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- Secondo il report di Ubs che analizza diverse città, il capoluogo lombardo, dove i prezzi reali sono scesi del 2% in linea con la crescita degli affitti e dei redditi reali locali, non risulta a rischio immobiliare. In Europa la situazione è stabile ma non troppo.
- Il mercato immobiliare europeo si posiziona nella parte medio bassa della classifica del rischio bolla, eccezione fatta per Monaco che ottiene il quarto posto. Le metropoli a maggiore rischio sono Zurigo, Dubai, Miami e Tokyo.
Lo speciale contiene due articoli.
L'impennata dell’inflazione e il conseguente aumento dei tassi di interesse, negli ultimi due anni, ha portato a un netto calo degli squilibri nei mercati immobiliari dei maggiori centri finanziari globali. La crescita dei prezzi delle case ha infatti sofferto a causa dell'aumento dei costi di finanziamento: i tassi medi dei mutui sono quasi triplicati dal 2021 nella maggior parte dei mercati. La conseguenza è stata che la crescita annuale dei prezzi nominali nelle 25 città analizzate si è arrestata dopo l'impennata del 10% di un anno fa. I prezzi sono addirittura il 5% più bassi rispetto alla metà del 2022 e in media le città hanno perso gran parte dei guadagni in termini di prezzi reali ottenuti durante la pandemia.
Questa dinamica ha portato nel 2023, come evidenziato dall’Ubs Global Bubble Index, ad avere solo la città di Zurigo e Tokyo a rischio bolla. Un calo netto, se si pensa che nel 2022 nella zona rossa immobiliare si trovavano altre sette città:Toronto, Francoforte, Monaco, Hong Kong, Vancouver, Amsterdam e Tel Aviv. Quest’anno grazie all’inflazione e alle politiche monetarie restrittive delle varie banche centrali sono diminuiti gli squilibri nei maggiori mercati analizzati. Ovviamente, l’aumento dei tassi ha avuto un impatto diverso sui prezzi delle case, a seconda dei problemi immobiliari esistenti e delle condizioni di mutuo prevalenti che caratterizzano un determinato mercato. A Francoforte e Toronto, le due città con i punteggi di rischio più alti nel 2022, i prezzi delle case sono crollati del 15% negli ultimi quattro trimestri. Al contrario, a Madrid, New York e San Paolo, città che l’anno scorso avevano rischi immobiliari più moderati, hanno visto i prezzi delle case crescere a un ritmo contenuto.
Nonostante queste nuove dinamiche, l’acquisto di una casa, negli ultimi due anni, continua a rimanere molto difficile. Il report infatti evidenzia come, nonostante i tassi di disoccupazione siano rimasti stabili e in diversi Paesi si sia verificata una crescita dei redditi, legata all’inflazione, il potere di acquisto non è aumentato. In media, la quantità di spazio abitativo finanziariamente accessibile, per un lavoratore qualificato, è inferiore del 40% rispetto a prima dell'inizio della pandemia.
Mentre l'accessibilità all'acquisto è peggiorata significativamente, gli affitti hanno registrato un boom. A parte le città degli Stati Uniti, la crescita nominale degli affitti ha subito una forte accelerazione dalla metà del 2022 ed è stata positiva in tutte le località analizzate. I maggiori aumenti si sono stati registrati a Singapore e a Dubai.
Il rischio bolla è però dietro l’angolo. In alcune città i semi per il prossimo boom dei prezzi degli immobili sono già stati piantati. Nella maggior parte, l'offerta di alloggi rimane insufficiente, poiché il lavoro ibrido non ha indebolito la domanda di vita in città in modo duraturo. La domanda di abitazioni si sta accumulando e i prezzi potrebbero salire di nuovo non appena le condizioni finanziarie delle famiglie miglioreranno.
Zurigo e Tokyo: le città a rischio
La classifica delle città a rischio bolla immobiliare vede al primo posto Zurigo, al secondo Tokyo e al terzo Miami. Per quanto riguarda la città svizzera il report evidenzia come acquistare una proprietà immobiliare a Zurigo costa oggi oltre il 50% in più rispetto a dieci anni fa in termini nominali. Un numero crescente di persone ad alto reddito, e tassi di interesse estremamente bassi, hanno sostenuto l’aumento dei prezzi. Per questo motivo il mercato è stato messo nella zona a rischio bolla.
