2021-02-04
SuperMario ritroverà subito la grana Mps
Quando lui era a Bankitalia, l’istituto realizzò la fallimentare acquisizione di Antonveneta. Ora va riprivatizzatoCome ex direttore generale del Tesoro (che aveva la Vigilanza sulle fondazioni bancarie), ex banchiere di Goldman Sachs, ex governatore di Bankitalia e infine ex presidente della Bce, Mario Draghi ha avuto un ruolo da protagonista negli ultimi 35 anni del sistema bancario, non solo italiano. Se diventerà presidente del Consiglio, tra i dossier roventi sul tavolo troverà anche quello del Monte dei Paschi. Che va salvato «whatever it takes», a ogni costo, per rispettare gli accordi presi nel 2017 con Bruxelles e Francoforte, dove lo stesso Draghi abitava fino al 2019. Le storie del Monte e quella del premier «incaricato» si sono, dunque, intrecciate spesso. Fu proprio Draghi, da governatore, ad autorizzare l’acquisto di Antonveneta nel novembre del 2007 e a monitorare da vicino l’istituto senese fino al suo passaggio sotto la Vigilanza europea. E ora, se prenderà il posto di Giuseppe Conte, toccherà a lui chiudere il cerchio. Proprio mentre la pandemia sta scatenando un nuovo tsunami di crediti deteriorati che complicherà qualsiasi fusione o acquisizione.Ma facciamo un passo indietro. E torniamo alla cosiddetta estate dei «furbetti», che nel 2005 travolse il panorama del credito dopo la doppia Opa tentata dagli spagnoli del Bbva su Bnl e dagli olandesi di Abn Amro su Antonveneta, osteggiata dall’allora governatore, Antonio Fazio, in nome dell’italianità del sistema, finita con l’arrivo di Draghi al piano nobile di Palazzo Koch. Che segnò l’inizio della prima stagione del risiko bancario: per non finire vittime degli spagnoli del Santander e i francesi dell’Agricole (altri transalpini, quelli di Bnp Paribas avevano conquistato da poco Bnl) il Sanpaolo e Banca Intesa si erano fuse creando la prima banca italiana. È l’agosto del 2006, subito dopo la spinta delle fusioni coinvolge le popolari e la Bpu si unisce alla Banca Lombarda, Bpvn alla Bpi reduce dall’era Fiorani. Ma soprattutto, a maggio 2007 si celebrano a Roma le nozze tra Unicredit e la Capitalia di Cesare Geronzi, che diventa la prima banca italiana la terza europea per capitalizzazione. Alessandro Profumo, appena reduce dall’acquisto della tedesca Hvb, rileva l’istituto romano. Poi arriva l’8 novembre del 2007 e i riflettori si accendono sul blitz dell’allora ad del Monte, Giuseppe Mussari, che compra Antonveneta dal Santander per 9 miliardi di euro. La mossa riceve subito applausi e benedizioni. Ma poi l’operazione finirà al centro di un’inchiesta giudiziaria e farà affiorare tutti i «grovigli armoniosi» tra finanza e politica diventando l’origine di tutti i mali da cui Mps si deve ancora riprendere. Quando Draghi diventa presidente della Bce il caso Siena viene usato dai suoi oppositori a Francoforte per metterlo in difficoltà. Nel febbraio del 2013, in occasione della consueta conferenza stampa che segue il board dell’Eurotower, decide di intervenire sul caso Montepaschi difendendo la «sua» Bankitalia: «Ho firmato io entrambe le ispezioni sul Montepaschi» e «una cosa che questa vicenda insegna è che più poteri all’Autorità di vigilanza avrebbero aiutato». In primis quello di rimuovere i manager che non garantiscono una sana gestione degli istituti. Come governatore di Bankitalia, Draghi ha sempre visto nella stabilità degli intermediari l’obiettivo prioritario della banca centrale. Ora potrebbe doverlo raggiungere anche come capo di un governo che è l’azionista principale dell’istituto di Rocca Salimbeni. Traghettandone l’uscita dal capitale nel rispetto delle disposizioni che lui stesso ha fissato come capo della Banca centrale europea. E agevolando la fusione del Monte con un nuovo partner privato entro la fine dell’anno. Chissà se lungo questo cammino Draghi incontrerà anche i futuri nuovi vertici di Unicredit, Andrea Orcel e Pier Carlo Padoan. «Incaricati» come lui. E come lui, con un passato legato a quello di Siena. Fu Orcel, quando ancora era presidente della divisione «global markets & investment banking» nella sede londinese di Merrill Lynch, il regista dello spezzatino di Abn Amro che consegnò la banca padovana al Santander e poi nel 2007 al Monte. Di cui un mese dopo, a dicembre 2007, Merrill diventò joint global coordinator dell’operazione di finanziamento collegata al blitz sulla banca veneta. Mussari trattò, attraverso Orcel, con Emilio Botin, grande capo del Santander che aveva bisogno di denaro per acquisire con Royal Bank Scotland e Fortis l’olandese Abn Amro. Così Botin vendette a Mussari per 9 miliardi più 7 miliardi di debiti quell’Antonveneta che solo quattro settimane prima aveva comprato proprio da Abn Amro per 6,6 miliardi. Quanto a Padoan, sotto di lui il Mef ha preso il controllo di Rocca Salimbeni con la ricapitalizzazione precauzionale e l’istituto è diventato il «Monte di Stato». Corsi e ricorsi della storia. Con cui Draghi potrebbe finalmente chiudere i conti.
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