2021-11-10
L’uomo che vuole l’emergenza eterna ha mentito in aula per nascondere le sue magagne
Per evitare la sfiducia, il 28 aprile il ministro ha dichiarato che fu l'Organizzazione mondiale della sanità a far sparire il lavoro del ricercatore. Ora che le prove lo smentiscono, i cittadini non possono più fidarsiL'altra sera, a La 7, il filosofo Umberto Galimberti ha perso la calma che - in teoria - dovrebbe avere chi fa della riflessione un mestiere, e ha cominciato a inveire brutalmente contro i manifestanti che da qualche tempo protestano contro le restrizioni. «Non ho più pazienza nei confronti dei no vax», ha detto. «È una minoranza che porta in giro l'infezione e blocca l'attività economica. Fa due danni tremendi, e continuiamo nel rispetto della minoranza? Io non ho più pazienza». Le parole di Galimberti ben sintetizzano un pensiero piuttosto intollerante che da qualche tempo si diffonde fra intellettuali, politici e rappresentanti delle istituzioni. Costoro sembrano impegnati in una gara a chi la spara più grossa contro i contestatori e i renitenti alla puntura. Su queste pagine, ieri, Daniele Capezzone ha fornito un breve elenco delle ultime e più violente esternazioni. Tipo quelle di Gianni Riotta, secondo cui i no vax sarebbero «pericolosi intolleranti» nonché untori. Oppure quelle di Franco Locatelli, coordinatore del Cts, secondo cui «le manifestazioni dei no pass sono difficilmente comprensibili, ai limiti dell'ingiustificabile».Va avanti così da mesi. Sui dissenzienti si è detto di tutto: c'è chi vorrebbe prenderli a cannonate, chi vorrebbe farli manganellare dalla polizia, chi si augura che muoiano di Covid, chi li definisce malati di mente. In alcune città si chiudono le piazze per impedire che si manifesti contro il green pass, si firmano petizioni per far cessare i cortei. Nel frattempo il governo si preoccupa di estendere le restrizioni, nel tentativo di stroncare la minoranza che continua a rifiutare l'iniezione.È abbastanza evidente, stando ai dati, che il pugno di ferro non abbia prodotto significativi risultati. Anzi, il numero di prime dosi somministrate negli ultimi mesi ha subito un crollo verticale, e non sembra che con le terze dosi la situazione sia molto più rosea. Allora, forse, qualcuno dovrebbe iniziare a chiedersi: come mai ci sono ancora parecchie persone che rifiutano l'inoculazione? Come mai da 16 settimane continuano a svolgersi manifestazioni piuttosto imponenti.Una risposta possibile è che una bella fetta di cittadini abbia perso completamente la fiducia nelle istituzioni. Ed è anzi sorprendente che i dubbiosi e gli arrabbiati non siano molti, molti di più. Il famoso «patto» tra lo Stato e il cittadino, infatti, negli ultimi due anni è stato infranto più e più volte. Ma non dai pericolosi no vax e no pass, perfidi untori. Bensì dai governanti e dai loro collaboratori, che hanno ripetutamente e consapevolmente mentito alla popolazione. Il caso più emblematico riguarda Roberto Speranza. Più volte, nel corso dei mesi, abbiamo segnalato le sue mistificazioni e le sue bugie. Anche di recente, in qualche studio televisivo, abbiamo provato a sollevare il tema, ma immediatamente siamo stati investiti da un turbine urlante di televirologi, telepropagandisti e adepti della Cattedrale sanitaria. Eppure, al netto degli ululati e dei ruggiti, i fatti restano implacabili. Ora, infatti, è spuntata l'ennesima prova delle bugie di Speranza. A tirarla fuori ci ha pensato Report (trasmissione che, nei giorni passati, ha subito pesanti attacchi per aver osato porre alcuni dubbi sulla narrazione dei talebani del vaccino), mostrando alcune conversazioni intercorse nel maggio 2020 fra il ministro della Salute e Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico.Argomento della discussione fra i due era il celebre report dell'Oms (curato da Francesco Zambon) sulla gestione italiana della pandemia. Un documento che evidenziava pesanti carenze, tra cui il mancato aggiornamento (e la mancata applicazione) del piano pandemico. Come abbiamo più volte scritto, quel report fu pubblicato, poi ritirato e subito dopo sepolto sotto una coltre di silenzio e menzogne.Il ministro della Salute ha sempre cercato di liquidare la faccenda come secondaria, e ha ripetutamente affermato di non sapere nulla del documento censurato. Non lo ha detto soltanto nelle interviste: lo ha dichiarato in Parlamento il 28 aprile di quest'anno, il giorno in cui fu votata la mozione di sfiducia contro di lui. In quell'occasione disse, testualmente: «La scelta di pubblicare e poi ritirare quel documento viene assunta esclusivamente dall'Oms nella sua piena autonomia che noi rispettiamo, anche nelle sue diverse articolazioni e nel dibattito interno che con evidenza vi è stato a questo proposito tra dirigenti dell'Oms in palese contrasto tra loro. Ma una cosa è certa: non c'è nessuno, nessuno dei protagonisti di questa vicenda che affermi il contrario. Le scelte relative al dossier sono autonome dell'Oms». In sostanza, Speranza si è chiamato fuori, ha scaricato ogni responsabilità e ne ha approfittato per punzecchiare Francesco Zambon e i funzionari dell'Oms come Ranieri Guerra con cui Zambon si era scontrato.Le cose, però, sono andate diversamente. Sappiamo, infatti, che un intervento del ministro ci fu, e fu diretto. Le chat mostrate da Report si riferiscono al 14 maggio 2020. Alle 12.47 di quel giorno, Speranza scrive a Brusaferro: «Sto guardando il report dell'Oms. Con Kluge sarò durissimo». Il Kluge in questione è Hans Kluge, direttore dell'Oms Europa. Da un altro messaggio, sempre del 14 maggio, apprendiamo ulteriori dettagli. Speranza scrive a Brusaferro: «Mi ha chiamato Kluge. Si è scusato. Ho ribadito che al momento non facevo commenti sui contenuti ma sul metodo. Ha confermato che lo ha ritirato e che si propone di discuterlo con noi».E questa sarebbe la «piena autonomia» dell'Oms? Un ministro che parla con un alto funzionario proponendosi di essere «durissimo» e poi ottiene che un report sia ritirato e, prima della ripubblicazione, ridiscusso con il ministero? Andiamo. Da queste conversazioni risulta evidente la menzogna di Speranza. La quale appare ancora più grave se si pensa al contenuto del rapporto censurato. Parlando del report in chat, il ministro afferma: «Danni enormi non mi pare ne faccia. Forse solo sui decessi». Ma il punto è proprio il numero dei decessi. Nella prima fase della pandemia in Italia si è registrato un numero di morti spaventoso, soprattutto in Lombardia. Ebbene, quanti di questi decessi si sarebbero potuti evitare applicando il piano pandemico? Quanti dipendono dalle gravi mancanze del ministero? E, soprattutto, perché gli italiani dovrebbero confidare in istituzioni che hanno prodotto disastri del genere e che hanno tentato di salvarsi raccontando balle su balle? È a questi uomini che si dovrebbe affidare la decisione sulla vaccinazione ai più piccoli? E pensate davvero che sia possibile farlo in serenità? Tanti italiani hanno perso fiducia: beh, forse hanno persino ragione.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci