Se le edicole sono ritenute un presidio fondamentale per la tenuta democratica del Paese, un servizio essenziale che resta infatti aperto anche nel pieno dell'emergenza coronavirus, è grazie ai distributori di giornali e riviste che i prodotti di informazione continuano a essere a disposizione dei cittadini. Per questo le associazioni di categoria nazionali (m-dis, MePe, PressDi, Sodip) e locali (Anadis e Ndm) hanno messo a punto una serie di interventi con l'obiettivo di offrire un supporto concreto ai rivenditori finali, cioè le edicole, e quindi all'intera filiera.
Tra le misure pensate a sostegno dei rivenditori, valide fino al prossimo 30 aprile salvo ulteriori proroghe delle misure di contenimento decise dal governo, ci sono «significativi aiuti finanziari e operativi, rivolti sia ai punti vendita attualmente chiusi a causa della pandemia, così da favorirne la riapertura, che ai punti vendita tuttora attivi», hanno fatto sapere le associazioni dei distributori in una nota.
In particolare, alle edicole che al momento sono chiuse a causa dell'emergenza «sarà garantito il ritiro dei resi giacenti in fase di riapertura anche se scaduti», e inoltre «verrà consentito il pagamento dilazionato del primo estratto conto ricevuto alla riapertura del punto vendita, che dovrà essere pagato per il 25% nei consueti termini e il residuo in parti uguali nei tre estratti conto successivi». Per i rivenditori che invece sono ancora attivi, le associazioni propongono di posporre «alla settimana successiva il pagamento di un giorno di venduto di quotidiani e periodici», misura che comporterebbe «un beneficio tangibile in termini di dilazione di pagamento»; inoltre, ai rivenditori «viene accordata la possibilità di rendere i prodotti collezionabili e/o collaterali, da loro trattenuti nel corso dell'emergenza e non ritirati dai clienti nei tempi usuali».
Nel caso in cui i clienti richiedessero questi prodotti in seguito, «il servizio di fornitura degli arretrati avverrà senza l'addebito di alcun sovrapprezzo e nel più breve tempo possibile». Infine, i distributori hanno offerto «ampia disponibilità a istituire e condividere con le associazioni di categoria dei rivenditori una cabina di regia, per esaminare eventuali problematiche che dovessero sorgere tra le parti sull'applicazione delle misure proposte».
Nonostante le proposte siano state «discusse approfonditamente con le associazioni di categoria dei rivenditori», nel corso di vari incontri ai quali ha partecipato anche la Fieg (la federazione degli editori di giornali) i rappresentanti degli edicolanti non hanno ritenuto le misure sufficienti, e quindi il tavolo di confronto si è interrotto lo scorso 3 aprile senza che venisse raggiunto un accordo. In ogni caso i distributori, come si legge nella nota, hanno confermato alle associazioni dei rivenditori e alla Fieg la loro disponibilità ad adottare le misure, precisando di volere, «per il rispetto dovuto verso i rivenditori di giornali e riviste, cui va il ringraziamento e la gratitudine di tutta la filiera, mettere comunque in opera gli interventi proposti, nella convinzione che rappresentino un aiuto immediato e concreto ai rivenditori in questo difficile momento».
In un momento particolare come l'attuale, segnato dall'emergenza dovuta alla diffusione della pandemia, la filiera distributiva editoriale vuole riaffermare il suo ruolo di «preziosa risorsa al servizio della comunità», e mette a disposizione le sue infrastrutture logistiche e organizzative per raggiungere rapidamente attraverso le edicole tutta la popolazione italiana.
Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna. È la filosofia abbracciata dalle edicole italiane che, per limitare i danni causati dall'emergenza coronavirus, hanno smesso di attendere i clienti per andare, appunto, direttamente a loro. L'idea, che si sta diffondendo a macchia d'olio nella penisola - da Milano a Roma, da Brescia a Firenze, da Vicenza a Cagliari -, è la contromisura della categoria per fronteggiare le perdite economiche accusate nonostante la possibilità di continuare a lavorare. Cong li edicolanti che si trasformano in rider.
In questo periodo emergenziale, i proprietari dei chioschi, in ragione del prezioso servizio che offrono, hanno ancora la possibilità di restare aperti. Ciò nonostante, si sta assistendo a un vero e proprio crollo sotto gli occhi di chiunque oggi acquisti un giornale. Da quanto è dato capire, la crisi maggiore di vendite sta colpendo soprattutto la stampa locale, anche nessuna testata sembra esserne estranea.
Per rendere l'idea del crollo di cui si sta parlando, edicole che vendevano circa 400 copie di quotidiani locali al giorno, oggi veleggiano mestamente sulle 40, massimo 50 copie: in tutto. Tanto che in diversi centri d'Italia una quota non piccola dei lavoratori di questo settore ha già deciso di chiudere o di tenere aperto solamente al mattino per garantire i quotidiani alla clientela più affezionata.
Un disastro, questo, che va purtroppo a colpire un settore già in affanno, se si pensa che nel solo 2019, in Italia, hanno chiuso i battenti 781 tra edicole e altre attività di vendita di quotidiani e riviste: una media di due al giorno. Tra il 2011 e il 2019 la rete nazionale della rivendita di quotidiani e riviste ha perso 4.102 attività.
In tale contesto, si può pertanto ben comprendere come la consegna a domicilio della stampa, più che una semplice opzione, oggi si stia imponendo come una necessità che ciascun edicolante affronta come meglio riesce, da quello che inforca la bicicletta per fare il giro del paese a chi, invece, ricorre a soluzioni motorizzate.
Già da diversi giorni, per esempio, per le vie di Milano sfreccia la prima «ape-edicola» d'Italia, una bancarella motorizzata per consegnare i giornali in ogni parte della città. Pochi giorni prima, era stata la toscana (Firenze e Prato) a tracciare la via, con 41 chioschi che si erano organizzati per il porta a porta. Nella capitale, sono 26 le edicole disponibili a consegnare a casa le copie del quotidiano, mentre a Napoli l'iniziativa è stata lanciata tre giorni fa dal Mattino.
Sono il sacro e il profano dell'Italia che tenta di resistere al morbo del secolo. Chiese ed edicole, fedeli e lettori, Pater noster e quotidiani. Lungi da noi accostarci al regno dei cieli, ma il coronavirus, o meglio l'interpretazione dell'apposito e contingente decretone, ha finito per sancire più di qualche assonanza tra spiritualità e informazione. Parrocchie e chioschi, nelle nostre desolate città, sono rimasti aperti. Entrambi, però, sono al centro di assillanti diatribe interpretative. Si può uscire per una preghierina sotto casa? Sì. E andare a comprare il giornale? Certo. Eppure molti audaci sono stati fermati dall'intento e persino multati: «Non sono attività necessarie».
È vero: chiese ed edicole non danno da mangiare, come i supermercati. Non vendono medicine, come le farmacie. Però, perdonateci l'enfasi, nutrono anime e menti, specie se debilitate come adesso. Ovvio, ogni debito distinguo va rimarcato: nell'«ora più buia» rievocata da Giuseppi Conte, che con la citazione abbandona metaforicamente la pochette per il panciotto alla Winston Churchill, nessuno può dare il conforto di un curato o di un inginocchiatoio. Per questo, cercando di supplire alle messe ormai vietate, l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, s'è perfino arrampicato sul tetto del Duomo. Da lì ha pregato, con il volto rivolto verso la statua dorata che protegge la città: «O mia bela Madunina che te dominet Milan, conforta coloro che più soffrono nei nostri ospedali e nelle nostre case». E ieri, in un'intervista alla Stampa, l'arcivescovo ha spiegato: «Abbiamo sospeso le celebrazioni e tutto quello che poteva facilitare il contatto tra le persone. Ma abbiamo sempre detto che le chiese sono aperte. Chiunque deve poter entrare e avere la possibilità di pregare, naturalmente rispettando le misure di sicurezza, senza diffondere o ricevere contagio».
