Donna, ingegnere aerospaziale dell'Esa e disabile. La tedesca Michaela Benthaus, 33 anni, prenderà parte ad una missione suborbitale sul razzo New Shepard di Blue Origin. Paraplegica dal 2018 in seguito ad un incidente in mountain bike, non ha rinunciato ai suoi obiettivi, nonostante le difficoltà della sua nuova condizione. Intervistata a Bruxelles, ha raccontato la sua esperienza con un discorso motivazionale: «Non abbandonate mai i vostri sogni, ma prendetevi il giusto tempo per realizzarli».
Emmanuel Macron allo stand della Dassault all'International Paris Air Show 2025 (Ansa)
Lite nel consorzio per il protagonismo francese. E la Spagna si schiera con i tedeschi.
Toh: l’Europa unita dei 70 anni di pace non solo non ha portato la pace, ma non è nemmeno unita. Manco nella guerra. E a bisticciare sono proprio due delle sue nazioni fondatrici: Francia e Germania.
La lite riguarda la ripartizione del lavoro nel consorzio che dovrebbe costruire, al costo di 100 miliardi di euro, un caccia di nuova generazione, con cui saranno sostituiti gli Eurofighter e i Rafale. I tedeschi lamentano l’eccessivo protagonismo dei transalpini e minacciano di cercare nuovi partner nel Regno Unito oppure in Svezia; a Parigi respingono gli addebiti e, semmai, accusano i teutonici di rallentare lo sviluppo del progetto. La Spagna, che fa parte del trio, dà ragione a Berlino e chiede che sia rispettato l’accordo originario sulla distribuzione dei compiti. Alla faccia della collaborazione, degli accordi per la spesa comune, delle piattaforme condivise da finanziare con i fondi del Safe di Ursula von der Leyen. Soldi dei quali, peraltro, la Germania fa volentieri a meno: ormai - e non senza rilievi da parte della sua Corte dei conti - ha varato una legge di bilancio con un deficit monstre da 1.000 miliardi. E ricostruirà l’esercito più forte del continente, senza che nessuno fiati, memore di come andò le due volte precedenti. Soltanto Emmanuel Macron, sospeso tra inossidabili manie di grandezza e irrefrenabile timore del tracollo, briga per evitare che la Francia perda l’egemonia.
Viva l’unità: con tanti saluti alla famosa interoperabilità dei sistemi d’arma, esistono già due piani concorrenti per la realizzazione del jet di sesta generazione. Da un lato c’è il sodalizio Italia-Inghilterra-Giappone per il Global combat air programme (Gcap), che vede coinvolti Leonardo, Bae systems e Mistubishi e che confida di far decollare il primo apparecchio nel 2035. Dall’altro lato c’è il Future combat air system (Fcas): esso raduna Airbus defence and space, facente capo alla Germania; la divisione francese di Mbda; la Dassault; e l’iberica Indra sistemas. L’idea sarebbe di partire con i voli di prova entro il 2029. Ma il percorso si è complicato: la componente tedesca rimprovera a Dassault di voler concentrare su di sé l’80% dei lavori, mentre l’intesa prevedeva un’equa distribuzione; Dassault nega tutto, ma invoca maggiore autonomia nel processo decisionale e denuncia le procedure farraginose, che la costringono a richiedere il consenso di Airbus defence and space per ogni passaggio, con il pericolo di lungaggini e ritardi. La Germania avverte che sarebbe pronta a escludere i francesi e a proseguire esclusivamente con gli spagnoli, o di allargare agli svedesi di Saab e ai i britannici. I quali, però, come abbiamo visto, sono dentro il Gcap.
Il cancelliere Friedrich Merz è stato perentorio: «Per come si sono messe le cose al momento, non possiamo andare avanti». Qualche giorno fa, Pedro Sánchez è corso in suo soccorso e ha comunicato che l’interesse di Madrid è «sincero», ma che bisogna rispettare «le condizioni iniziali». A ottobre ci sarà un vertice trilaterale ed entro l’anno si dovrà prendere una decisione definitiva.
È l’ennesima sberla all’inquilino dell’Eliseo, che sente odore di sfratto non solo in patria ma pure dalle cancellerie estere. Dopodiché, la zuffa rivela quale sia lo spirito che aleggia davvero dietro gli afflati di concordia sbandierati dall’Ue, ancorché in versione marziale. Sempre che la difesa comune non si trasformi tout court nella milizia privata della Von der Leyen, di comune è destinata lo stesso ad avere ben poco. Le nazioni erano e rimangono rivali. Ognuno pensa al proprio arsenale, alla propria supremazia, ai propri campioni industriali. Non molto è cambiato rispetto a 70 anni fa, quando sarebbe iniziata la pace dell’Europa che ogni due per tre celebra il nostro Sergio Mattarella.
Nel 1956, Italia, Francia e Germania si accordarono per mettere su un arsenale atomico e rendersi autonome dagli Stati Uniti. Due anni dopo, Charles de Gaulle fece saltare il banco, puntando sulla force de frappe 100% transalpina. Oggi, il Vecchio continente paventa un’imminente invasione da parte delle truppe di Vladimir Putin, passato dall’«Armata rotta» alla «maxi Armata di 700.000 uomini», nonché dalla sicura sconfitta per mano dell’Occidente alla probabile vittoria sulla Nato «in cinque giorni». Eppure, il pepe nel deretano non sembra abbastanza piccante perché gli Stati superino quelli che sempre l’uomo del Colle definisce «egoismi nazionali».
Berlino corre e non cade nelle trappole francesi; Parigi non ha gli stessi margini di spesa, ma non tollera di essere scalzata dai vicini; Roma, nei limiti del possibile, si sforza di non perdere troppo terreno. Ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha assicurato che Guido Crosetto, titolare della Difesa, in manovra avrà «le sue soddisfazioni». Bene. Basta che si trovino soldi pure per tagliare le tasse, oltre che per inseguire droni accecati e poi magari bombardarsi da soli, tipo la Polonia dieci giorni fa. Altrimenti, quelli insoddisfatti saranno gli elettori.
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Teodoro Valente (Imagoeconomica)
Il nuovo presidente dell’Asi dovrà risolvere le grane lasciategli in eredità da Giorgio Saccoccia: l’Italia punta ad avere più peso in Europa e servono verifiche sul programma Ariane 6.
Non è stata una passeggiata la nomina del professore Teodoro Valente alla presidenza di Asi, l’agenzia spaziale italiana. Dopo gli anni dei governi di centrosinistra e 5 Stelle, infatti, anche a questa tornata c’è chi ha provato di nuovo a mettere i bastoni tra le ruote al governo di Giorgia Meloni e al ministro del Made in Italy Adolfo Urso. Oltre al nuovo presidente, il nuovo consiglio di amministrazione dell’agenzia sarà composto da Giuseppe Basini, Marica Branchesi, Stefano Gualandris, Marco Lisi, Luisa Riccardi e Elda Turco Bulgherini.
Valente si lascia dietro una serie di «trombature» eccellenti, legate a doppio filo con i passati esecutivi di matrice giallorossa, tra piddini e grillini. Per la presidenza di Asi, infatti, si era ricandidato (un’altra volta) nelle scorse settimane Roberto Battiston, ex presidente dell’agenzia spaziale ai tempi di Renzi e Gentiloni, poi, perso il posto, diventato ai tempi di Giuseppe Conte un esperto di Covid 19. Battiston è anche chiamato il Nipoton, perché sposato con una delle nipoti dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. Da ormai 4 anni, cioè da quando non è più in Asi, ha provato più volte a trovare un incarico da presidente, senza successo. Non ce l’ha fatta a diventare direttore generale di Esa, l'agenzia spaziale europea, dove non è riuscito nemmeno a entrare nella short list né è stato preso in considerazione per ben 2 volte alla guida del Cnr: ben due commissioni lo hanno affossato situandolo a mezza altezza tra i candidati.
Ora è arrivata la quarta bocciatura. Ma non è la sola. Perché Valente ha anche vinto la concorrenza dell’ingegnere Luigi Pasquali, coordinatore Leonardo per lo Spazio, prossimo alla pensione. E ancora. Valente è stato preferito anche al professor Eugenio Coccia, fisico sempre alla ricerca di una sistemazione apicale che l’ex ministro Vittorio Colao aveva proposto al cda di Asi senza successo. A quanto si dice per arrivare a Valente c’è stata in questi mesi una battaglia molto serrata tra il ministero dell’Università di Annamaria Bernini - che avrebbe preferito Coccia - e il rettore della Sapienza Antonella Polimeni, che sosteneva Valente. Il nuovo presidente é un ingegnere chimico esperto di materiali. Nell’ambiente dell’industria spaziale è poco noto, e ancor meno in Esa. Da un lato questo rappresenta un possibile ostacolo ai rapporti con l’agenzia spaziale europea, dall’altro lo rende indipendente dall’influenza del potente direttore generale Joseph Aschbacher.
