Si deciderà domani il destino giudiziario degli eurodeputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, coinvolti nell’inchiesta sul cosiddetto Quatargate, quando, a partire dalle 11, la plenaria del Parlamento europeo voterà sulla revoca dell’immunità ai due politici. Un primo via libera è arrivato ieri dalla commissione Juri (la principale della commissione giuridica del Parlamento europeo) i cui componenti hanno votato all’unanimità la proposta di revoca dell’immunità, alla quale avevano già dato l’ok i diretti interessati. In caso di conferma da parte dell’aula, il giudice istruttore Michel Claise avrà quindi mano libera nei confronti di Cozzolino e Tarabella. A coinvolgere i due eurodeputati sono state le dichiarazioni rese agli inquirenti di Bruxelles dall’ex eurodeputato Pier Antonio Panzeri e dal suo assistente Francesco Giorgi, approdato poi nello staff di Cozzolino. Panzeri, arrestato (come Giorgi) il 9 dicembre scorso ha iniziato da alcune settimane a collaborare con gli inquirenti. Intanto ieri la Corte d’appello di Milano ha deciso di rinviare al prossimo 9 febbraio l’udienza per decidere sulla consegna al Belgio di Monica Rossana Bellini, commercialista della famiglia di Panzeri, anche lei arrestata lo scorso 18 gennaio. Un rinvio, a quanto si è saputo, definito «istruttorio» sulla base del quale i giudici chiederanno con un provvedimento formale ulteriori informazioni e documentazione sulla posizione della commercialista ai magistrati di Bruxelles. Nell’udienza a porte chiuse, gli avvocati della Bellini, Franca De Candia e Liliana Crescimanna, avrebbero infatti chiesto una «integrazione istruttoria», in particolare su documentazione, trasmessa solo in francese nei giorni scorsi dal Belgio. A seguito del rinvio disposto dalla quinta sezione penale della Corte milanese (presidente del collegio Antonio Nova), verranno predisposte le nuove richieste sulla documentazione, che saranno poi riassunte in un provvedimento da trasmettere, attraverso il ministero della Giustizia, agli inquirenti di Bruxelles. Per Claise, come si legge negli atti finora trasmessi all’Italia, la commercialista avrebbe avuto «un ruolo importante nell’ambito del rimpatrio dei contanti», ossia le presunte tangenti, «provenienti dal Qatar», assieme «a Silvia Panzeri», figlia dell’ex eurodeputato, anch’essa arrestata il 9 dicembre insieme alla madre Maria Dolores Colleoni, entrambe scarcerate nei giorni scorsi dopo la rinuncia all’estradizione delle due donne da parte della magistratura belga. Secondo le accuse, sarebbe stata la Bellini, su input di Panzeri, a mettere in piedi «una struttura di società per garantire un flusso di denaro con apparenza legale». Questo giornale aveva raccontato in esclusiva, il 19 dicembre, la genesi di una delle società, la Equality consultancy srl (citata nel mandato di arresto della Bellini), costituita Il 28 dicembre 2018, cinque mesi prima delle elezioni europee del 2019, con sede legale a Opera, in provincia di Milano, proprio nello studio della commercialista. Le accuse di Bruxelles si basano su una dichiarazione resa da Giorgi: «All’inizio del 2019, credo, Panzeri ha pensato che, invece, di prendere contanti sarebbe stato preferibile creare una struttura giuridica all’interno della quale avremmo potuto avere una partecipazione- principalmente lui, perché io avevo il mio lavoro - e quindi gestire il flusso di denaro in modo legale. Per questo Panzeri si è rivolto alla sua commercialista, Monica Bellini che tra l’altro è andata in Qatar con Panzeri durante i mondiali. Una società di consulenza, Equality, è stata fondata in Italia».
Andrea Cozzolino vuole parlare: i legali dell’europarlamentare del Pd, non indagato ma al centro della bufera del Qatargate, hanno diffuso ieri una nota con la quale annunciano che il loro assistito è pronto a sbandierare la sua verità. «Dopo aver avanzato formale richiesta in tal senso alle Autorità giudiziarie procedenti», scrivono gli avvocati Federico Conte, Dezio Ferraro e Dimitri De Beco, «l’onorevole Andrea Cozzolino chiederà anche all’assemblea parlamentare cui appartiene di essere sentito per rispondere a tutte le domande e offrire tutte le informazioni e i chiarimenti utili all’accertamento dei fatti. Cozzolino non intende invocare l’immunità parlamentare per l’attività politica che ha svolto in maniera libera e trasparente», aggiungono i legali, «essendo del tutto estraneo ai fatti di reato per cui si procede».
