2019-02-20
Svolta a Londra: Roma trova la sponda per il 5G cinese contro Donald Trump
Il mondo anglosassone si smarca dal bando totale su Huawei e il governo si infila nella scia: gli Usa non portano investimenti.«Il fatto che gli Usa abbiano preso di mira Huawei non porterà alla rovina la compagnia di telecomunicazioni cinese», ha detto il fondatore e presidente della multinazionale Ren Zhengfei alla Bbc, aggiungendo che l'arresto di sua figlia in Canada, Meng Wanzhou, cfo della società, era spinto da motivi politici. «Non c'è modo che gli Stati Uniti ci schiaccino», ha aggiunto l'imprenditore all'emittente in un'intervista esclusiva. Secondo molte fonti gli Stati Uniti fanno pressioni sui loro alleati perché cessino di usare reti e strumenti della compagnia cinese; le preoccupazioni sono infatti che il governo cinese possa avere accesso a informazioni e dati sensibili. «Il mondo non può lasciarci perché siamo i più avanzati, anche se persuadono più Paesi a non usarci per un po' di tempo le cose possono sempre essere ridimensionate», ha detto Ren già consapevole che di lì a poco il National cyber security centre del Regno Unito avrebbe fatto sapere ai media che non c'è alcun bisogno di vietare le attrezzature 5G di Huawei nel Paese britannico. In pratica Londra avrebbe tutte le tecnologie per tracciare il lavoro dei cinese ed evitare fughe di dati. Almeno è quanto l'intelligence britannica sostiene. Stessa posizione ha assunto la Nuova Zelanda, piccola isola ma molto strategica per gestire l'intera Oceania. I vertici del governo di Wellington hanno dichiarato ieri che il bando Usa sulla tecnologia cinese è da considerarsi momentaneo. In pratica, il mondo anglosassone cambia strada e lascia Canada e Usa a combattere contro Pechino. Per Roma è un messaggio chiaro del liberi tutti. La nostra intelligence (soprattutto la cybersecurity) è storicamente legato a doppio filo con quella anglosassone e la sponda londinese aiuta i gialloblù a portare avanti trattative separate con i cinesi. Non a caso, nel colloquio che si è tenuto lunedì a Palazzo Chigi, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha riferito all'ambasciatore americano, Lewis Eisenberg di aver firmato, venerdì scorso, un decreto ministeriale con cui si istituisce una struttura presso il Mise per assicurare il controllo della sicurezza di tutti gli apparecchi, software ed operatori che operano nel settore delle comunicazioni. Quindi non solo Huawei, ma tutti gli altri software e hardware.Il faccia a faccia tra i due ha toccato sia il tema della cybersecurity sia la prossima visita del ministro negli Stati Uniti: la trasferta ci sarà a inizio aprile, durerà tre giorni, comprenderà le tappe di New York e Washington. Appare del tutto smentita la notizia secondo cui il governo era pronto a bannare dall'Italia Huawei e Zte, società delle telecomunicazioni cinesi, in vista dell'adozione della tecnologia 5G. Di Maio ha precisato al suo ospite che la gara per l'assegnazione delle frequenze 5G è già conclusa e che Huawei è tra l'altro protagonista in Italia nella sperimentazione 5G a Milano, Bari e Matera. «Non vedo Huawei come un problema, per me è solo uno dei 25 nomi di produttori di apparecchiature tra cui scegliere, con prezzi diversi e qualità diversa», ha detto il sottosegretario allo Sviluppo economico, Michele Geraci, commentando le pressioni Usa sul colosso cinese della telefonia. Nelle scorse settimane l'amministratore di una grande società di tlc tricolore sarebbe stato convocato dall'ambasciata Usa: obiettivo disincentivare l'uso di hardware Huawei. «La gente dice sempre Huawei sì o no, la vera domanda dovrebbe riguardare il fatto che i produttori stranieri di apparecchiature sono autorizzati ad accedere alla tua rete», ha sottolineato Geraci inviando un messaggio duplice. Se ci devono essere paletti, questi valgano pure per gli Usa. Una scelta che sarebbe altrettanto rivoluzionaria quanto l'amicizia con i cinesi. Paradossalmente l'insistere con l'asse tra Francia e Germania e la Brexit in corso sono eventi che rischiano di facilitarci. Londra ci spinge verso i cinesi. Da soli non avremmo in alcun modo la forza di opporci agli Usa su questo tema. D'altro canto Washington chiede restrizioni ma non mette dollari sul banco. E alla nostra economia come a quella inglese servono startegie di lungo respiro con finanziamenti importanti. Lo stesso stanno facendo Parigi e Berlino. Basti pensare che ieri i rispettivi ministri dell'Economia si sono incontrati per firmare un accordo congiunto sulla produzione di batterie elettriche. «La questione che ci si pone è se vogliamo essere sovrani o no», soprattutto in merito alla concorrenza industriale con la Cina, ha detto Bruno Le Maire. «Vogliamo costruire la nostra autonomia e poi comunicarlo alla Ue».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)