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Lo ha detto l'eurodeputata di Fratelli d'Italia e vicepresidente del Parlamento europeo Antonella Sberna in occasione dell'evento «Mattei Plan for African and Global Gateway» sul Piano Mattei come motore di sviluppo per il futuro.
Lo ha detto l'eurodeputata di Fratelli d'Italia e vicepresidente del Parlamento europeo Antonella Sberna in occasione dell'evento «Mattei Plan for African and Global Gateway» sul Piano Mattei come motore di sviluppo per il futuro.
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Lo ha detto la vicepresidente del Parlamento europeo, Antonella Sberna (FdI), a margine dell'inaugurazione della Half Marathon Città dei Papi.
Antonella Sberna, eurodeputata di Fratelli d’Italia e vicepresidente dell’Aula di Strasburgo, dopo che Stati Uniti e Europa hanno congelato l’arma del dazio, come prevede che si svilupperanno i negoziati?
«La sospensione reciproca dei dazi sembra segnare l’inizio di un dialogo vero e proprio, fondamentale per disinnescare le tensioni economiche degli ultimi giorni e per riconsiderare gli equilibri della bilancia commerciale. Come ho avuto modo di dire anche a Vinitaly pochi giorni fa, dazi, burocrazia e barriere non tariffarie non sono mai stati la soluzione alle esigenze del mercato. Ma preferisco concentrarmi su ciò che l’Europa può fare per sé stessa. Questi 90 giorni rappresentano un’opportunità per riflettere su chi vogliamo essere e dove vogliamo andare nella nostra visione comune. E la leadership che l’Italia sta interpretando è di grande lungimiranza e di buon auspicio affinché l’Europa prenda coscienza di sé stessa. Anche in ottica di una semplificazione della burocrazia interna e di rilancio della competitività che, in questa fase, può sicuramente consentirci di dialogare meglio con chiunque».
Come deve sfruttare l’Italia e l’Europa i 90 giorni concessi da Trump?
«Pensare solo a questi 90 giorni mi sembra quasi riduttivo. Sono gli ultimi due anni e mezzo del governo Meloni ad aver visto l’Italia di nuovo protagonista autorevole e affidabile nel mondo. Ed è questo il bagaglio che l’Italia può portare ad ogni confronto. Per sé stessa e per tutta l’Europa. Questo vale certamente nel dialogo con gli Stati Uniti d’America sul tema dei dazi ma ha senso anche, in generale, guardando ad altre aree geografiche. Penso ad esempio al Piano Mattei per l’Africa. L’Italia sta dimostrando di voler assumere responsabilità anche verso i propri vicini. E questo viene osservato con attenzione da tutti i più importanti attori internazionali».
Che cosa si aspetta dalla missione del 17 aprile del presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Washington?
«Innanzitutto, mi permetta di dire una cosa: quando il presidente Giorgia Meloni invitava ad evitare crisi di panico, aveva perfettamente ragione. Così come aveva ragione nel chiedere di scongiurare guerre commerciali. È stata la voce più forte, chiara e determinata in Europa. Questo già le conferisce autorevolezza nel dialogo con gli Stati Uniti e nella comprensione delle rispettive ragioni».
È realmente possibile puntare allo «zero a zero», cioè al cancellazione reciproca dei dazi?
«Ad oggi pare uno scenario lontano ma un orizzonte a cui mirare, senza rinunciare ad alcuni capisaldi della nostra economia. Mi riferisco, ad esempio, alla tutela degli alti standard di qualità che caratterizzano il nostro settore agroalimentare e alle denominazioni di origine, un patrimonio che vale decine di miliardi di euro all’anno solo di export. Difendere questi valori è un qualcosa di diverso da una posizione protezionista, è un atto di responsabilità verso la nostra identità economica e culturale».
Che ne pensa dei malumori filtrati da ambienti francesi circa la visita di Meloni, giudicata «divisiva»?
«È del tutto naturale che l’Italia sottolinei la propria la capacità di dialogare con il mondo e naturalmente anche con gli Stati Uniti. Lo riconosce anche l’Unione europea e non mi sembra che da parte dei governi dei Paesi membri ci siano state polemiche in tal senso. Sono sicura che la visita del presidente Meloni servirà a rafforzare l’Europa e tenerla unita, nell’interesse dell’Italia e di tutti gli Stati membri dell’Unione europea».
La guerra commerciale tra Usa e Cina è senza precedenti. Trump conferma i dazi contro Pechino. Non pensa che l’Europa – Francia e Germania hanno forti interessi cinesi – si presenti ancora una volta divisa in merito a questo scontro?
