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2019-07-04
Il Pd invoca la censura sull’orrore dei bimbi
Ansa
Sembra quasi che l'inchiesta «Angeli e demoni» sugli affidi illeciti e gli abusi su minori di Bibbiano e dei Comuni limitrofi non esista. Martedì è uscita la notizia che, alla già lunga lista degli indagati, se ne sono aggiunti altri due, entrambi ex sindaci del Pd. In totale, le persone coinvolte nell'inchiesta sono 29, tra cui il primo cittadino di Bibbiano (anche lui del Partito democratico). Eppure, sui giornali italiani di tutto questo ieri non compariva nemmeno l'ombra. Giusto un trafiletto sul Corriere della Sera (a pagina 18, e senza la notizia degli indagati). Niente sulla Stampa. Niente nemmeno su Repubblica, a parte la rubrichina delle lettere di Concita De Gregorio dedicata a due genitori che invitavano a non demonizzare tutto il sistema dell'affido. Una coltre di silenzio impressionante. Certo, si tratta di indagini e arresti, non di condanne. Però, per l'ennesima volta, si ripropone il solito schema: se gli indagati e i fermati fossero stati della Lega, di Fratelli d'Italia, di Casapound, di Forza Italia eccetera, quante paginate avrebbero dedicato alla vicenda tutti gli autorevoli quotidiani? Sì, sarà pure un ragionamento becero e populista, ma descrive perfettamente la realtà italiana.
Nel Reggiano è stato scoperchiato un sistema che fa orrore, persino a prescindere dai reati. Mettiamo anche che tutti i protagonisti siano innocenti, quello che emerge è un mondo limaccioso, intriso di ideologia, dominato da pochi, sempre gli stessi.
Ma, poiché ci sono di mezzo i progressisti e poiché si lambisce il mondo Lgbt, ecco che l'intero baraccone passa in secondo piano. Al massimo, viene liquidato come un brutto caso di cronaca, quasi che la politica non c'entrasse nulla. E invece c'entra eccome. Perché il «modello Val d'Enza» è stato sostenuto, foraggiato, promosso e celebrato dagli amministratori del Pd. L'area culturale e politica di riferimento di tutti i protagonisti era quella progressista.
Capiamoci bene. Ciò non significa che il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, attualmente ai domiciliari, sia accusato di abusi sui bambini. Infatti nessuno, sui giornali, ha osato scrivere una cosa del genere su di lui o sui suoi ex colleghi amministratori.
Il Pd, tuttavia, sta un po' giocando con l'equivoco. Da quando la vicenda è esplosa, i dirigenti locali e nazionali del partito esibiscono indignazione, si comportano come se fossero ingiustamente accusati di violenze su minori. Da un lato tentano di scaricare le responsabilità politiche, dall'altro si atteggiano a vittime degli odiatori del Web.
E, sfruttando alcuni attacchi scomposti (ad esempio l'utilizzo dell'hashtag #pdfili) giunti per via telematica, tentano di silenziare definitivamente una storia già poco trattata dagli organi di informazione. Giusto ieri, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha fatto sapere di essere pronto a perseguire legalmente chiunque osi tirare in ballo il suo partito per il caso Bibbiano. «Adesso basta», ha scritto su Twitter. «Gli attacchi al Pd sul Web stanno diventando diffamazione. Per questo un team di avvocati è al lavoro per avviare azioni legali, fossero anche 100 al giorno». Poi ha invitato i suoi a darsi da fare: «È tempo di reagire con forza, segnalateci tutto quello che vedete in Rete».
Repubblica fa sapere che c'è «un pool di legali all'attacco per difendere l'immagine del Pd. Una squadra di avvocati ha avviato infatti azioni legali a tutela del partito e della sua comunità, infangati da numerosi attacchi perpetrati sui social allo scopo di creare un'equazione tra i casi di cronaca di Bibbiano e le polemiche sui migranti seguite al caso Sea Watch».
Quindi, fateci capire. Se uno sostiene che Graziano Delrio avrebbe fatto meglio a precipitarsi nella sua Reggio Emilia per occuparsi degli affidi illeciti piuttosto che recarsi a bordo della Sea Watch è un diffamatore che merita di essere zittito dagli avvocati?
«Non si tratta più di un attacco basato su critiche politiche», dice il «team social» del Pd, «ma di una campagna diffamatoria orchestrata per scatenare un'ondata di violenza». Dietro ci sarebbero sovranisti, leghisti, fascisti. Il dem Francesco Boccia annuncia un'interrogazione parlamentare, Matteo Renzi ne approfitta per rilanciare la sua iniziativa «contro le fake news» del 12 luglio. Tutti alzano un bel polverone, insomma. Così, tra un Tweet e l'altro, le acque si confondono, e uno scandalo che tocca nel profondo i democratici emiliani passa in secondo piano. Con la complicità dei media asserviti, come sempre.
Bonafede manda gli ispettori al tribunale dei minori. Interrogato il sindaco dem

Ansa
C'era stata una segnalazione sulla torbida gestione dei fondi per i servizi sociali del Comune di Bibbiano scoperchiata poi dalla Procura di Reggio Emilia con l'inchiesta che hanno ribattezzato «Angeli e demoni». La ex comandante della polizia municipale della Val d'Enza, Cristina Caggiati, hanno ricostruito gli investigatori, aveva subodorato qualcosa e aveva portato quelle «irregolarità» all'attenzione del sindaco dem finito ai domiciliari Andrea Carletti, accusato di falso e abuso d'ufficio. Cosa che, a sentire un testimone, l'ex vicecomandante della polizia municipale, Tito Fabbiani, «irritò il sindaco». Fabbiani, stando al documento giudiziario che richiama le sommarie informazioni testimoniali rilasciate ai carabinieri, lo descrive come un personaggio «particolarmente potente». Fabbiani e Caggiati sono poi stati licenziati (dopo essere stati sospesi) perché finiti in un'altra inchiesta giudiziaria e ora sono sotto processo. Quella comunicazione, però, finì nel cestino. Un atteggiamento che per il giudice «è segno di una chiara volontà di tenere coperti movimenti di fondi poco chiari, consentendo volutamente il permanere di situazioni di opacità funzionali alle attività illecite perseguite dai correi». E, addirittura, sostiene l'accusa, appena avuta notizia delle indagini, «si è attivato per fornire successiva copertura all'attività svolta dai coniugi strizzacervelli per minori Nadia Bolognini e Claudio Foti (ieri erano in programma i loro interrogatorio di garanzia).