Per quanto riguarda Tokyo, gli squilibri del mercato immobiliare sono passati da una sottovalutazione di 20 anni fa ad un rischio di bolla di adesso. I prezzi degli immobili sono aumentati quasi ininterrottamente per oltre due decenni e si sono disaccoppiati dal resto del Paese, sostenuti da condizioni di finanziamento interessanti e dalla crescita demografica. Gli investitori internazionali sono stati attratti dalle qualità difensive del mercato residenziale di Tokyo, accelerando così la crescita dei prezzi. Inoltre, poiché l'immigrazione netta si è indebolita dopo la pandemia, gli affitti hanno iniziato a scendere nel 2020, aggravando gli squilibri. La diffusione dello smart working, e la maggiore disponibilità di case più grandi fuori dal centro, hanno spinto le persone a lasciare la città. Anche se la crescita dei redditi non è riuscita a tenere il passo con i prezzi e i tassi ipotecari sono aumentati (moderatamente) negli ultimi trimestri, la dinamica dei prezzi delle case non si è indebolita.
Rispetto a Zurigo e Tokyo la situazione di Miami è migliore. Anche qui, i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare più velocemente della media nazionale e il livello dei prezzi è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni. La domanda è sostenuta dal continuo afflusso di popolazione e dal livello assoluto dei prezzi ancora relativamente basso rispetto ai redditi. Detto questo, i numeri delle vendite sono diminuiti e la pressione al rialzo sui prezzi si è allentata con l’aumento dei tassi ipotecari.
La classifica del mercato immobiliare europeo: Milano 17ª
Il mercato immobiliare europeo si posiziona nella parte medio bassa della classifica, eccezione fatta per Monaco che ottiene il quarto posto nella classifica del rischio bolla. Milano, su 25 città analizzate si posiziona al 17° posto, nella parte meno a rischio. A livello europeo è Madrid, al 20° posto, la città più “virtuosa” a livello immobiliare.
Milano
Il mercato immobiliare milanese ha registrato prezzi in crescita dal 2018. Il calo dei tassi ipotecari, l'economia robusta, i nuovi sviluppi e il regime fiscale favorevole hanno sostenuto la domanda di abitazioni. Sebbene i prezzi nominali abbiano continuato a crescere tra la metà del 2022 e la metà del 2023, non sono riusciti a tenere il passo con l'inflazione. I prezzi reali sono scesi del 2%, in linea con la crescita degli affitti e dei redditi reali locali. Le solide prospettive per l'economia locale, il prolungamento della metropolitana e i prossimi Giochi Olimpici Invernali del 2026 contribuiranno a sostenere le valutazioni in termini nominali.
Madrid
Il mercato immobiliare di Madrid si trova nel territorio del fair value. Rispetto ad altre città dell'Eurozona, la capitale spagnola è rimasta accessibile valutando il rapporto prezzo/reddito. Dopo un periodo di stagnazione di tre anni, negli ultimi quattro trimestri i prezzi sono aumentati del 3% a causa dell'inflazione. Complessivamente, rimangono del 25% al di sotto, rispetto al massimo storico del 2007. La domanda si sta spostando verso il mercato degli affitti, poiché l'aumento dei tassi di interesse ha ridotto l'attrattiva dell'acquisto di una casa. La previsione è che dunque aumenteranno le costruzioni destinate agli affitti, mantenendo di fatto il mercato in equilibrio.
Amsterdam
Solo tra il 2020 e la metà del 2022 i prezzi di Amsterdam hanno registrato un'impennata di quasi il 20% a causa dell'inflazione, sganciandosi dagli affitti e dai redditi locali. Negli ultimi quattro trimestri, i prezzi sono scesi del 14%. Diversi fattori hanno pesato sulla domanda di immobili di proprietà: il peggioramento delle condizioni di finanziamento, e l'inflazione, che ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie e la loro disponibilità di acquisto. Inoltre, l'aumento dell'imposta sui trasferimenti e il divieto di affittare, dopo l'acquisto, hanno ridotto la domanda di investimento.