Proprio mentre i credenti vorrebbero abbarbicarsi alla fede, i luoghi di culto sono diventati luoghi di testimonianza. A volte, nemmeno quelli. Due giorni fa a Cerenova, nel Lazio, la polizia locale ha sospeso la messa in streaming nella parrocchia di San Francesco d'Assisi. Troppi i fedeli riuniti lì davanti. Per evitare assembramenti il governo ha vietato pure comunioni, cresime, matrimoni. E persino funerali. Così le esequie di Priscilla, la ragazza comasca morta lo scorso 11 marzo per una meningite fulminante, si sono trasformate in una diretta streaming su Facebook. La celebrazione online ha avuto oltre 9.000 visualizzazioni e centinaia di commenti.
Tutto sospeso a data da destinarsi. Niente deroghe. Il momento eccezionale richiede sacrifici eccezionali. Nessuno, dalle parti del Vaticano, eccepisce. Mentre il virologo Roberto Burioni sembra irridere i cattolici invitandoli alle preghierine dal salotto. Intanto, i supermercati scoppiano. Tanti vagano con il carrello semivuoto tra le corsie. E sì, quella della reiterata spesa quotidiana non è una leggenda che monta tra le cassiere più malmostose. È quello che vediamo anche noi quando, una volta la settimana e dopo esserci bardati come sommozzatori, siamo costretti a uscire per far rifornimento di generi alimentari, pena il deperimento della già sfibrata prole.
Insomma, molti cercano uno svago. E lo svago, in questi tempi cupi, può diventare lo scorrazzare senza meta negli ipermercati, per lasciarsi incantare dai valori nutrizionali stampati sullo scatolame o dall'imperdibile offerta di detersivi e brillantanti. Code interminabili. Casalinghe minacciose. Distanze risibili. Siamo sicuri dunque che quelle indomite clienti non sarebbero più al sicuro tra le spesse mura della parrocchia? Ben distanziate, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, potrebbero magari riprendere a dialogare con l'Altissimo piuttosto che con uno sfibrato salumiere.
Eppure un momento di piacere, ben più futile, ci sarebbe. Legalizzato e vidimato persino dalla presidenza del Consiglio. Ovvero: uscire di casa, camminare fino all'edicola vicina e comprare il vostro giornale preferito. Se volete capir meglio l'epocale battaglia contro il coronavirus, non c'è nulla di meglio. E, a dispetto di qualche iniziale inciampo, non c'è alcun dubbio interpretativo: potete farlo. Non c'è bisogno di fingere l'ennesima impellenza del vostro cagnolino. E nemmeno di indossare occhiali scuri e impermeabile, temendo di venir intercettati dai tutori della legge. Non serve neanche accampare finti malanni stagionali. Nelle edicole si può andare. Anzi, adesso, i chioschi hanno un indubitabile pregio: sono gli unici esercizi commerciali all'aperto. Non c'è quasi mai ressa. Il fantomatico metro abbonda. Ed è pure l'unico luogo in cui, ma solo in aggiunta, potete comprare inutili giocattolini da regalare a figli e nipoti annoiati. Però ci hanno scritto tanti lettori. «Fioccano le ammende per chi dichiara di essere uscito per comprare un quotidiano» lamenta ad esempio il signor Edoardo. Eccessi di zelo, appunto. Le norme sono chiare. La stampa, in un momento come questo, viene considerata un bene «fondamentale». Ecco perché le edicole restano aperte. Basta barrare, nell'autocertificazione del ministero, la casella «situazione di necessità». Già, informarsi è una necessità. Oggi più che mai. Sfoderate un sorriso, prima di spiegarlo alla zelante guardia. E, magari, regalatele una copia della Verità.