Nelle comunicazioni pubbliche e finanche in un'audizione alla Commissione infanzia della Camera dei deputati il sindaco aveva fatto intendere che quella tra il Comune di Bibbiano e la onlus Hansel e Gretel di Moncalieri fosse una mera collaborazione scientifica a titolo gratuito. Pur di proteggere il sistema, il sindaco dem Carletti avrebbe «omesso di indicare il costo della collaborazione». Ma, soprattutto, avrebbe nascosto le modalità della corresponsione dei compensi. Perché, secondo l'accusa, erano «illegittime». La «copertura politica», così la definisce il giudice per le indagini preliminari che l'ha privato della libertà (il sindaco è agli arresti domiciliari), era arrivata in alto.
A leggere gli atti, quella di Carletti non sarebbe stata solo una «omissione di controllo sull'attività dell'amministrazione» ma, stando all'ordinanza di custodia cautelare, «si adoperava per consentire la prosecuzione dell'attività, ottenendo anche un notevole ritorno d'immagine, oltre che un incremento dei fondi a disposizione». Insomma, Carletti, secondo l'accusa, non aveva che da guadagnarci. Il suo avvocato, all'uscita dall'interrogatorio di garanzia, ha detto ai cronisti che il sindaco ha fornito «importantissimi chiarimenti per quella che è la sua posizione e ha rappresentato in pieno la sua perfetta buona fede e l'assoluta serenità in coscienza».
L'interrogatorio è durato un paio d'ore. E al termine, l'avvocato Giovanni Tarquini ha chiesto al gip la revoca della misura cautelare. Oltre al primo cittadino, sono sfilate davanti al gip Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, coppia omosessuale affidataria di una minore, indagate per maltrattamenti in famiglia, per aver denigrato, sistematicamente, tra giugno 2016 e dicembre 2018, i veri genitori della piccola, calcato la mano sui sensi di colpa della bambina e per averle inculcato la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata dalla famiglia d'origine. Le due si sono avvalse della facoltà di non rispondere. Come Marietta Veltri, responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza e seconda solo alla dirigente Federica Anghinolfi. Anche lei ha fatto scena muta.
E mentre l'inchiesta è concentrata proprio sulla gestione dei servizi sociali, il ministro della Gustizia, Alfonso Bonafede, ha mandato i suoi ispettori al Tribunale per i minori di Bologna. Bonafede lo ha riferito rispondendo a un'interrogazione della deputata reggiana di Forza Italia, Benedetta Fiorini, definendo «inquietante» la «rete criminosa ordita in danno a malcapitati minorenni, sottoposti a veri e propri trattamenti coattivi, facendo finanche ricorso a dispositivi ad impulsi elettromagnetici». Tuttavia, prosegue il ministro, «le questioni sollevate investono solo in parte lo spettro delle competenze del ministero». In concreto i magistrati ricevono periodicamente relazioni sulla situazione dei minori dati in affidamento. Le competenze del ministero sono quelle di verificare che i magistrati facciano il loro lavoro come si deve.
E, proprio per verificare dove si erano inceppati i meccanismi, ha mandato i suoi ispettori. «Quello che possiamo fare», aggiunge Bonafede, «e che stiamo già ipotizzando è incrociare tutti i dati che arrivano dai diversi uffici giudiziari per verificare in maniera più stringente l'andamento delle situazione degli affidi di minori nei territori e individuare prima e meglio le criticità». E alla fine ha annunciato: «In qualsiasi aula giudiziaria verrà accertata l'esistenza di un abuso su un minore, posso garantire che non ci sarà nessuno sconto da parte della giustizia, che sarà inflessibile». Nel frattempo, però, cinque dei sette indagati convocati finora dal gip si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E, come sottolineato dal Secolo d'Italia, «si è alzato un muro d'omertà».
Così spingevano le attiviste Lgbt
Al di là delle indagini e degli eventuali reati commessi dai singoli protagonisti dell'inchiesta «Angeli e demoni», risulta evidente la potente connotazione ideologica del «sistema Val d'Enza». Soprattutto, saltano all'occhio le tinte arcobaleno di questa ideologia. Per rendersene conto, basta dare un'occhiata alla storia di una delle indagate, Fadia Bassmaji. Costei è l'ex compagna di Federica Anghinolfi, attivista Lgbt e responsabile dei servizi sociali del territorio in provincia di Reggio Emilia.
La Bassmaji, assieme alla sua attuale compagna Daniela Bedogni (con cui è unita civilmente) aveva ottenuto in affidamento una bambina, la piccola Katia, che ora è stata tolta alla coppia per maltrattamenti. Le due donne avrebbero pure tentato di inculcare nella piccola «la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata presso la famiglia di origine». Proprio come la Anghinolfi, anche la Bassmaji era - scrive il giudice reggiano - «assai attiva» nel mondo arcobaleno. In particolare, si dedicava alla promozione dell'affido a coppie Lgbt, molto spesso all'interno di eventi sponsorizzati o comunque sostenuti dalle amministrazioni rosse.
Nel maggio del 2018, per esempio, la Bassmaji partecipò, a Mantova, al convegno «Affidarsi, uno sguardo accogliente verso l'affido Lgbt», iniziativa promossa dal Comune e dalla Provincia. Per promuovere il progetto «Affidarsi», la nostra realizzò anche una serie di video che sono facilmente rintracciabili sulla Rete. Del resto, questo è il mestiere di Fadia: fa la regista. Nel 2015 ha fondato l'associazione culturale «Sinonimia TeatroCultura-Bellezza», che si occupa di produrre spettacoli teatrali e di organizzare convegni. Come prevedibile si tratta per lo più di eventi impegnati sul fronte femminista-Lgbt.
Scorrendo il curriculum dell'associazione, si nota che la Bassmaji ha lavorato tantissimo con le amministrazioni pubbliche rosse. «Nel novembre 2016 la Regione Emilia Romagna - assessorato Pari opportunità commissiona a Fadia Bassmaji la performance Attesa Intermittente sul tema della violenza sulle donne in gravidanza»; «nel 2016 inizia un nuovo progetto in collaborazione con la Regione Emilia Romagna per la regia di un convegno sul tema della violenza e abuso su minori». Sempre nel 2016 è partner del Comune di Reggio Emilia e di altri Comuni della provincia.