Parigi
Il calo dei tassi ipotecari e la forte domanda internazionale sono stati i principali fattori che hanno determinato un aumento del 30% dei prezzi reali delle case a Parigi tra il 2015 e il 2020. La città è diventata meno accessibile e gli appartamenti più grandi per le famiglie scarseggiano. La conseguenza è stata che la gente ha lasciato la capitale francese. I prezzi hanno iniziato a scendere nel 2021. Il calo si è accelerato negli ultimi trimestri a causa dell'aumento dei tassi ipotecari, dell’imposta sugli immobili e delle restrizioni sui prestiti.
Monaco
Il livello dei prezzi delle case in entrambe le città tedesche analizzate, Francoforte e Monaco, è raddoppiato tra il 2012 e il 2022, registrando la crescita più forte fra tutte le città incluse nello studio. La solida crescita economica e occupazionale, il calo dei tassi ipotecari, la forte domanda di investimenti e la carenza di offerta hanno sostenuto l'aumento dei prezzi. Nonostante queste condizioni i prezzi hanno subito un'impennata eccessiva. I rialzi dei tassi e l'inflazione elevata hanno innescato una rivalutazione. Dopo aver raggiunto il picco all'inizio del 2022, i prezzi reali di Francoforte hanno subito una correzione di quasi il 20% e del 15% a Monaco. Entrambe le città sono uscite dalla zona a rischio bolla, ma restano altamente sopravvalutate.
Londra
I prezzi reali del mercato immobiliare londinese sono in calo dalla Brexit del 2016. Nonostante la carenza strutturale di offerta, i prezzi sono rimasti indietro rispetto alla media nazionale. In assenza di una forte domanda internazionale, i prezzi delle case rimangono sotto pressione poiché, a causa degli alti tassi dei mutui, l'accessibilità economica locale è la peggiore dal 2007. Inoltre, la domanda di investimenti buy to-let è diminuita. Anche se gli affitti sono aumentati in termini nominali, non sono riusciti a compensare l'aumento dei costi di finanziamento.
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True
2023-10-21
Arrivano i «guppies», i giovani professionisti under 40 che non comprano più case
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Nel mercato immobiliare globale si stanno facendo largo i «guppies», giovani professionisti, anche con stipendi alti, che rinunciano al sogno di comprare una casa, preferendo l'affitto condiviso o rimanere a vivere casa con i propri genitori.
I «guppies» di oggi sono in netto contrasto con gli «yuppies» degli anni Ottanta e novanta: giovani professionisti con un buono stipendio e senza problemi nell’acquistare una casa. In Italia, per contrastare il fenomeno, si sta affermando tra le giovani generazioni una nuova modalità di compravendita degli immobili: l’acquisto all’asta, che consente un risparmio medio fino al 25%.
Regno unito e Usa: mutui troppo alti scoraggiano l’acquisto di casa
Secondo Zoopla, una piattaforma che si occupa di vendite immobiliare nel Regno Unito, nel 2023 i «guppies» rappresentano il 42% degli adulti sotto i 40 anni che non solo non possiedono attualmente una casa, ma non hanno nemmeno intenzione di acquistarne una nel prossimo decennio. Da sottolineare che tra questi si trovano anche professionisti che percepiscono un reddito annuo pari o superiore alle 60.000 sterline. Una situazione simile la si trova anche negli Usa, visto che i mutui sono sempre più alti e gli attuali proprietari non vogliono vendere le loro case scendendo a compromessi (-23% degli annunci immobiliari). Secondo Redfin, società immobiliare americana l’aumento dei prezzi delle case e i tassi sempre più elevati hanno fatto sì che il reddito medio necessario per acquistare la tipica casa americana aumentasse del 13%, nell’ultimo anno. Si parla di circa 64.500 dollari l'anno per permettersi una classica case americana di base che a giugno ha visto toccare il prezzo record di 243.000 dollari (+2,1%, rispetto al 2022 e + 45% rispetto al 2019). Al momento, secondo la ricerca, San Francisco, Austin e Phoenix sono le uniche grandi aree metropolitane degli Stati Uniti in cui il reddito necessario per acquistare una prima casa è diminuito nell'ultimo anno. È aumentato di oltre il 20% a Fort Lauderdale, Florida e Miami, più che in qualsiasi altra parte del paese. Aumento dei prezzi immobiliare, tassi sempre più alti e crescita del costo della vita sono dunque le tre ragioni principali che spingono i giovani professionisti, sotto i 40 anni, a scegliere di andare a vivere in affitto o con i genitori (14,4%). Anche perché, la quota minoritaria, che ha scelto di acquistare o ha in progetto di farlo afferma di star facendo notevoli sacrifici finanziari. Più di un terzo (34%) ha dichiarato di aver rinunciato alle vacanze, il 30% ha dovuto rinunciare alla socializzazione (uscite con gli amici), il 25% ha smesso di risparmiare per il proprio futuro e il 10% ha rinunciato ad avere una relazione per potersi permettere il sogno di una casa.
