A due passi dalla stazione di Bologna insegnano il Corano e la lingua araba, è possibile sposarsi con il rito islamico e convertirsi pubblicamente in diretta Facebook. L’imam salafita, Zulfiqar Khan, barba lunga, abiti tradizionali e copricapo da predicatore, se ne va in tv a dire che «gli ebrei sono ingannatori» e difende Hamas a spada tratta. Poi rilancia gli scontri da talk show sulla pagina social del centro culturale islamico bolognese denominato Iqraa (quasi 4.000 follower), che pubblica costantemente i suoi sermoni. La telecamera è fissa su di lui. In alcuni video stringe un pesante bastone nella mano sinistra e predica alternando l’arabo all’italiano. In altri, con un banner del Centro islamico come sfondo, ha entrambe le mani libere e, tra una conversione e l’altra, fornisce la sua personalissima lettura del conflitto a Gaza. Momenti di conversione ne documenta diversi. Compreso quello di un bambino. Il piccolo è seduto tra mamma e papà. Lei porta il velo. «Vi diranno loro», dice l’imam, «come hanno fatto a tornare verso la religione di pace». La mamma spiega subito: «Nel 2017 ho fatto la Shahadah (la testimonianza di fede, ndr) molto felicemente e con tanta gioia nel cuore. Ho trovato Dio come lo cercavo da una vita». Poi, emozionata, aggiunge: «Ringrazio Allah per avermi scelto come sua serva ed è a lui che consegno oggi anche mio figlio». Il proclama di conversione di un bambino in diretta web tv forse in Italia non si era mai visto. Anche il papà (che solo il 9 aprile scorso aveva postato sui social il fotobook di una rappresentazione della Via crucis) si dice felicissimo e quando l’emozione comincia a mettergli i bastoni tra le ruote l’imam gli si avvicina, gli poggia una mano sulla spalla e spiega: «Come avete sentito non c’è nessun tipo di costrizione, nessuno sforzo». Poi l’imam si abbassa all’altezza del piccolo e gli ricorda la frase che dovrà pronunciare per diventare un buon musulmano. Prima in arabo. Mentre il bambino pronuncia le parole, la mamma, che gli mantiene sollevata una mano, cerca più volte di alzargli il dito indice (un segno che i musulmani usano per indicare che esiste un solo Dio). Poi si procede in italiano e per frasi brevi, prima pronunciate dall’imam con tono solenne, poi dal bimbo. «Io testimonio», afferma l’imam. Il piccolo ripete. «Che non c’è nessun Dio». Il piccolo ripete. «All’infuori di Allah». Il piccolo ripete. «E testimonio che Mohamed è messaggero e servo di Allah». Quando il bambino termina di pronunciare la frase parte un lungo applauso. Infine l’imam gli consegna un regalo contenuto in una sportina elegante: il Corano. E gli dice: «Questo è per bambini, per adulti, per datori di lavoro e per insegnanti. Per tutti vale lo stesso messaggio. Studia e impara». La mamma sceglie per lui il nome in arabo. Lui lo accetta e tutti gli altri ragazzini presenti si mettono in fila per abbracciarlo uno per volta. Zulfiqar Khan, radici ben salde nella versione salafita dell’islam, sembra voler mettersi al passo con le star della predicazione sul Web che dilagano in Europa. In Germania, per esempio, c’è il salafita Ahmad Armih alias Ahmad Abul Baraa. Di origine palestinese, ha circa cinquant'anni ma non fornisce la sua età esatta. Baraa è ormai diventato un’autorità di spicco sulle questioni islamiche in Germania e in Austria dove congiunge in matrimonio islamico decine di coppie e converte tutti coloro che si avvicinano all’islam, bambini compresi. Popolarissimo sui social Abul Baraa su Instagram ha 34.500 follower mentre sul suo canale Youtube può contare su 90.800 iscritti che seguono i sermoni contenuti nei 2.368 video pubblicati. Importante la sua presenza anche su Tik tok, dove i follower sono 60.900. I suoi video sono apparsi anche sullo schermo del cellulare del quattordicenne che, come parte di un gruppo di tre sospetti jihadisti, è sospettato di aver pianificato un attacco terroristico alla recente Vienna rainbow parade. Questo è ciò che ha detto proprio l’indagato nel suo interrogatorio davanti alla polizia. E Zulfiqar Khan sembra cercare di far crescere la sua influenza proprio attraverso i social. Negli ultimi interventi se la prende molto con i giornalisti, che «fanno passare Hamas per una organizzazione terroristica, appoggiando al cento per cento il governo israeliano». La grande «fake news», secondo Khan, «è Hamas che ha attaccato Israele». Il 15 ottobre era in piazza. Alle sue spalle sventolano le bandiere rosse dei Cobas. E in quella occasione si lascia andare a pesanti commenti su «chi ha ucciso i profeti», mentre in coro i manifestanti urlano «Palestina libera». Andando ancora indietro nel tempo è possibile trovare post con indicazioni sulle donne che vivono nella stessa casa con i cognati, critiche all’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche in Italia) sul calcolo delle fasi lunari ed elucubrazioni sulla festa del Natale. Ma anche tutte le preghiere del venerdì nelle quali illustra ai fedeli le sue versioni delle sure coraniche. Da salafita.