Insomma, Fadia era ben inserita: collaborava con la Regione, vari Comuni, con l'Ausl di Reggio Emilia, con i teatri reggiani e, manco a dirlo, con i servizi sociali Val d'Enza della sua ex Anghinolfi. Nel 2017, la Bassmaji ha persino fatto lezione all'Università di Reggio Emilia, nel corso di Scienze e tecniche Psicologiche. Si trattava di un progetto messo in piedi dall'Arcigay, che lo definiva «uno dei primi esempi in Italia in cui l'associazione entra ufficialmente in un corso universitario». In quel frangente, era previsto un intervento di Fadia proprio sull'affido Lgbt.
Uno degli eventi più recenti a cui la signora ha partecipato è il convegno «Affido e adozioni nel mondo Lgbt», andato in scena al Cassero di Bologna il 13 giugno scorso. E qui si nota un particolare interessante. Quando la Bassmaji ha pubblicato su Facebook la notizia dell'evento, qualcuno sotto ha commentato: «Ottima iniziativa da replicare a Reggio Emilia». L'idea è molto piaciuta a Roberta Mori, esponente del Pd, che ha commentato pubblicando un grosso cuore arcobaleno.
Il nome della Mori compare spesso in relazione alla Anghinolfi e alla Bassmaji. In qualità di presidente della Commissione parità dell'Emilia Romagna, fu proprio l'esponente piddina a invitare, nel 2015, la responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza (che fu presentata come un modello dai dem). Nel settembre 2016, la Mori partecipò all'inaugurazione del centro «La Cura», uno dei luoghi cardine dell'attuale inchiesta sugli affidi. Nel 2017, invece, la signora è stata nominata dal governatore emiliano Stefano Bonaccini rappresentante della Regione nella «Rete nazionale Ready di coordinamento e sostegno delle politiche antidiscriminatorie, per il rispetto del genere e dell'orientamento sessuale». D'altra parte, la Mori è anche relatrice della legge regionale sull'omotransfobia che verrà votata nei prossimi giorni.
Almeno a livello ideologico, la vicinanza tra gli esponenti Pd e alcune protagoniste dell'inchiesta è piuttosto evidente. Salta all'occhio, un po' come il bel cuore rainbow che Roberta Mori ha messo sotto il post di Fadia Bassmaji su Facebook.
L’Emilia Romagna torna alla carica con la legge bavaglio sull’omofobia
L'inchiesta «Angeli e Demoni» e il relativo scandalo della gestione dei servizi sociali dei Comuni della Val d'Enza potrebbero avere non poche ripercussioni sul controverso disegno di legge regionale sull'omotransnegatività che nei mesi scorsi ha provocato laceranti divisioni nel Partito democratico e nella maggioranza di centrosinistra che guida la Regione Emilia Romagna.
L'unione della Val D'Enza riunisce infatti sette Comuni della provincia di Reggio Emilia, territorio che da sempre rappresenta uno dei laboratori più avanzati delle politiche pro Lgbt. Reggio è stata una delle prime città ad aderire alla Rete Ready (istituzioni che promuovono misure gay friendly) e nel maggio del 2017, il Comune, la Provincia, il tribunale, gli istituti penali, l'università e la Asl di Reggio Emilia hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per un tavolo inter-istituzionale per il contrasto all'omotrasnegatività. Viene inoltre dalla provincia di Reggio Emilia - dove risiede ancora come scritto sul suo sito Web - la presidente della Commissione pari ppportunità della Regione, Roberta Mori, la quale è relatrice del suddetto ddl regionale sull'omotransnegatività e che nel 2015 ascoltò in Commissione il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, finito ai domiciliari, e alcuni operatori dei servizi sociali della Val d'Enza tra cui Federica Anghinolfi.
Anche le interazioni su facebook della Mori mostrano un acceso sostegno alla galassia emiliana Lgbt. Ovviamente parliamo di azioni che agiscono all'interno della legalità e nessuno può mettere in discussione la buona fede della consigliera dem, tuttavia non è un mistero che l'humus culturale di certi ambienti favorevoli all'omogenitorialità sia condiviso anche da una parte della dirigenza emiliana del Pd.
Ulteriori perplessità su un testo di legge che vada a punire reati di opinione sono offerti anche dalla testimonianza, raccolta dal Giornale, di uno dei padri vittime dei servizi sociali al centro della bufera. Secondo l'uomo - intervistato in anonimato - fu mossa contro di lui l'accusa di omofobia per poi arrivare a toglierli i bambini e affidarli alla madre che, dopo essere andata via di casa, viveva con la sua nuova compagna.
Sebbene si parli di scenari ancora tutti da dimostrare da parte degli inquirenti, fonti interne alla Regione riferiscono di una clima di generale imbarazzo e di grossa resistenza alla legge. Ricordiamo che lo scorso aprile il testo è stato sul punto di saltare, quando 9 consiglieri cattolici dem della maggioranza hanno presentato un emendamento al ddl, con lo scopo dichiarato di escludere da sostegni e finanziamenti le associazioni che promuovano in qualche modo, oltre a violenze e discriminazioni di genere, anche l'utero in affitto.
Su pressione dei gruppi Lgbt e di esponenti della maggioranza esterni al Pd venne meno l'accordo nella coalizione di governo di far passare una legge che finanziasse progetti per combattere l'omofobia a patto che questi fondi non finissero ad alimentare le organizzazioni che promuovono il turismo riproduttivo. Il testo ora torna in aula non a seguito di una decisione collegiale ma per via di una forzatura operata dai sostenitori della legge che sanno bene che la situazione è tutt'altro che chiarita all'interno del Pd. Il dibattito rischia infatti di assestare un nuovo colpo sulla maggioranza, visto che i 9 consiglieri dem di area moderata non intendono retrocedere sulla condanna alla maternità surrogata, mentre l'ala più radicale del partito non sembra voler aprire alcuna trattativa per emendare il testo originale e i gruppi Lgbt bolognesi già annunciano presidi davanti all'assemblea regionale.
Intanto i dissidenti cattodem fanno notare che anche nei manifesti dei recenti pride emiliani tra le rivendicazioni appariva la regolamentazione della gestazione per altri. Dopo tutto su alcuni cartelli dei manifestati sono apparsi slogan come «l'utero è mio e me l'ho affitto io».