Italia: si fanno avanti le vendite tramite aste
I trend registrati negli Usa e nel Regno Unito si riflettono anche in Italia. Secondo gli ultimi dati di Eurostat, relativi al 2021, il 71% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni viveva ancora a casa insieme ai genitori. Una generazione che non riesce a comprare la prima casa a causa di stipendi troppo bassi e per prezzi degli immobili e dei mutui che continuano a lievitare. In Italia però oltre l’affitto e vivere a casa con i genitori si sta facendo largo anche un’altra modalità di acquisto: le aste. Secondo Enrico Poletto, real estate manager e Ceo di Aste private professionali, questa rappresenta un’alternativa valida che sempre più giovani italiani stanno vagliando. Da dopo il Covid, l’acquisto di un immobile all’asta ha infatti subito una vera e propria impennata, anche grazie alla possibilità di poter presentare offerte e partecipare alle vendite all’incanto online e ad un risparmio del 20-25% rispetto al valore di mercato dell’immobile. Ovviamente non è tutto oro quello che brilla. Sicuramente l’acquisto di un immobile all’asta presenta innumerevoli vantaggi, ma bisogna anche affidarsi, soprattutto se non si ha esperienza, a figure professionali qualificate del settore che si sanno districarsi nella normativa e gestire la pratica in modo trasparente.
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Il concetto di multiproprietà, che era crollato molto fino ai tempi della pandemia, sembra tornato in auge, complici i prezzi folli del mattone nelle località turistiche più gettonate e i tassi dei mutui alle stelle.
Certo, sebbene nel 2022 l’interesse per questa forma di comunione immobiliare abbia visto un incremento del 35% rispetto al pre-pandemia (2019), va evidenziato però come gli immobili offerti in multiproprietà sul mercato siano aumentati del 340% nello stesso periodo, più che quadruplicati. In parole povere, l’offerta è molto più alta del solito. Il motivo? Più facile vendere una fetta di un immobile, piuttosto che una intera abitazione che oggi viene proposta a prezzi altissimi.
Certo, dando uno sguardo ai dati, bisogna ricordare che non esiste una correlazione diretta tra domanda e offerta, come avviene nell’immobiliare tradizionale. Come mai? Ogni immobile viene venduto a settimana, per cui in un anno può offrire una sistemazione a un massimo di 52 proprietari, uno ogni sette giorni. Così si capisce perché l’offerta sia tanto alta (superiore al 300%) e la domanda sia «solo» tra il 35 e il 40%. Vista l’offerta frazionata, insomma, la richiesta è alta.
In particolare, spiega una indagine di Immobilire.it Insights, nel 2020, anno del Covid, lo stock di immobili in multiproprietà è aumentato dell’83% rispetto all’anno precedente con un calo della domanda pari al 4%. Nello stesso periodo il «time to sell», inteso come tempo medio che impiega un annuncio di questo tipo a uscire dal mercato, è passato da 8,3 mesi a 13,4, un numero significativo se si pensa che quello del mercato tradizionale si attestava sui 5,5 mesi.
«La pandemia, e le conseguenti restrizioni, hanno sicuramente aumentato la nostra sensibilità nei confronti di spazi condivisi con estranei», commenta Carlo Giordano, membro del cda di Immobiliare.it. «Se prima la multiproprietà era vista come un modo per godere di una casa per le vacanze senza sobbarcarsi per intero l’onere dell’acquisto, la paura del Covid ha portato molti a riconsiderare l’opportunità usufruire di ambienti così intensamente vissuti da altri».
A partire dal 2021, poi, la domanda è tornata a crescere, segnando un +40% rispetto al 2019, e i tempi medi di vendita hanno cominciato a ridursi (11,4 mesi), anche se l’offerta ha continuato ad aumentare esponenzialmente, +329% sul pre-pandemia.
