aveva 15 giorni di tempo prima di trasmettere gli atti al collegio del Tribunale dei ministri, ma non ha aspettato che poche ore. È vero che non poteva effettuare indagini su reati ministeriali, ma valutazioni certamente sì, come avviene per tutte le denunce e gli esposti che vengono iscritti a modello 45, quelli senza ipotesi di reato, né indagati. Un limbo con un bivio che può portate o ai modelli successivi (44 e 21) oppure dritto nel cestino senza vaglio del giudice. Invece Lo Voi, in versione Speedy Gonzales, ha inviato una comunicazione di iscrizione nel registro delle notizie di reato ai quattro ministri, vergando di proprio pugno in calce un deferente «porgo distinti saluti», formula che qualcuno ha considerato irrituale. L’ineludibilità dell’iscrizione di Giorgia Meloni e di tre suoi ministri sul registro delle notizie di reato, definita come atto dovuto dalla stessa Associazione nazionale magistrati, è dunque una fòla.Infatti, grazie alla riforma Cartabia, l’articolo 335 del codice di procedura penale è stato corredato di un comma bis garantista: «Il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico». Un codicillo che ha cercato di limitare le iscrizioni a pioggia.Secondo un magistrato progressista come Rocco Gustavo Maruotti «tale espressione […] vale a escludere sia la sufficienza di meri sospetti […], sia la necessità che sia raggiunto il livello di gravità indiziaria». La toga ricorda anche che l’iscrizione va ben soppesata dal momento che «produce un pregiudizio quasi automatico per l’indagato, il quale viene immediatamente avvolto dall’alone della “presunzione di colpevolezza” e, in alcuni casi, subisce il primo e forse più pesante “processo” [...] che è quello mediatico». Un processo a cui la Meloni ha provato a sottrarsi giocando d’anticipo con il suo video social di martedì. Il docente di diritto processuale penale Alberto Macchia, in una lezione destinata alla Scuola superiore della magistratura, specifica: «Spetta al procuratore della Repubblica verificare se un fatto che, seppur qualificato, come può accadere, dalla polizia giudiziaria o da altro soggetto quale notizia di reato, sia da ritenersi tale e, dunque, se ne debba operare l’iscrizione nel registro […]. Non vi è, pertanto, alcun automatismo tra la ricezione di un atto denominato notizia di reato e iscrizione di esso nel registro delle notizie di reato». Ma quali erano questi presunti indizi a carico dei ministri? L’avvocato Li Gotti ha candidamente ammesso di aver agito sulla base del «resoconto giornalistico sui fatti».L’atto del legale non aggiunge nulla a quello che era già noto da fonti aperte. La denuncia, assai stringata, si limita a ipotizzare i due reati deducendoli dalla lettura della rassegna stampa. Ma mancano per esempio nomi, cognomi, data e luogo di nascita degli indagandi. Tutti da identificare. Insomma la classica carta da tenere a modello 45, necessitando dei più basilari approfondimenti.Evidentemente il procuratore di Roma, esercitando il proprio potere discrezionale di valutazione, ha ritenuto che per l’iscrizione bastassero quegli articoli di stampa allegati alla denuncia. Allora viene da chiedersi, visto che i due reati sono perseguibili d’ufficio e i fatti erano noti, perché Lo Voi non abbia proceduto prima e autonomamente a iscrivere gli ipotetici autori creando il fascicolo con i ritagli dei quotidiani. Se non ci fosse stata denuncia di un privato non sarebbe accaduto nulla? Chissà se al Consiglio superiore della magistratura qualcuno sarà interessato ad avere una risposta.
(Ansa)
Due persone arrestate, sequestrata droga e 57 persone denunciate per occupazione abusiva di immobile e una per porto abusivo di armi. Sono i risultati dei controlli scattati questa mattina allo Zen da parte di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza dopo l'omicidio di Paolo Taormina, il giovane ucciso davanti al pub gestito dalla famiglia da Gaetano Maranzano. Nel corso dei controlli sono stati multati anche alcuni esercizi commerciali per carenze strutturali e per irregolarità sulla Scia sanitaria e mancata autorizzazione all'installazione di telecamere, impiego di lavoratori in nero, mancata formazione, sospensione di attività imprenditoriale. Sono state identificate circa 700 persone, di cui 207 con precedenti ed altri 15 gia' sottoposti a misure di prevenzione.
Continua a leggereRiduci