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Anche se i media compiacenti tacciono, il partito attiva un pool di professionisti per intraprendere azioni legali contro chi parla in Rete dello scandalo Bibbiano. Nicola Zingaretti ai suoi: «Segnalateci tutto».Verifiche in corso a Bologna e alla Procura di Reggio Emilia. Il primo cittadino di Bibbiano chiede la revoca dei domiciliari. Ben 5 indagati rifiutano di rispondere.Fadia Bassmaji, indagata ed ex compagna dell'assistente sociale arrestata, teneva lezioni all'ateneo reggiano e lavorava con i Comuni. Con il sostegno della piddina Roberta Mori.La settimana prossima in Emilia Romagna il voto sulla proposta che aveva diviso persino la sinistra.Lo speciale contiene quattro articoli.Sembra quasi che l'inchiesta «Angeli e demoni» sugli affidi illeciti e gli abusi su minori di Bibbiano e dei Comuni limitrofi non esista. Martedì è uscita la notizia che, alla già lunga lista degli indagati, se ne sono aggiunti altri due, entrambi ex sindaci del Pd. In totale, le persone coinvolte nell'inchiesta sono 29, tra cui il primo cittadino di Bibbiano (anche lui del Partito democratico). Eppure, sui giornali italiani di tutto questo ieri non compariva nemmeno l'ombra. Giusto un trafiletto sul Corriere della Sera (a pagina 18, e senza la notizia degli indagati). Niente sulla Stampa. Niente nemmeno su Repubblica, a parte la rubrichina delle lettere di Concita De Gregorio dedicata a due genitori che invitavano a non demonizzare tutto il sistema dell'affido. Una coltre di silenzio impressionante. Certo, si tratta di indagini e arresti, non di condanne. Però, per l'ennesima volta, si ripropone il solito schema: se gli indagati e i fermati fossero stati della Lega, di Fratelli d'Italia, di Casapound, di Forza Italia eccetera, quante paginate avrebbero dedicato alla vicenda tutti gli autorevoli quotidiani? Sì, sarà pure un ragionamento becero e populista, ma descrive perfettamente la realtà italiana. Nel Reggiano è stato scoperchiato un sistema che fa orrore, persino a prescindere dai reati. Mettiamo anche che tutti i protagonisti siano innocenti, quello che emerge è un mondo limaccioso, intriso di ideologia, dominato da pochi, sempre gli stessi. Ma, poiché ci sono di mezzo i progressisti e poiché si lambisce il mondo Lgbt, ecco che l'intero baraccone passa in secondo piano. Al massimo, viene liquidato come un brutto caso di cronaca, quasi che la politica non c'entrasse nulla. E invece c'entra eccome. Perché il «modello Val d'Enza» è stato sostenuto, foraggiato, promosso e celebrato dagli amministratori del Pd. L'area culturale e politica di riferimento di tutti i protagonisti era quella progressista. Capiamoci bene. Ciò non significa che il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, attualmente ai domiciliari, sia accusato di abusi sui bambini. Infatti nessuno, sui giornali, ha osato scrivere una cosa del genere su di lui o sui suoi ex colleghi amministratori. Il Pd, tuttavia, sta un po' giocando con l'equivoco. Da quando la vicenda è esplosa, i dirigenti locali e nazionali del partito esibiscono indignazione, si comportano come se fossero ingiustamente accusati di violenze su minori. Da un lato tentano di scaricare le responsabilità politiche, dall'altro si atteggiano a vittime degli odiatori del Web. E, sfruttando alcuni attacchi scomposti (ad esempio l'utilizzo dell'hashtag #pdfili) giunti per via telematica, tentano di silenziare definitivamente una storia già poco trattata dagli organi di informazione. Giusto ieri, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha fatto sapere di essere pronto a perseguire legalmente chiunque osi tirare in ballo il suo partito per il caso Bibbiano. «Adesso basta», ha scritto su Twitter. «Gli attacchi al Pd sul Web stanno diventando diffamazione. Per questo un team di avvocati è al lavoro per avviare azioni legali, fossero anche 100 al giorno». Poi ha invitato i suoi a darsi da fare: «È tempo di reagire con forza, segnalateci tutto quello che vedete in Rete».Repubblica fa sapere che c'è «un pool di legali all'attacco per difendere l'immagine del Pd. Una squadra di avvocati ha avviato infatti azioni legali a tutela del partito e della sua comunità, infangati da numerosi attacchi perpetrati sui social allo scopo di creare un'equazione tra i casi di cronaca di Bibbiano e le polemiche sui migranti seguite al caso Sea Watch».Quindi, fateci capire. Se uno sostiene che Graziano Delrio avrebbe fatto meglio a precipitarsi nella sua Reggio Emilia per occuparsi degli affidi illeciti piuttosto che recarsi a bordo della Sea Watch è un diffamatore che merita di essere zittito dagli avvocati?«Non si tratta più di un attacco basato su critiche politiche», dice il «team social» del Pd, «ma di una campagna diffamatoria orchestrata per scatenare un'ondata di violenza». Dietro ci sarebbero sovranisti, leghisti, fascisti. Il dem Francesco Boccia annuncia un'interrogazione parlamentare, Matteo Renzi ne approfitta per rilanciare la sua iniziativa «contro le fake news» del 12 luglio. Tutti alzano un bel polverone, insomma. Così, tra un Tweet e l'altro, le acque si confondono, e uno scandalo che tocca nel profondo i democratici emiliani passa in secondo piano. Con la complicità dei media asserviti, come sempre. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sullinchiesta-una-cortina-di-silenzio-e-il-pd-sguinzaglia-pure-gli-avvocati-2639077202.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bonafede-manda-gli-ispettori-al-tribunale-dei-minori-interrogato-il-sindaco-dem" data-post-id="2639077202" data-published-at="1766935877" data-use-pagination="False"> Bonafede manda gli ispettori al tribunale dei minori. Interrogato il sindaco dem Ansa C'era stata una segnalazione sulla torbida gestione dei fondi per i servizi sociali del Comune di Bibbiano scoperchiata poi dalla Procura di Reggio Emilia con l'inchiesta che hanno ribattezzato «Angeli e demoni». La ex comandante della polizia municipale della Val d'Enza, Cristina Caggiati, hanno ricostruito gli investigatori, aveva subodorato qualcosa e aveva portato quelle «irregolarità» all'attenzione del sindaco dem finito ai domiciliari Andrea Carletti, accusato di falso e abuso d'ufficio. Cosa che, a sentire un testimone, l'ex vicecomandante della polizia municipale, Tito Fabbiani, «irritò il sindaco». Fabbiani, stando al documento giudiziario che richiama le sommarie informazioni testimoniali rilasciate ai carabinieri, lo descrive come un personaggio «particolarmente potente». Fabbiani e Caggiati sono poi stati licenziati (dopo essere stati sospesi) perché finiti in un'altra inchiesta giudiziaria e ora sono sotto processo. Quella comunicazione, però, finì nel cestino. Un atteggiamento che per il giudice «è