«Nell’immediato post-pandemia, il desiderio di evasione e la possibilità per molti di lavorare in spazi diversi dall’ufficio, combinato alla necessità di trovare una soluzione facilmente raggiungibile, ha comportato una rivalutazione dell’idea di seconda casa», continua Giordano. «Questo ha portato a guardare anche le proposte in multiproprietà, ma l’utilizzo dell’immobile per un periodo limitato nel tempo è stato giudicato insufficiente rispetto alle mutate esigenze di vita, portando al conseguente incremento degli stock offerti sul mercato».
Dove c’è più richiesta di multiproprietà? Olbia è la città con più offerta di multiproprietà: a fine 2022 vantava una quota di mercato nazionale pari all’8,3%. Guardando ai prezzi, a Porto Rotondo, nota e ambitissima meta vacanziera, per usufruire di un immobile di 50/60 metri quadri per due settimane in estate, le cifre si aggirano attorno ai 30.000 euro.
Segue Sestriere (5,9%) dove piccole soluzioni in multiproprietà hanno una cifra compresa tra i 5.000 e i 14.000 euro a seconda della dimensione dell’immobile e dell’appetibilità delle settimane proposte. Al terzo posto troviamo un’altra celebre località sciistica: Valtournenche (5,7%). Tra le prime posizioni, appena fuori dal podio, troviamo invece una città: Venezia ha una quota di mercato per la multiproprietà che supera di poco il 5%.
Se invece si guarda alle località più guardate da chi è alla ricerca di una multiproprietà, il primo gradino del podio è occupato da Padenghe sul Garda, sulla sponda bresciana del Lago di Garda, a seguire Porto Cervo e Cavalese, in Val di Fiemme.
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Christine Lagarde (Ansa)
- Si fermano i mutui e calano le compravendite. I notai: -8,7% a febbraio, male persino Milano. E nel primo quadrimestre -23,6% di richieste.
- Intanto i ministri dei Paesi Ue non trovano l’accordo sulla riforma del mercato elettrico. Pesa la spaccatura tra Francia e Germania. Berlino non vuole sussidi a centrali atomiche e miniere: «Va protetto il clima».
Lo speciale contiene due articoli.
Il continuo rialzo dei tassi di interesse da parte della Bce e la direttiva europea sulle case green stanno affossando il mercato immobiliare. Come spiega il Consiglio nazionale del notariato, infatti, nei primi quattro mesi dell’anno quello che si nota è un crollo generalizzato dei mutui: detto in parole povere, sono troppo cari e la spada di Damocle di dover mettere mano al portafoglio per rendere casa a zero emissioni sta spaventando gli investitori del mattone.
«È chiaro che il costo dei mutui in ascesa ne stia disincentivando la richiesta», spiega Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, «ma non è da sottovalutare, anche se in percentuale minore, l’effetto negativo che già si sta vedendo per quanto riguarda le norme Ue sulle case green», dice. «Sappiamo già che all’interno delle trattative, ad esempio, le banche prediligono per questo motivo proprio le case più efficienti sotto il profilo energetico. Certo, al momento non c’è ancora nulla di ufficiale, ma sappiamo bene che il mercato sta già scontando questa eventualità. Del resto, c’è tanta gente che non riesce a permettersi gli attuali tassi, ma sono in molti a domandarsi se sia il caso di investire nel mattone nel momento in cui la norma sulle case green dovesse diventare legge. Per questo è importante che il governo italiano, insieme a quello di altre Paesi, si faccia valere per evitare tutto questo. L’unica speranza è che la questione si avvicini talmente come tempistiche alle prossime elezioni europee da ritardare il tutto e riparlarne al prossimo giro. Ce lo auguriamo tutti».
In particolare, il Notariato ha presentato una prima ricognizione effettuata in nove grandi città italiane in merito a mutui, surroghe, compravendite di fabbricati abitativi. Le città in esame sono: Roma, Milano, Napoli, Bari, Bologna, Torino, Palermo, Verona, Firenze. Dal campione, in primis, emerge un crollo generalizzato dei mutui, mentre il «calo» delle compravendite di fabbricati abitativi è molto diversificato sul territorio: sebbene a livello nazionale il calo sia del 2,7%, province come Bari, Bologna, Torino e Palermo mostrano valori in controtendenza attestandosi a variazioni positive rispetto al primo bimestre 2022. A fronte dei dati positivi di Torino (+3,26%), Bologna (+2,88%), Bari (+1,14%) e Palermo (+2,11%), però, si registrano segni meno per città come Milano (-3,74%), Verona (-1,45%), Roma (-2,09%), Firenze (-5,28%), Napoli (-14,9%). In tutte le città prese in esame si registra comunque un calo delle compravendite nel mese di febbraio 2023, tranne a Torino dove le transazioni sono addirittura maggiori rispetto al mese di gennaio.
