Non conosco Luigi Marattin. So che è stato presidente della sesta commissione della Camera, quella che si occupa di finanza pubblica. Mi pare sia anche docente universitario, non ricordo più se a Siena o a Bologna. Soprattutto, mi è noto che ha un passato da deputato del Pd e un presente da onorevole di Italia viva. Tuttavia, non cito Marattin per le sue migrazioni politiche, bensì perché ieri, da responsabile economico del micro partito fondato da Matteo Renzi, ha postato un tweet in cui ripercorre le tappe della vicenda del bonus fiscale del 110 per cento, argomento su cui giovedì è calata la mannaia del governo. A incuriosirmi è stato il titolo del messaggio: «Tutto quello che avreste voluto sapere sulla vicenda della cessione dei crediti e non avete mai osato chiedere», sufficientemente accattivante da suscitare interesse.
In 15 punti, l’economista e parlamentare ripercorre l’iter del provvedimento del cosiddetto sconto in fattura, dalla sua nascita fino alla sua ormai certificata morte. Primo: a tenere a battesimo la misura fu il secondo governo Conte che, insieme con il 110 per cento «ha deciso di rendere liberamente vendibile (e senza alcun tipo di controllo) tutti i crediti di imposta relativi ad agevolazioni fiscali». Quindi, se prima coloro che volevano ristrutturare casa cambiando serramenti e caldaia potevano detrarre il 50 per cento del costo nell’arco di cinque o dieci anni, grazie a Conte e compagni quel credito fiscale poteva essere venduto a qualcun altro, evitando dunque di pagare il 50 per cento della spesa. Poi, quel qualcun altro avrebbe provveduto a scalare dalle proprie tasse il credito fiscale ottenuto dal padrone di casa. Tutto chiaro? Bene, ora immaginate che, grazie alle agevolazioni introdotte dal solito governo giallorosso, i benefici non fossero del 50, ma anche del 110 per cento. In pratica, chi ristrutturava casa non doveva scucire un centesimo e le aziende potevano anche sovrafatturare, perché se il committente non perdeva soldi, loro potevano guadagnare di più. Bene. Torniamo a Marattin, il quale dice di aver avuto subito perplessità sul provvedimento, ma spiega che i 5 stelle fecero pesare i loro voti, ed essendo il partito di maggioranza costrinsero il resto della coalizione, dunque anche il Pd, ad approvarlo. Spiega ancora il deputato di Italia viva: «Visto che la cessione del credito era totalmente libera e senza alcun tipo di controllo, qualcuno ha pensato bene di approfittarne, iniziando a far girare crediti inesistenti, a fronte dei quali però incassava soldi». Soldi pubblici, dei contribuenti, aggiungo io.
Restituisco la parola a Marattin. «Questo è stato il primo problema, ma poi ne è spuntato un secondo. A un certo punto si è fatto vivo Eurostat, cioè l’istituto di statistica europeo che determina le regole di contabilità pubblica di tutta l’Unione», che in pratica si è messo a fare le pulci alla misura, spiegando che quei crediti fiscali equivalevano a un’obbligazione dello Stato verso i creditori e dunque da iscriversi nei conti pubblici. Quando lo ha detto Eurostat? «La scorsa settimana», spiega Marattin. A questo punto, il governo è dovuto correre ai ripari, fermando tutto perché continuare sarebbe equivalso a creare un buco gigantesco nelle casse dello Stato. Per il passato, i crediti fiscali dovrebbero essere messi nei bilanci 2021 e 2022, appesantendo il deficit, ma per il futuro non si possono fare scherzi, cioè la cessione non si può più fare. Chiaro il concetto? Un errore, un errore macroscopico commesso dal governo Conte bis. «Purtroppo», spiega Marattin, «in politica economica quando si commette un errore grave, tutte le possibili azioni successive per rimediare non sono mai quelle ottimali: troppo grave e condizionante, infatti, l’errore iniziale». Conclusioni dell’onorevole: «Prima di provare insieme al mio partito a valutare la mossa del governo e provare a migliorarla, mi sento di dire che i responsabili di quel grave errore - il Movimento 5 stelle - dovrebbero quantomeno avere la decenza di rimanere in silenzio».
Conclusione mia e non di Marattin: forse lo stesso riserbo dovrebbero averlo il Pd e la sinistra che del secondo governo Conte fecero parte. È vero che furono i grillini a volere il Superbonus e la libera cessione dei crediti, ma chi stava al governo con loro non si oppose. È lo stesso Marattin a confessare di non essersi opposto. «Io ero relatore di maggioranza del decreto Rilancio nel maggio del 2020, quello in cui questa norma era contenuta. Alcuni di noi provarono a spiegare che questo meccanismo era molto pericoloso, perché con una cosa del genere sai dove inizi e non sai dove andare a finire», ma i 5 stelle non sentirono ragioni. Risultato, grazie al governo giallorosso è stato creato un enorme buco nei conti dello Stato, che né Conte né Draghi hanno cercato di tappare, preferendo lasciare la patata bollente a chi sarebbe venuto dopo. Un’ultima notazione: Marattin è all’opposizione dell’esecutivo di Giorgia Meloni. Onore dunque per l’onesta confessione, anche se un po’ tardiva. Che altro c’è da aggiungere? Che i difensori dei bilanci pubblici, in realtà, sono quelli che li hanno scassati.