segno di una chiara volontà di tenere coperti movimenti di fondi poco chiari, consentendo volutamente il permanere di situazioni di opacità funzionali alle attività illecite perseguite dai correi». E, addirittura, sostiene l'accusa, appena avuta notizia delle indagini, «si è attivato per fornire successiva copertura all'attività svolta dai coniugi strizzacervelli per minori Nadia Bolognini e Claudio Foti (ieri erano in programma i loro interrogatorio di garanzia). Nelle comunicazioni pubbliche e finanche in un'audizione alla Commissione infanzia della Camera dei deputati il sindaco aveva fatto intendere che quella tra il Comune di Bibbiano e la onlus Hansel e Gretel di Moncalieri fosse una mera collaborazione scientifica a titolo gratuito. Pur di proteggere il sistema, il sindaco dem Carletti avrebbe «omesso di indicare il costo della collaborazione». Ma, soprattutto, avrebbe nascosto le modalità della corresponsione dei compensi. Perché, secondo l'accusa, erano «illegittime». La «copertura politica», così la definisce il giudice per le indagini preliminari che l'ha privato della libertà (il sindaco è agli arresti domiciliari), era arrivata in alto. A leggere gli atti, quella di Carletti non sarebbe stata solo una «omissione di controllo sull'attività dell'amministrazione» ma, stando all'ordinanza di custodia cautelare, «si adoperava per consentire la prosecuzione dell'attività, ottenendo anche un notevole ritorno d'immagine, oltre che un incremento dei fondi a disposizione». Insomma, Carletti, secondo l'accusa, non aveva che da guadagnarci. Il suo avvocato, all'uscita dall'interrogatorio di garanzia, ha detto ai cronisti che il sindaco ha fornito «importantissimi chiarimenti per quella che è la sua posizione e ha rappresentato in pieno la sua perfetta buona fede e l'assoluta serenità in coscienza». L'interrogatorio è durato un paio d'ore. E al termine, l'avvocato Giovanni Tarquini ha chiesto al gip la revoca della misura cautelare. Oltre al primo cittadino, sono sfilate davanti al gip Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, coppia omosessuale affidataria di una minore, indagate per maltrattamenti in famiglia, per aver denigrato, sistematicamente, tra giugno 2016 e dicembre 2018, i veri genitori della piccola, calcato la mano sui sensi di colpa della bambina e per averle inculcato la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata dalla famiglia d'origine. Le due si sono avvalse della facoltà di non rispondere. Come Marietta Veltri, responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza e seconda solo alla dirigente Federica Anghinolfi. Anche lei ha fatto scena muta. E mentre l'inchiesta è concentrata proprio sulla gestione dei servizi sociali, il ministro della Gustizia, Alfonso Bonafede, ha mandato i suoi ispettori al Tribunale per i minori di Bologna. Bonafede lo ha riferito rispondendo a un'interrogazione della deputata reggiana di Forza Italia, Benedetta Fiorini, definendo «inquietante» la «rete criminosa ordita in danno a malcapitati minorenni, sottoposti a veri e propri trattamenti coattivi, facendo finanche ricorso a dispositivi ad impulsi elettromagnetici». Tuttavia, prosegue il ministro, «le questioni sollevate investono solo in parte lo spettro delle competenze del ministero». In concreto i magistrati ricevono periodicamente relazioni sulla situazione dei minori dati in affidamento. Le competenze del ministero sono quelle di verificare che i magistrati facciano il loro lavoro come si deve. E, proprio per verificare dove si erano inceppati i meccanismi, ha mandato i suoi ispettori. «Quello che possiamo fare», aggiunge Bonafede, «e che stiamo già ipotizzando è incrociare tutti i dati che arrivano dai diversi uffici giudiziari per verificare in maniera più stringente l'andamento delle situazione degli affidi di minori nei territori e individuare prima e meglio le criticità». E alla fine ha annunciato: «In qualsiasi aula giudiziaria verrà accertata l'esistenza di un abuso su un minore, posso garantire che non ci sarà nessuno sconto da parte della giustizia, che sarà inflessibile». Nel frattempo, però, cinque dei sette indagati convocati finora dal gip si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E, come sottolineato dal Secolo d'Italia, «si è alzato un muro d'omertà». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sullinchiesta-una-cortina-di-silenzio-e-il-pd-sguinzaglia-pure-gli-avvocati-2639077202.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="cosi-spingevano-le-attiviste-lgbt" data-post-id="2639077202" data-published-at="1766935877" data-use-pagination="False"> Così spingevano le attiviste Lgbt Al di là delle indagini e degli eventuali reati commessi dai singoli protagonisti dell'inchiesta «Angeli e demoni», risulta evidente la potente connotazione ideologica del «sistema Val d'Enza». Soprattutto, saltano all'occhio le tinte arcobaleno di questa ideologia. Per rendersene conto, basta dare un'occhiata alla storia di una delle indagate, Fadia Bassmaji. Costei è l'ex compagna di Federica Anghinolfi, attivista Lgbt e responsabile dei servizi sociali del territorio in provincia di Reggio Emilia. La Bassmaji, assieme alla sua attuale compagna Daniela Bedogni (con cui è unita civilmente) aveva ottenuto in affidamento una bambina, la piccola Katia, che ora è stata tolta alla coppia per maltrattamenti. Le due donne avrebbero pure tentato di inculcare nella piccola «la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata presso la famiglia di origine». Proprio come la Anghinolfi, anche la Bassmaji era - scrive il giudice reggiano - «assai attiva» nel mondo arcobaleno. In particolare, si dedicava alla promozione dell'affido a coppie Lgbt, molto spesso all'interno di eventi sponsorizzati o comunque sostenuti dalle amministrazioni rosse. Nel maggio del 2018, per esempio, la Bassmaji partecipò, a Mantova, al convegno «Affidarsi, uno sguardo accogliente verso l'affido Lgbt», iniziativa promossa dal Comune e dalla Provincia. Per promuovere il progetto «Affidarsi», la nostra realizzò anche una serie di video che sono facilmente rintracciabili sulla Rete. Del resto, questo è il mestiere di Fadia: fa la regista. Nel 2015 ha fondato l'associazione culturale «Sinonimia TeatroCultura-Bellezza», che si occupa di produrre spettacoli teatrali e di organizzare convegni. Come prevedibile si tratta per lo più di eventi impegnati sul fronte femminista-Lgbt. Scorrendo il curriculum dell'associazione, si nota che la Bassmaji ha lavorato tantissimo con le amministrazioni pubbliche rosse. «Nel novembre 2016 la Regione Emilia Romagna - assessorato Pari opportunità commissiona a Fadia Bassmaji la performance Attesa Intermittente sul tema della violenza sulle donne in gravidanza»; «nel 2016 inizia un nuovo progetto in collaborazione con la Regione Emilia Romagna per la regia di un convegno sul tema della violenza e abuso su minori». Sempre nel 2016 è partner del Comune di Reggio Emilia e di altri Comuni della provincia. Insomma, Fadia era ben inserita: collaborava con la Regione, vari Comuni, con l'Ausl di Reggio Emilia, con i teatri reggiani e, manco a dirlo, con i servizi sociali Val d'Enza della sua ex Anghinolfi. Nel 2017, la Bassmaji ha persino fatto lezione all'Università di Reggio Emilia, nel corso di Scienze e tecniche Psicologiche. Si trattava di un progetto messo in piedi dall'Arcigay, che lo definiva «uno dei primi esempi in Italia in cui l'associazione entra ufficialmente in un corso universitario». In quel frangente, era previsto un intervento di Fadia proprio sull'affido Lgbt. Uno degli eventi più recenti a cui la signora ha partecipato è il convegno «Affido e adozioni nel mondo Lgbt», andato in scena al Cassero di Bologna il 13 giugno scorso. E qui si nota un particolare interessante. Quando la Bassmaji ha pubblicato su Facebook la notizia dell'evento, qualcuno sotto ha commentato: «Ottima iniziativa da replicare a Reggio Emilia». L'idea è molto piaciuta a Roberta Mori, esponente del Pd, che ha commentato pubblicando un grosso cuore arcobaleno. Il nome della Mori compare spesso in relazione alla Anghinolfi e alla Bassmaji. In qualità di presidente della Commissione parità dell'Emilia Romagna, fu proprio l'esponente piddina a invitare, nel 2015, la responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza (che fu presentata come un modello dai dem). Nel settembre 2016, la Mori partecipò all'inaugurazione del centro «La Cura», uno dei luoghi cardine dell'attuale inchiesta sugli affidi. Nel 2017, invece, la signora è stata nominata dal governatore emiliano Stefano Bonaccini rappresentante della Regione nella «Rete nazionale Ready di coordinamento e sostegno delle politiche antidiscriminatorie, per il rispetto del genere e dell'orientamento sessuale». D'altra parte, la Mori è anche relatrice della legge regionale sull'omotransfobia che verrà votata nei prossimi giorni. Almeno a livello ideologico, la vicinanza tra gli esponenti Pd e alcune protagoniste dell'inchiesta è piuttosto evidente. Salta all'occhio, un po' come il bel cuore rainbow che Roberta Mori ha messo sotto il post di Fadia Bassmaji su Facebook. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sullinchiesta-una-cortina-di-silenzio-e-il-pd-sguinzaglia-pure-gli-avvocati-2639077202.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="lemilia-romagna-torna-alla-carica-con-la-legge-bavaglio-sullomofobia" data-post-id="2639077202" data-published-at="1766935877" data-use-pagination="False"> L’Emilia Romagna torna alla carica con la legge bavaglio sull’omofobia L'inchiesta «Angeli e Demoni» e il relativo scandalo della gestione dei servizi sociali dei Comuni della Val d'Enza potrebbero avere non poche ripercussioni sul controverso disegno di legge regionale sull'omotransnegatività che nei mesi scorsi ha provocato laceranti divisioni nel Partito democratico e nella maggioranza di centrosinistra che guida la Regione Emilia Romagna. L'unione della Val D'Enza riunisce infatti sette Comuni della provincia di Reggio Emilia, territorio che da sempre rappresenta uno dei laboratori più avanzati delle politiche pro Lgbt. Reggio è stata una delle prime città ad aderire alla Rete Ready (istituzioni che promuovono misure gay friendly) e nel maggio del 2017, il Comune, la Provincia, il tribunale, gli istituti penali, l'università e la Asl di Reggio Emilia hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per un tavolo inter-istituzionale per il contrasto all'omotrasnegatività. Viene inoltre dalla provincia di Reggio Emilia - dove risiede ancora come scritto sul suo sito Web - la presidente della Commissione pari ppportunità della Regione, Roberta Mori, la quale è relatrice del suddetto ddl regionale sull'omotransnegatività e che nel 2015 ascoltò in Commissione il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, finito ai domiciliari, e alcuni operatori dei servizi sociali della Val d'Enza tra cui Federica Anghinolfi. Anche le interazioni su facebook della Mori mostrano un acceso sostegno alla galassia emiliana Lgbt. Ovviamente parliamo di azioni che agiscono all'interno della legalità e nessuno può mettere in discussione la buona fede della consigliera dem, tuttavia non è un mistero che l'humus culturale di certi ambienti favorevoli all'omogenitorialità sia condiviso anche da una parte della dirigenza emiliana del Pd. Ulteriori perplessità su un testo di legge che vada a punire reati di opinione sono offerti anche dalla testimonianza, raccolta dal Giornale, di uno dei padri vittime dei servizi sociali al centro della bufera. Secondo l'uomo - intervistato in anonimato - fu mossa contro di lui l'accusa di omofobia per poi arrivare a toglierli i bambini e affidarli alla madre che, dopo essere andata via di casa, viveva con la sua nuova compagna. Sebbene si parli di scenari ancora tutti da dimostrare da parte degli inquirenti, fonti interne alla Regione riferiscono di una clima di generale imbarazzo e di grossa resistenza alla legge. Ricordiamo che lo scorso aprile il testo è stato sul punto di saltare, quando 9 consiglieri cattolici dem della maggioranza hanno presentato un emendamento al ddl, con lo scopo dichiarato di escludere da sostegni e finanziamenti le associazioni che promuovano in qualche modo, oltre a violenze e discriminazioni di genere, anche l'utero in affitto. Su pressione dei gruppi Lgbt e di esponenti della maggioranza esterni al Pd venne meno l'accordo nella coalizione di governo di far passare una legge che finanziasse progetti per combattere l'omofobia a patto che questi fondi non finissero ad alimentare le organizzazioni che promuovono il turismo riproduttivo. Il testo ora torna in aula non a seguito di una decisione collegiale ma per via di una forzatura operata dai sostenitori della legge che sanno bene che la situazione è tutt'altro che chiarita all'interno del Pd. Il dibattito rischia infatti di assestare un nuovo colpo sulla maggioranza, visto che i 9 consiglieri dem di area moderata non intendono retrocedere sulla condanna alla maternità surrogata, mentre l'ala più radicale del partito non sembra voler aprire alcuna trattativa per emendare il testo originale e i gruppi Lgbt bolognesi già annunciano presidi davanti all'assemblea regionale. Intanto i dissidenti cattodem fanno notare che anche nei manifesti dei recenti pride emiliani tra le rivendicazioni appariva la regolamentazione della gestazione per altri. Dopo tutto su alcuni cartelli dei manifestati sono apparsi slogan come «l'utero è mio e me l'ho affitto io».
Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il professor Lorenzo Castellani, ricercatore e docente di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss di Roma, nonché autore di Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere (2024), su X sintetizza così: «Checco Zalone ha spianato i petulanti stand up comedian (quasi tutti «impegnati» a sinistra); Corona sfida i media tradizionali con un linguaggio da uomo qualunque e fa decine di milioni di visualizzazioni; la Zanzara riempie i teatri ed è la trasmissione più ascoltata del Paese. Si è detto per anni che la sinistra sia egemone nell’alta cultura (vero, diciamo, all’80%), ma la «non-sinistra» (non la chiamerei semplicemente destra) ha interamente in mano la cultura e il linguaggio popolare».
Professor Castellani, quindi vorrebbe dirci che la cultura non è più solo ad appannaggio della sinistra?
«Se guardiamo alle istituzioni della cultura ovvero ai luoghi ufficiali della stessa è sempre la sinistra a primeggiare. Ma se guardiamo alla cultura in senso ampio, allora cambia tutto. L’alta cultura è predominante nelle istituzioni ufficiali della sinistra ma in altri ambiti l’ideologia di sinistra viene sconfitta da altre manifestazioni culturali che incontrano di più i gusti del Paese».
Si riferisce a Zalone?
«Certo, anche. Zalone è sempre stato apolitico, non ha mai ceduto al politicamente corretto. Fa un cinema che fa riflettere e non vuole indottrinare nessuno, non fa moralismi a senso unico come capita ad altri tipi di comicità di sinistra».
Sanremo è di destra o di sinistra? A volte legare la politica a certe forme di spettacolo non fa scadere nel ridicolo?
«Anche a Sanremo non c’è più una forma di piena differenziazione tra alta cultura e cultura nazionale popolare. A me piace parlare di cultura in senso ampio, non solo di alta cultura, la “Kultur alla tedesca”, che permea nel popolo e permette riflessioni ampie».
Di che tipo?
«Sembra sempre ci sia questa contrapposizione tra il mondo dell’alta cultura, cinema, teatri, fondazioni, fiere del libro, case editrici, think tank nelle università, dove c’è oggettivamente sempre il predominio della sinistra, del mondo progressista, nelle sue varie sfaccettature, e grandi fenomeni di cultura di massa dove prevale l’esatto contrario rispetto all’etica progressista e a quell’atteggiamento pedagogico-educativo e moralistico che il mondo di sinistra tende ad avere nei confronti del popolo. L’idea di fondo della sinistra è stata sempre quella che bisogna civilizzare gli italiani e portarli con la mano come bimbi verso comportamenti più virtuosi».
Ma oggi non è più così. Ci sono vari altri casi giusto?
«Esatto, abbiamo un Fabrizio Corona che su YouTube, con un linguaggio molto politicamente scorretto, attacca il potere in tutte le sue forme e ha un successo enorme. Lo fa in maniera qualunquistica ma è questo che piace alla gente. Si occupa di questioni di cultura di massa, fenomeni che riguardano il crime, il trash, che non rientrano certamente nell’alta cultura ma che creano fenomeni di massa che hanno più visibilità e rilevanza di certi argomenti che trattano tv o giornali».
E non è il solo.
«La Zanzara, che adesso riempie anche i teatri e che offre un interessante esperimento sociale. Cruciani e Parenzo sostengono tutto il contrario del catechismo del politicamente corretto, sicuramente molto al di fuori dei perimetri della cultura ufficiale di sinistra. Ma per questo funziona ed è un fenomeno molto partecipato».
Anche dalla sinistra stessa presumo.
«Certo. Io ci sono andato ed è pieno di studenti della mia università, dirigenti d’azienda, professori, è un fenomeno trasversale che ha conquistato pezzi della classe dirigente».
Insomma, la presunta alta cultura della sinistra è in crisi perché risulta noiosa al grande pubblico?
«Sicuramente la cultura in senso ampio arriva di più alla gente».
Un po’ come in politica?
«Certi politici usano linguaggi più semplici e diretti e vengono capiti più facilmente. È quello che succedeva a Grillo e oggi alla Meloni. Ci sono fenomeni di massa che vengono seguiti da milioni persone e che rigettano l’idea che ci sia una rigida morale comportamentale linguistica da seguire che invece appartiene alla sinistra».
Anche nella musica?
«Certo, le canzoni che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelle vicine al genere trap, che parlano di consumismo, esaltano il machismo, usano linguaggi volgari e una completa assenza di morale, nulla a che fare con il mondo progressista. Però quelle canzoni arrivano e funzionano. Tanto è vero che anche Sorrentino nel suo ultimo film ha dato un ruolo centrale a Gue Pequeno e alle sue canzoni che fa cantare anche a Servillo».
Quindi la cultura appartenuta da sempre alla sinistra è in caduta perché non arriva più alla gente comune?
«Non credo che la destra debba sfidare la sinistra sull’alta cultura. Però penso che siano in atto nella cultura popolare di massa delle forme di anti-progressismo e anarchismo, dei movimenti spontanei che sono in contrasto con l’alta cultura principalmente di sinistra e che vengono maggiormente capiti dalla gente e da qui il loro enorme successo. C’è questo contrasto tra cultura ufficiale e quella di massa nazional popolare; due mondi che sembrano non parlarsi.
Per la sinistra è come un boomerang?