Nei primi quattro mesi dell’anno, per intenderci, sul fronte dei mutui c’è stato un calo medio del 23,56%, ben più alto rispetto al crollo delle transazioni immobiliari. Nonostante alcune province come Verona mostrino a gennaio 2023 una quasi stazionarietà della richiesta di mutui (-0,5%), tutte le città subiscono un calo a due cifre, che a Napoli in particolare è pari a più di un terzo rispetto al bimestre 2022 (-35,4%). Va segnalato inoltre che la fascia di età che ha subito la riduzione minore è quella di chi ha meno di 36 anni, probabilmente in considerazione delle agevolazioni fiscali in vigore fino a fine dicembre 2023 per l’acquisto della prima casa e l’estensione del fondo prima casa all’80% in scadenza il prossimo 30 giugno. Sul calo medio nazionale del numero delle persone fisiche che hanno contratto un mutuo pari a -21,15%, la fascia di età 18-35 anni si ferma a -19,3% rispetto al -20,11% degli under 45, -22,36% degli under 55 e -25,67% under 65 fino al picco del -33,3% della fascia 66-75 anni.
Il calo delle compravendite, invece, è partito a febbraio 2023. Come si nota dall’indagine del Notariato, nei primi due mesi del 2023 si è registrato in Italia un calo del 2,72% del numero delle compravendite di abitazioni rispetto allo stesso periodo del 2022. In realtà il calo si è manifestato nel mese di febbraio di quest’anno. Il primo mese dell’anno infatti ha segnato un aumento del 5,43% rispetto a gennaio del 2022. È quindi il calo delle compravendite dell’8,68% nel mese di febbraio a pesare sulla riduzione del 2,72% del bimestre.
Ma quello che spaventa sono le proiezioni di mercato per il 2023. Sulla base dello studio statistico a cura del Consiglio nazionale del notariato, ci si aspetta un calo del mercato del 10,7% rispetto al 2022. In dettaglio, il mercato che subirà la più forte riduzione è quello delle compravendite di prime case. Per il 2023 si immagina una riduzione nel 2023 del 17,1% per l’acquisto di prime case tra privati e del 16,1% di acquisto di prime case da impresa. Gli acquisti di seconde case, pur se in calo, dovrebbero attestarsi rispettivamente a un -2,5% di acquisti di seconde case tra privati e a un -7,7% di seconde case acquistate da impresa. In merito ai mutui, per il 2023ci si attende che porteranno al 4% il tasso da giugno a dicembre 2023, con un calo del numero dei finanziamenti del 10,1%.
Europa divisa su nucleare e carbone. La Corte Ue: sulle batterie falliremo
I ministri dell’Energia dell’Unione europea si sono riuniti ieri a Lussemburgo per approvare la riforma del mercato elettrico (Emd, Electricity Market Design). Ma quella che doveva essere una riunione tutto sommato tranquilla si è trasformata prima ancora di iniziare in un rodeo.
La proposta di Regolamento 2023/0077 (Cod) dovrebbe, nelle intenzioni, cercare di risolvere alcuni problemi che si sono verificati lo scorso anno, quando la volatilità dei prezzi a breve termine del gas si è riversata sulle bollette di imprese e famiglie provocando i disastri che tutti ricordano. L’idea, sulla carta, è di fornire maggiori informazioni e più scelta ai consumatori, maggiore stabilità di prezzo favorendo la stipula di contratti a lungo termine e stimolare gli investimenti in fonti rinnovabili.
La discussione di ieri prima si è allungata, poi è diventata scontro aperto e infine si è chiusa con un rinvio al prossimo Coreper, cioè a livello di ambasciatori. Nulla di fatto, insomma. Gli oggetti del contendere erano ben tre: l’applicazione dei contratti per differenza (Cfd), il mantenimento del capacity payment agli impianti a carbone e un tetto ai ricavi inframarginali.