Verrà a raccogliere voti anche in Italia, Abdelfattah Mourou, candidato alle presidenziali tunisine fissate per il 15 settembre prossimo. Le tappe sono due: a Milano sabato 31 agosto e in Sicilia (ma il programma non è ancora stato dettagliato), il giorno dopo, domenica 1 settembre. Sarà un ritorno in terra lombarda per Mourou. Nell'aprile 2017 partecipò al «Festival della solidarietà col popolo palestinese» che si tenne ad Assago, a cui prese parte - tra non poche polemiche - pure l'attuale sottosegretario grillino agli Esteri, Manlio Di Stefano. Una manifestazione accusata di ambiguità sull'antisemitismo e sulle azioni di guerriglia che Hamas conduce in Medioriente contro gli israeliani. Ancor prima, nell'agosto 2012, il politico tunisino aveva tenuto sermoni nella moschea milanese di Via Quaranta e guidato la preghiera nella zona di Cascina Gobba e al Palasharp.
Imam, avvocato, ex vicepresidente del Parlamento tunisino, Mourou, nato a Tunisi 71 anni fa, ha iniziato la sua militanza fondamentalista negli anni Sessanta, predicando nelle scuole e nelle moschee e con l'adesione a una confraternita sufi assai conosciuta, la Madaniyya, creata all'inizio del XX secolo, che esortava la società nordafricana in generale e tunisina in particolare, a combattere la presenza straniera (essenzialmente francese, ma anche italiana, visto la consistenza numerica della sua comunità) in Tunisia.
Mourou è soprattutto il fondatore, nel 1981, del Tunisian islamic tendency movement, oggi conosciuto come Ennahda (Rinascita). Si tratta del movimento che ha preso il potere nel paese nordafricano dopo la Rivoluzione dei gelsomini che, tra il 2010 e il 2011, ha portato alla detronizzazione dell'allora presidente Ben Ali. Pur presentandosi come partito moderato, Ennahda è espressione dei Fratelli musulmani, la scuola teologico-politica che si rifà alla dottrina più ortodossa e feroce del sunnismo. Un vero e proprio network internazionale, che le agenzie di intelligence in dossier riservati associano più o meno esplicitamente al terrorismo di matrice islamista, che muove milioni e milioni di fedeli-elettori dall'Egitto, luogo d'elezione del movimento, al Golfo Persico, alla Giordania, all'Indonesia, alla Libia. Sostenitori della Sharia (la primitiva legge che regolava anche il funzionamento dell'Isis, prima della sua distruzione) e della primazia dell'Islam nel mondo, i Fratelli musulmani hanno il loro quartier generale a Londra, in un appartamento a due piani sopra una ex pizzeria nell'area nordoccidentale della capitale inglese.
Di Ennahdaha era un attivo militante Jabeur Khachnaoui, uno dei killer del Museo del Bardo, l'attentato che il 18 marzo 2015 provocò la morte dei 24 turisti, tra cui 4 italiani. L'assassino venne definito, dopo qualche giorno, un «eroe» su Twitter dai vertici del Califfato che rivendicarono l'azione di sangue, insieme all'altro complice, Yassin Laabidi. Un uomo che assomigliava a Jabeur Khachnaoui comparve in una fotografia di gruppo, durante una cena, proprio in compagnia di Abdelfattah Mourou, l'imam che tra qualche giorno verrà in Italia a fare campagna elettorale tra le moschee per diventare presidente della Tunisia. Mourou ha però sempre respinto le ricostruzioni avanzate dai giornali tunisini, a proposito di quell'immagine e dei rapporti con Khachnaoui, sostenendo l'errore di persona.




