2019-01-07
Sul nero fermato «armi in pugno» smascherata una sfilza di pistola
Video smentisce il cestista dell'Olimpia che accusava i carabinieri di razzismo: dai militari zero intimidazioni. Chi lo dice ora ai teorici dell'apartheid italiano?«Io, fermato con la pistola perché sono nero». La vibrante denuncia del campione di basket dell'Armani Milano si è levata attraverso una serie di tweet subito trasformatisi in una paginata indignata del Corriere della Sera. Come si permettono questi cattivoni dei poliziotti? Come si permettono di prendere un'arma in mano? E poi addirittura contro di me? Solo perché sono piccolo (mica tanto, essendo giocatore di basket) e nero? «Se fossi stato bianco nessuno ti avrebbe fermato», insorgono i follower furibondi. E lui, Mike James, playmaker americano, annuisce sconsolato: «Sì, lo so». E poi ancora: «Non è normale». Come se anziché nel centro Milano si trovasse nel ghetto di Soweto di quarant'anni fa.Del resto è risaputo che questa descrizione dell'Italia come culla dell'apartheid e dell'odio razziale incontri un crescente successo nei salotti della gente che piace. Il fatto è che forse bisognerebbe scegliere meglio gli oggetti per scatenare la propria indignazione: che un americano si stupisca dei comportamenti violenti di tre carabinieri in servizio in pieno giorno nel centro di Milano è apparso, già di per sé, piuttosto incredibile ai più (avrà avuto un momento di confusione? Avrà scambiato City Life per Manhattan?). E l'incredulità è ancora più cresciuta di fronte a un filmato, pubblicato ieri dallo stesso sito del Corriere della Sera, in cui si vedono gli agenti chiacchierare amabilmente, senza pistole in pugno, senza tensione, senza nemmeno alzare la voce, chiedendo informazioni sul basket più o meno come se stessero al bar sport. Per altro, sia detto per inciso: che male ci sarebbe se i carabinieri, durante un controllo, tirassero fuori le armi? Dove sta il problema? Per altro: se non possono tirare fuori le armi quando fanno i controlli, che gliele diamo a fare? Vi pare? Mi metto nei panni delle nostre forze dell'ordine, che già lavorano in condizioni difficilissime: d'ora in avanti, se per caso si sentono in pericolo, che devono fare? Verificare, prima di impugnare l'arma, che la persona fermata sia di carnagione bianca? E con gli occhi azzurri? Se no, per evitare accuse di razzismo, devono farsi placidamente massacrare? Scusi signor bandito: lei è italiano? Da tre generazioni? Nemmeno un nonno marocchino? Nemmeno un po' di sangue afro nelle vene? Un parente somalo? Uno zio eritreo? Niente di niente? Sicuro? Ok, allora aspetti che mi è consentito impugnare la pistola per fermarla senza incorrere nella denuncia di razzismo.Comunque, sia chiaro: in questo caso, i carabinieri pare non abbiano impugnato proprio nulla. Nemmeno per idea. Nemmeno per sbaglio. Basta vedere il video per capire che il clima del controllo è più pacifico di una schitarrata in riva alla spiaggia alla sera di Ferragosto. E dunque perché tanto allarmismo contro l'odio razziale? L'impressione è di trovarsi di fronte a un replay del caso Daisy, l'atleta italiana che a Torino nel luglio scorso aveva denunciato con violenza un'aggressione razzista, senza per altro che l'aggressione razzista ci fosse mai stata. Per fortuna in questo caso le immagini hanno consentito di fermare subito il coro dell'«allarme siam razzisti». Ma tra uova lanciate a caso in Piemonte (per altro da figli di consiglieri del Pd) e armi mai tenute in pugno a Milano dalle forze dell'ordine, c'è un legame stretto. Stesso metodo, stesso risultato: i benpensanti vorrebbero ricoprire gli italiani di vergogna. E invece, finiscono per ricoprire soltanto se stessi, dimostrando con buona pace del playmaker nero che il vero problema non sono le pistole. Al massimo, i pistola.