«In effetti il tentativo di indottrinare della sinistra ha prodotto una reazione ancor più forte nella destra. Più la sinistra ha cercato di catechizzare la gente, più questi fenomeni sono cresciuti. La regola di doversi comportare in un certo modo, oggi è più fallita che mai».
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Ignazio La Russa (Ansa)
È appena il caso di ricordare che La Russa nel 1971, ovvero la bellezza di 54 anni fa, era già responsabile a Milano del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno», dice La Russa nel video, «la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini, che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l'Italia fascista, non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire. Accettarono il sistema democratico e fondarono un partito, il Movimento sociale italiano, che guardava al futuro. I fondatori ebbero come parola d'ordine un motto che posso riassumere brevemente: dissero non rinnegare, cioè non rinnegavano il loro passato, ma anche non restaurare, cioè non tornare indietro. Non volevano ripetere quello che era stato, volevano un'Italia che marciasse verso il futuro».
«Quello che è importante ricordare oggi», aggiunge ancora La Russa, «è che allora, 26 dicembre 1946, scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso. Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella di ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Un modo come un altro per far felici gli elettori di Fdi che sono rimasti fedeli al partito da sempre, e che magari non si ritrovano pienamente nel nuovo corso della destra italiana, soprattutto in politica estera, ma anche su alcuni aspetti della strategia economica e sociale del governo. Per garantire una buona presenza sui media del messaggio nostalgico di La Russa, occorreva però qualche attacco da sinistra, che è subito caduta nella trappola: «Assurdo. Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa», attacca il deputato del Pd Stefano Vaccari, «rivendica la nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano. Addirittura il senatore La Russa parla di continuità di quella storia evocando la fiamma tricolore, simbolo ben evidente nel logo di Fratelli d'Italia, il suo partito. Sapevamo delle difficoltà del presidente La Russa a fare i conti con il suo passato, visti i busti di Mussolini ben visibili nella sua casa, ma che arrivasse ad una sfrontatezza simile non era immaginabile». Sulla stessa lunghezza d’onda altri parlamentari dem come Federico Fornaro, Irene Manzi e Andrea De Maria, il deputato di Avs Filiberto Zaratti. Missione compiuta: La Russa è riuscito nel suo intento di riscaldare (con la fiamma) il cuore dei vecchi militanti missini, e di trascinare la sinistra nell’ennesima polemica completamente a vuoto.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
Non hanno alternative Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, se non quella di passare al contrattacco visto che, giorno dopo giorno, sembrano scivolare sempre di più nella morsa dei giudici, dei periti e degli operatori della salute mentale. Oltre alle valutazioni sui minori da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare eventuali carenze, sono sotto esame le «capacità genitoriali» dei coniugi ma anche le loro propensioni «negoziali», troppo limitate secondo i servizi, e persino la loro personalità ritenuta «troppo rigida».
Non solo. Sebbene la famiglia abbia detto sì alle richieste del tribunale per spostarsi in una casa più adeguata, completare i cicli vaccinali, ricevere una maestra a domicilio per il percorso di home schooling, cercando dunque una mediazione tra la propria filosofia educativa e le richieste dello Stato, gli sforzi non sono bastati. E l’asticella è salita sempre più in alto. Quindi non rimane che provare a smontare le accuse. E così, dopo che lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza, il giorno prima di Natale, i legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno deciso di controbattere ad alcuni dei punti dirimenti per i giudici.
Uno su tutti il rifiuto del sondino naso-gastrico nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale nel settembre 2024, verosimilmente per via del materiale plastico. Un episodio significativo per i giudici in quanto «denoterebbe l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali». Per tutta risposta, gli avvocati hanno allegato alcune foto dei bambini mentre mangiano un gelato utilizzando cucchiaini di plastica, dunque smentendo l’iniziale resistenza da parte della madre nei confronti di certi oggetti. In altre immagini i piccoli giocano nel centro commerciale e sono al parco in compagnia di alcuni coetanei. Anche qui scene di «normalità» per smontare il ritratto apposto dai giudici alla famiglia, descritta come un gruppo di eremiti avulsi dai contesti sociali.
In un altro scatto si lavano le mani nel bagno di un locale pubblico. L’ennesima immagine che sconfesserebbe il teorema dei servizi secondo cui i piccoli Trevallion avrebbero paura della doccia e rifiuterebbero di lavarsi.
Nell’istanza i legali rispondono anche alle accuse rivolte contro la madre australiana, descritta come incline allo scontro con gli operatori. Secondo i legali, alla base del giudizio negativo dei servizi sociali vi sarebbe frizioni con l’assistente sociale che avrebbe interpretato come oppositivi alcuni suoi comportamenti. In particolare l’abitudine di svegliare i bambini la mattina prima dell’orario prestabilito. Un’accusa respinta con forza dalla madre che dice di passare solo a controllarli. Qualora dormano, spiega, si reca in cucina per preparare il porridge, per restituire ai figli un’atmosfera di casa. A quanto pare, peraltro, il più delle volte i fratellini sono già svegli perché non dormono bene.
Come rivelato da Il Centro, in alcuni messaggi inviati agli amici, la madre si dice preoccupata perché hanno delle ferite alle mani, in particolare la più grande. «Si mordono di continuo, è segno di un’ansia profonda», scrive.
Nel frattempo, in vista dei test psicologici, i legali hanno nominato come consulenti di parte la psicologa Martina Aiello e lo psichiatra Tonino Cantelmi, cattolico militante e professore associato all’Università Gregoriana che nel 2020 era stato individuato da papa Francesco come «membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale». Per il suo curriculum, oltre a sostenere la coppia nelle valutazioni psicologiche disposte dal tribunale, potrebbe accompagnarla nell’assunzione di una posizione meno radicale. Per i test, però, ci vorranno almeno 120 giorni. Altri quattro mesi in cui i piccoli dovranno stare nella casa famiglia.
Uno scenario di fronte al quale uno dei commenti più duri arriva dal vicepremier Matteo Salvini: «Non avrò pace fino a che non troveremo il modo legale di riportare a casa quei bimbi. Oggi 16.000 famiglie italiane hanno scelto l’home-schooling, che facciamo, li portiamo via tutti perché qualcuno ritiene che i bambini siano dello Stato? È orribile e sovietico. Non socializzavano o potevano diventare dei bulli? Chi dice queste cose vada sulle metro o in certe periferie e faccia due chiacchiere con i tredicenni armati di coltello che fanno stupri di gruppo: magari hanno avuto tanta socialità, però non hanno mai incontrato un assistente sociale».
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