«In passato ci sono state certamente delle divergenze di vedute tra gli Stati membri, come ad esempio le posizioni riguardo alle tariffe europee sulle auto elettriche, per capire che la discussione è tutt’altro che teorica. E non è l’unico dei settori con cui ci sono delle criticità. Penso ad esempio alla ceramica e ai prodotti siderurgici. Si tratta di tutelare le nostre imprese da una concorrenza fuori mercato che è spesso causa di perdita di posti di lavoro. Ed a questo deve pensare l’Europa, innanzitutto. La vera questione, quindi, è di coerenza e consapevolezza».
Sembra che gli Stati Uniti, con la loro condotta, stiano quasi costruendo una coalizione anti-Cina. Nel caso, l’Italia non dovrebbe schierarsi saldamente con Washington?
«Anche in questo caso il ruolo del governo italiano sembra essere sempre di più al centro delle complesse dinamiche attualmente agli onori della cronaca. Sono certa che l’autorevolezza di Giorgia Meloni rappresenterà, anche in questo frangente, un valore aggiunto al dialogo e all’individuazione di posizioni di politica estera e commerciale coerenti con il nostro interesse nazionale ed europeo».
Uno dei simboli della vicinanza europea alla Cina sono i provvedimenti «green», che hanno certamente avvantaggiato, nel caso dell’auto elettrica, aziende cinesi. È arrivato il tempo di archiviare la legislazione ambientalista, che ha danneggiato l’automotive italiano?
«Già, diciamolo chiaramente: è arrivato il momento di fare il tagliando al Green deal. Serve capire con onestà intellettuale se ci sono misure che hanno funzionato e riconoscere, invece, tutte quelle che creato danni concreti. Mettiamo da parte le norme che, di fatto, costringono le imprese europee a competere sul mercato globale ad armi impari. E il Clean Industrial Deal è la prova di un primo cambio di passo. Va anche riconosciuto che Fratelli d’Italia, al Parlamento europeo, ha già ottenuto risultati significativi. L’“omnibus”, ovvero il pacchetto che prevede la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese e l’esonero da alcune normative ambientali, è una battaglia che portiamo avanti da tempo ed alcune delle misure previste dovrebbero entrare in vigore subito, ben prima del 2029».
In tanti chiedono una revisione profonda del Patto di stabilità, per affrontare le nuove tensioni economiche. Quale tipo di modifiche proporrebbe?
«Il Patto di stabilità è come un vestito europeo su misura, peccato che la misura venga presa sulla taglia di qualcun altro. A parte l’ironia, credo che questo sia un buon esempio della maggiore flessibilità che dovrebbe caratterizzare il Patto, il quale, troppo spesso, ha escluso l’utilizzo di una buona spesa pubblica, come ad esempio quella per ricerca e sviluppo. Lo spirito di come dovrebbe essere riformato il Patto è stato recentemente mostrato dal vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto in relazione alla politica di coesione. Quella sì che è veramente un’opportunità su misura per i territori e al passo con i tempi, in quanto individua delle priorità e agevola gli Stati che decidono di investire in quella direzione, senza obblighi troppo stringenti e con procedure semplificate. Si dovrebbe partire da lì per affrontare ulteriori sfide. Infatti, è già cominciato il dibattito sul prossimo bilancio dell’Unione europea. Sembrano temi distanti e complicati, ma hanno un grandissimo impatto sulla vita quotidiana di ogni cittadino».
Al Vinitaly si è parlato della difesa del vino italiano. Quali sono gli strumenti in campo per proteggere questa eccellenza del made in Italy?
«Proprio nei giorni del Vinitaly, la Commissione europea ha presentato il cosiddetto “pacchetto vino”. Un inizio incoraggiante ma che può essere ulteriormente migliorato dal Parlamento europeo con l’obiettivo di essere più vicini ancora alle esigenze del settore. Il Parlamento ha l’opportunità di lavorare in questa direzione. Tanti gli strumenti e tante le misure che saranno oggetto di trattazione legislativa nei prossimi mesi. Dall’etichettatura agli investimenti sostenibili, dalle autorizzazioni alle campagne di promozione, sono tutte misure che, come ha molto ben spiegato il ministro Francesco Lollobrigida, andranno nella direzione delle tutela di un comparto fondamentale per la nostra economia. Infine, vorrei concludere con un dato importante: una bottiglia su cinque nel mondo parla italiano. Il vino, e l’agroalimentare in generale, non è solo economia, è storia, cultura e qualità, ed è fondamentale che l’Unione europea lo riconosca e lo sostenga, soprattutto in un momento in cui le sfide globali impongono nuove strategie di valorizzazione e tutela del settore».