La mossa di Cozzolino lascia perplessa una nostra fonte molto autorevole del Parlamento europeo: «Si tratta di una dichiarazione curiosa», argomenta il nostro interlocutore, «in quanto l’iter della revoca dell’immunità, chiesto al Parlamento europeo dalla magistratura belga per Cozzolino e il collega Marc Tarabella, prevede che gli eurodeputati siano auditi in Commissione affari giuridici. Cozzolino non deve chiedere di essere ascoltato, ne ha già piena facoltà, fa parte della procedura della Commissione, che alla fine della fase istruttoria propone all’aula di accogliere o respingere la richiesta dei magistrati». La proposta della Commissione all’aula, possiamo anticiparlo con certezza, sarà di votare a favore della richiesta della magistratura. Il Parlamento europeo, su impulso della presidente Roberta Metsola, sta collaborando in pieno con il pool di magistrati di Bruxelles, guidati dal giudice Michel Claise, che sta indagando sulle mazzette che, secondo l’accusa, Qatar e Marocco avrebbero distribuito ai protagonisti dell’indagine, alcuni dei quali, come la ex vicepresidente del Pe Eva Kaili, il suo compagno Francesco Giorgi (assistente di Cozzolino), l’ex eurodeputato Antonio Panzeri, sua moglie e sua figlia, sono stati arrestati.
La Kaili, ricordiamolo, nonostante sia parlamentare europeo, è stata arrestata comunque, poiché l’immunità non vale per i soggetti scoperti in flagranza di reato: nell’appartamento che condivide con Giorgi sono stati trovati sacchi pieni di banconote. Giorgi, secondo quanto riferito dalla stampa belga, avrebbe ammesso di aver ricevuto denaro dal Marocco e dal Qatar in cambio di un’azione di promozione degli interessi dei due Paesi all’interno del parlamento europeo.
La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola ha disposto che l’iter per la revoca dell’immunità per Cozzolino e Tarabella sia il più rapido possibile, e sta fornendo la massima collaborazione agli inquirenti sin dalle prime ore. Ad esempio, senza l’ok dell’Ufficio di presidenza del Parlamento, i magistrati non avrebbero potuto neanche effettuare le perquisizioni negli uffici, protetti dalla inviolabilità. Al d là di quello che dirà in relazione all’inchiesta, c’è attesa per le dichiarazioni di Cozzolino dal punto di vista politico: il Pd, lo ricordiamo, ha scaricato completamente il suo eurodeputato. Lo scorso 16 dicembre, la commissione di Garanzia dei Dem ha deciso di sospendere «cautelativamente» Cozzolino dall’Albo degli iscritti e degli elettori, nonché da tutti gli organismi. Cozzolino potrebbe scagliarsi contro il suo partito, lamentando di essere stato sospeso e scaricato pubblicamente senza essere stato neanche indagato, e togliersi qualche macigno dalle scarpe, magari chiamando in causa amici e colleghi in merito a prese di posizione di carattere politico rispetto al Qatar e al Marocco.
«Che avremmo dovuto fare», dice alla Verità una fonte del Pd di primissimo piano, «di fronte a un quadro così preoccupante e tra l’altro nel pieno di una fase congressuale? La sospensione è stata inevitabile: quando la vicenda giudiziaria sarà definita, faremo le opportune valutazioni». La votazione finale sulla revoca dell’immunità per Cozzolino e Tarabella, in ogni caso, arriverà tra più di un mese, poiché l’iter prevede diversi passaggi. La presidente Metsola, comunicherà all’aula la richiesta della magistratura belga in occasione della prima seduta plenaria utile, il prossimo 16 gennaio. A quel punto, la Commissione affari giuridici nominerà un relatore, che illustrerà i casi dei due eurodeputati del gruppo dei Socialisti e Democratici europei agli altri componenti. La proposta finale del relatore verrà quindi discussa e votata dalla Commissione, che adotterà una raccomandazione affinché l’intero Parlamento approvi o respinga la richiesta degli inquirenti. La proposta (che come abbiamo anticipato sarà di togliere l’immunità a Cozzolino e Tarabella) verrà quindi esaminata dalla plenaria: in caso di approvazione (è sufficiente la maggioranza semplice) la presidente comunicherà immediatamente la decisione al deputato o ai deputati interessati e alla magistratura. La conclusione dell’iter è prevista per il 13 febbraio.