Spieghiamo.
I Cfd sono contratti di lungo termine per grossi quantitativi tra i produttori di energia e le compagnie di vendita oppure grandi clienti consumatori. Viene fissato un prezzo che si confronta con il mercato spot giornaliero e ci si scambiano le differenze monetarie tra prezzo fisso contrattuale e prezzo spot. Nel Regolamento proposto, i produttori interessati dal meccanismo saranno i nuovi impianti a fonte rinnovabile, mentre l’acquirente è lo Stato membro, che comprando l’energia a prezzo fisso riconosce un sostegno diretto al produttore (di fatto si tratta di un incentivo). Le differenze positive incassate dallo Stato devono poi essere redistribuite ai consumatori.
La Francia, con non poca sfrontatezza, vorrebbe che questo meccanismo fosse esteso anche agli impianti nucleari esistenti. La Germania è fortemente contraria, così come i suoi satelliti, perché ciò scoraggerebbe gli investimenti nelle rinnovabili. Una proposta di mediazione che considerava i soli nuovi investimenti sul nucleare è stata respinta sdegnosamente dalla Francia.
Passando al secondo tema, il capacity payment agli impianti a carbone permette a questi di ricevere una remunerazione per restare pronti in ogni momento a produrre, nel caso in cui sia necessario al gestore di rete per evitare blackout. La Svezia, presidente di turno dell’Ue ancora per qualche giorno, ha presentato all’ultimo momento una proposta per favorire l’allungamento dei sussidi legati a questo meccanismo. La Polonia naturalmente è favorevole, ma si è scontrata subito con il secco no della Germania. Quest’ultima, assieme agli alleati di sempre, ha respinto l’idea perché «non compatibile con gli obiettivi di protezione del clima dell’Ue», come ha detto ai giornalisti il ministro dell’Economia e del clima Robert Habeck prima dell’inizio della riunione stessa. La Francia, interessata ai Cfd sul nucleare, tatticamente appoggia la posizione della Polonia sul carbone.
Infine, Portogallo e Spagna vorrebbero inserire strutturalmente un tetto ai ricavi delle rinnovabili nel caso in cui prezzi salissero oltre un certo livello, per impedire extramargini e abbassare il prezzo medio di sistema. Un meccanismo simile esiste già in Italia da oltre un anno, ma il nuovo regolamento lo allargherebbe a tutta l’Unione. Di questo pare si sia parlato poco, essendo gli altri due argomenti più pregnanti.
Al termine della lunga giornata di discussioni, facce scure e presa d’atto di profonde divisioni. L’accordo c’è sulla parte di testo che riguarda i diritti dei consumatori, ma non sui Cfd né sul capacity payment al carbone.
Venerdì scorso il Coreper aveva dato il via libera ad un altro pezzo Green deal, la nuova direttiva sulle fonti rinnovabili (Red III). L’accordo prevede di arrivare al 2030 con una quota del 42,5% di energia rinnovabile rispetto al totale del consumo finale di energia elettrica. Un altro obiettivo «ambizioso» si aggiunge alla collezione. L’approvazione della direttiva era stata bloccata dalla Francia, che chiedeva che anche l’idrogeno prodotto con fonte nucleare fosse considerato a basse emissioni di CO2, al pari di quello prodotto con fonti rinnovabili. La linea rossa tracciata dalla Francia ha portato a discussioni e malumori, sinché la Commissione proprio venerdì ha emesso una comunicazione nella quale «riconosce che altre fonti di energia senza combustibili fossili, oltre alle energie rinnovabili, contribuiscono al raggiungimento della neutralità climatica, per gli Stati membri che decidono di fare affidamento su tali fonti». Una frase involuta che salva il nucleare senza citarlo e che ha accontentato la Francia.
Intanto, la Corte dei Conti europea ha diffuso uno studio nel quale chiarisce che la rincorsa europea alle batterie rischia di diventare un flop epocale, data la dipendenza europea dall’estero per troppi materiali critici, indispensabili per queste tecnologie. Persino i grigi contabili con sede in Lussemburgo si sono accorti di quanto la politica industriale europea abbia il fiato corto. Vedremo se a Bruxelles qualcuno farà professione di realismo.
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