«La spaccatura tra popolari e socialisti al Parlamento europeo non è una novità, sono tanti i temi che li dividono, penso all’agricoltura o, in generale, alle politiche green. Anche sulla politica internazionale alcune divergenze stanno diventando evidenti. Certamente, le tensioni tra queste due grandi famiglie politiche europee sono amplificate da dinamiche nazionali». Antonella Sberna, vicepresidente del Parlamento europeo, gruppo Ecr, oggi ha potuto assistere all’evidenza della profonda spaccatura tra socialisti e popolari. Dissidi sui nomi dei commissari, ma non solo, che hanno portato al primo scontro interno alla maggioranza in Aula a Strasburgo.
Oggi la spaccatura si è resa plastica con la legge sulla deforestazione. È una conseguenza del nervosismo che si è creato sulla formazione della Commissione? Cosa è successo?
«Da un lato, noi dell’Ecr e il Ppe abbiamo sostenuto la necessità di un approccio più realistico e sostenibile, come sostenuto dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che permetta alle nostre imprese, soprattutto quelle medio-piccole, di adeguarsi alle nuove norme senza subire costi economici e oneri burocratici, ad esempio per quanto riguarda il software di tracciamento dei prodotti. Dall’altro, i gruppi progressisti e di sinistra insistono su un’applicazione ideologica che non considera le conseguenze per il tessuto produttivo europeo e l’impatto sui consumatori».
Che aria si respira in Parlamento?
«Sebbene il clima in Parlamento sia molto teso, sono certa che presto si troverà una soluzione. Raffaele Fitto, in audizione, ha dimostrato grande competenza e postura istituzionale, un orgoglio per l’Italia. Sarebbe il primo vicepresidente esecutivo con delega alla Coesione, oltre che responsabile di settori cruciali per l’economia europea come la pesca, l’agricoltura, i trasporti, le infrastrutture strategiche, il turismo e l’housing sociale. La sua nomina è una questione importante non solo per l’Italia, ma anche per garantire un equilibrio politico in Commissione, come riconosciuto anche dalla presidente Von der Leyen».
Fdi ha dichiarato che avrebbe votato l’intero pacchetto commissione. Perché non votare subito la riconferma di Ursula Von der Leyen?
«Sono due voti diversi fra di loro. Quello di tre mesi fa era sul programma politico di Von der Leyen, per il quale ci siamo espressi in modo contrario perché ritenevamo fosse troppo appiattito rispetto al mandato precedente. Oggi la situazione è diversa: con il nuovo assetto proposto, che include figure chiave come Raffaele Fitto, vicepresidente esecutivo e commissario designato, espressione di Fratelli d’Italia e del gruppo Ecr, crediamo che la Commissione rappresenti gli Stati membri con un equilibrio più ampio e inclusivo. All’Italia spetta un ruolo di peso, come non avveniva da troppi anni, e l’interesse nazionale va messo al primo posto».
Se Ecr avesse votato a favore oggi ci troveremmo a un altro punto?
«No, anche se Ecr avesse votato a favore subito, ci saremmo comunque trovati di fronte alle attuali tensioni, poiché le posizioni dei socialisti inevitabilmente si sarebbero scontrate con le nostre su questioni fondamentali. Occorre, inoltre, considerare il risultato delle elezioni europee, in occasione delle quali i cittadini hanno chiesto un chiaro cambio di agenda. Non votare immediatamente la Von der Leyen è stata, quindi, una scelta corretta: ci ha permesso di evidenziare fin dall’inizio le nostre priorità e di ottenere oggi un assetto più bilanciato».
Che tempi ci sono per chiudere la partita? La Commissione rischia di saltare?
«Non sta a me dirlo, ma il tempo per chiudere la partita dipende soprattutto dalla volontà dei socialisti di riconoscere che esiste un’altra Europa, fatta di pragmatismo e di attenzione alla realtà e non fondata esclusivamente su visioni ideologiche».
Ce lo possiamo permettere in questo momento storico?
«Non possiamo permetterci una Commissione europea che rischi di saltare, soprattutto in questo momento storico così delicato. L’Europa sta affrontando sfide senza precedenti: dalla crisi energetica alla transizione ecologica, dalla ripresa economica post-pandemia alla necessità di garantire sicurezza e stabilità sociale. Avere una Commissione operativa e stabile è fondamentale per dare continuità a queste azioni e rispondere con efficacia alle aspettative dei cittadini».
Che scenari si prevedono? Quanto dipende da Ecr e quanto da Ppe e dal resto della maggioranza Ursula?
«Come Fratelli d’Italia e come gruppo Ecr, insieme al Ppe, abbiamo dimostrato senso di responsabilità e un impegno reale per assicurare la stabilità di cui l’Europa ha bisogno. Abbiamo votato favorevolmente per tutti i commissari designati perché rispettiamo le prerogative di tutti gli Stati membri. Riteniamo molto grave l’atteggiamento delle sinistre italiane ed europee che hanno chiesto sia revocata la vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto. Questo è il momento in cui ogni gruppo politico dovrebbe cercare punti di convergenza per garantire che l’Europa sia ben governata».