L’inchiesta sulle infiltrazioni di Qatar e Marocco in Europa sta prendendo sempre più la forma di una sceneggiatura da spy story. E non solo perché gli investigatori si sono mossi dopo una segnalazione dei servizi segreti. Ora la Procura belga ipotizzerebbe che a spingere Rabat a investire sull’ex eurodeputato Antonio Panzeri e sul suo circuito sia stata la necessità di controllare il dossier Pegasus, un’inchiesta dell’Europarlamento sul software spia israeliano che sarebbe stato utilizzato anche all’interno della Commissione europea, come certificò lo scorso luglio il commissario per la Giustizia Didier Reynders. In un documento, indirizzato all’eurodeputata Sophie in ‘t Veld, Reynders comunicava di aver ricevuto nel 2021 una notifica da Apple sulla possibile violazione del suo Iphone tramite Pegasus. L’avvertimento portò a un’indagine sui dispositivi elettronici (sia quelli personali che quelli utilizzati per lavoro) dei funzionari della Commissione. Sebbene non siano state trovate prove della violazione dei telefoni di Reynders e del personale della Commissione, gli investigatori hanno comunque segnalato alcuni «indicatori di compromissione». E, così, nel marzo scorso, il Parlamento europeo, con 635 voti favorevoli, 36 contrari e 20 astenuti, ha deciso di istituire una commissione d’inchiesta sull’uso di Pegasus (e anche di altri spyware). Nel frattempo sui giornali di vari Paesi cominciano a saltare fuori notizie che puntano su Rabat, sospettata di aver usato il software per farsi i fatti dell’Ue. Con «i servizi segreti di Rabat», riporta Repubblica, «accusati di aver utilizzato il software per spiare il telefono del presidente francese Emmanuel Macron». E quello di Romano Prodi ai tempi della presidenza della Commissione europea, in quanto inviato speciale delle Nazioni Unite nel Sahel per il rilascio del Sahara occidentale, un territorio conteso tra il Marocco e la Repubblica Araba. Ma anche, come denunciato da Amnesty International, circa 180 giornalisti di tutto il mondo (sette dei quali marocchini). L’apertura di un dossier Ue deve avere quindi preoccupato i marocchini. Che devono essersi mossi anche con manovre di disinformazione, visto che sul Washington Post a giugno è spuntato un elenco con i premier spiati. Tra il nome di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, e quello di Macron vengono inseriti anche il premier marocchino Saad Eddine El Othmani e il re del Marocco Mohammed VI.
A quel punto apprendere i contenuti del dossier europeo e, soprattutto, le conseguenze che avrebbe potuto produrre potrebbe essere diventata una questione importante per Rabat per mettere in campo delle adeguate contromisure. Dal Marocco avrebbero quindi deciso, ipotizzerebbe la Procura belga, di spingere l’adesione dell’eurodeputato dem (ora sospeso) di S&D Andrea Cozzolino alla Commissione speciale parlamentare. Ma anche quella di altri due parlamentari del Gruppo dei socialdemocratici: l’ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e la parlamentare italo-belga Marie Arena. Con un compito arduo e delicato, che Repubblica descrive così: «Intervenire, senza però mai dare l’impressione di lavorare per il nemico». Ovviamente apparire in modo aperto troppo filo Rabat nel Parlamento europeo avrebbe dato nell’occhio. Il team avrebbe quindi lavorato al servizio del Dged, il servizio marocchino, e del suo 007 numero uno: Yassine Mansouri. Che avrebbe incontrato Cozzolino. E anche Panzeri un paio di volte. E la Kaili? «La mia percezione», commenta ora Sophie in ‘t Veld, relatrice del testo della Commissione Pegasus, di cui proprio Kaili era relatrice ombra, «è stata quella di non avere un alleato in lei, come in altri membri della Commissione, per questo motivo ho scelto di proseguire nel mio lavoro di stesura del testo da sola e posso dire di non aver ricevuto pressioni alcune».