Di sicuro Valente ha competenze manageriali comprovate, background scientifico di alto livello e un master in Businnes administration alla Luiss di Roma, curriculum ben differente da quello del suo predecessore Giorgio Saccoccia con un master in una ignota università olandese. Unica nota stonata sulla scelta potrebbe essere il fatto che ha condiviso 18 articoli scientifici con il professor Paolo Gaudenzi, membro della commissione di nomina. In ogni caso a Valente spettano da subito due importanti battaglie. Innanzitutto c’è da negoziare in Europa il ruolo dell’Italia, unico dei tre paesi massimi contributori ad avere un solo direttorato. Ci sono due posti a selezione, uno è quello che riguarda l’amministrazione, l’altro quello delle telecomunicazioni. Su quest’ultimo ha già messo il cappello la Francia che si aspetta di portare a casa almeno una delle due direzioni a fronte di un investimento di 3,1 miliardi. C’è poi da verificare il futuro del programma Ariane 6 che ha oltre due anni di ritardo e dove si confida che gli errori tecnici siano stati risolti. Nel frattempo Saccoccia ha trovato un incarico a Parigi, in un ufficetto in Esa, dove sta vivendo il suo successo per il passaggio dal livello A5 a A6, regalatogli alla memoria e mai raggiunto in 15 anni di selezioni. Ora toccherà a Valente risolvere i problemi.
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Il settore oggi ne vale 350 ed è pronto a una crescita esponenziale anche grazie a magnati come Musk, Bezos e Branson. In Italia è appena nato il fondo di venture capital Primo space. Interessanti Avio e Officina stellare
Sono sempre più numerose le aziende che hanno una quota importante di fatturato legata alla conquista dello spazio. E negli Stati Uniti è stato lanciato un Etf che investe sulle principali società della space economy. «Con il Ticker ufo, il Procura space Etf è negoziabile in molte piattaforme di trading online», ricorda Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf, «ma in Italia non è armonizzato fiscalmente e quindi eventuali plusvalenze vanno dichiarate nella dichiarazione dei redditi e sono soggette alla tassazione progressiva in base alla propria aliquota».
Più comunemente, investire nella space economy è possibile posizionandosi sulle società quotate con un piede nel settore. Come la Virgin galactic di Richard Branson, che progetta da tempo voli spaziali di linea. Del resto, il turismo spaziale è uno degli sbocchi possibili su cui puntare e fra chi si gioca questa partita c’è anche Blue origin, la compagnia missilistica di Jeff Bezos. Senza dimenticare Spacex di Elon Musk, che punta ad arrivare su Marte.
Il mondo aerospaziale è in forte espansione e, secondo Morgan Stanley research, la space economy vale già 350 miliardi di dollari e ha un potenziale di crescita esponenziale da qui al 2040: tra 1.100 e 1.700 miliardi di dollari.
Anche in Italia il comparto è in forte espansione ed è recente il primo fondo di venture capital italiano (Primo space) specializzato nel settore spaziale che si focalizzerà su start up e Pmi dell’industria spaziale italiana, lavorando in collaborazione con il mondo accademico e della ricerca. A Piazza Affari da tempo sono quotate Avio, leader nel settore della propulsione spaziale, e Officina stellare (sull’Aim), piccola società vicentina almeno rispetto ai colossi del settore che progetta e produce telescopi ad alto contenuto tecnologico. Avio è una delle poche aziende al mondo nel settore del lancio di vettori a essere quotata in Borsa e opera nel comparto dei lanciatori e della propulsione applicata a sistemi di lancio, missili e satelliti.
Il settore spaziale, però, non offre solo grandi opportunità, ma anche rischi. Il lancio di un razzo non è mai un’operazione di routine e gli azionisti di Avio lo hanno sperimentato in occasione di due lanci falliti con il titolo affondato in Borsa e ritornato alle quotazioni di molti mesi prima. Lo stesso vale per Virgin galactic che, dai 60 dollari di metà febbraio 2021, è scesa sotto i 30 dopo il rinvio dei test della navetta suborbitale Unity. Un ritardo che, di fatto, posticiperà l’inizio dei voli suborbitali commerciali e che, quindi, avrà un impatto anche sul volo suborbitale in programma con l’Aeronautica militare italiana, inizialmente previsto per il 2021.
La partita anche europea resta comunque ricca con un budget di quasi 15 miliardi di euro nel prossimo triennio in vista di missioni cruciali verso la Luna e Marte. È di buon auspicio l’incontro di qualche giorno fa fra Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico italiano, e quello francese dell’Economia Bruno Le Maire. I due hanno rilanciato una «stretta collaborazione» proprio nell’aerospazio.
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