2020-09-26
Sul denaro il Vaticano non impara la lezione
Da Michele Sindona a Roberto Calvi, fino a Paul Casimir Marcinkus, sono più di 50 anni che la Santa Sede passa da uno scandalo finanziario all'altro. Senza peraltro riuscire a sanare lo Ior. Cade l'ennesima testa, ma sembra che sia troppo tardi. Forse era meglio dar retta a Carlo Maria Viganò.Il Vaticano ha un problema con i soldi. Non da ora, a dire il vero, ma almeno da una cinquantina d'anni, cioè da quando le strade dello Ior si incrociarono con quelle di Michele Sindona, sulfureo finanziere siculo-milanese, che con la banca della Santa Sede intrecciò affari fin dai tempi di papa Paolo VI. La storia finì maluccio, con un buco miliardario, banche fallite di qua e di là dall'oceano, un sicario arrivato da New York per far secco il curatore fallimentare dell'istituto di credito spolpato dal commercialista di Messina, e infine un caffè al cianuro a tappare la bocca di Sindona in una cella del carcere di Voghera. Dopo l'italiano che scalò Wall Street finendone travolto, fu la volta del banchiere di Dio, al secolo Roberto Calvi, il quale salì a uno a uno tutti i gradini del Banco Ambrosiano, fino a diventarne presidente. Banca cattolica cara alla buona borghesia lombardo-veneta, l'istituto incrociò i suoi destini con il sempre onnipresente Ior, che, per conto del Vaticano, più che delle opere di religione si occupa di quelle molto terrene legate alle speculazioni e agli investimenti. Nel raggio d'azione dell'Ambrosiano non c'era però solo la Borsa, che già non pare avere molto a che fare con l'Obolo di San Pietro, ma pure compassi e grembiulini. Anche in questo caso finì con un crac miliardario e Calvi appeso sotto il Ponte dei Frati neri, a Londra. Si disse che fra un paradiso fiscale e l'altro, un po' dei soldi spariti fossero serviti a finanziare Solidarnosc, il sindacato polacco caro a papa Wojtyla. Ma con il fatto che all'epoca l'impero del male, ossia l'Unione sovietica, fosse ancora da sconfiggere, nessuno approfondì troppo la faccenda. Così a monsignor Paul Casimir Marcinkus, ufficiale di collegamento fra Santa Sede e caveau ambrosiani che i pm volevano interrogare, fu consentito di terminare i propri giorni giocando a golf.Per un po' sembrò che Oltre Tevere avessero imparato la lezione e avessero deciso di stare alla larga dalle banche e di lasciar stare le scorribande negli affari illegali, ma si trattava solo di un'illusione. Infatti, all'inizio del nuovo millennio, uno dei monsignori a conoscenza degli segreti dello Ior, Renato Dardozzi, decise di lasciare in eredità al nipote, perché fosse reso pubblico, l'archivio di tutte le porcherie transitate allo sportello vaticano. Il caso volle che l'erede conoscesse Maurizio Ferrini, il comico della banda Arbore, e io la Signora Coriandoli. I documenti finirono dunque nelle mani della redazione di Panorama, che dirigevo, e Gianluigi Nuzzi ne ricavò un best seller dal titolo Vaticano Spa. Dentro c'erano politici, banchieri, conti cifrati e ruberie varie. Da solo bastava e avanzava per fare pulizia, ma di lì a poco la Banca d'Italia segnalò una serie di operazioni sospette dello Ior, segno che neppure il libro-inchiesta aveva indotto gli alti prelati a cambiare registro. Risultato, l'Istituto delle opere di religione finì sulla lista nera delle banche corsare, quelle per intenderci dove passano i soldi sporchi, della mafia e delle tangenti. Nel mezzo di tutto ciò ci fu un avvicendamento di banchieri: fuori i monsignori, dentro i professori, ma di comprovata fede. Il tutto si concluse con Angelo Caloia, presidente del Mediocredito Lombardo, che una volta lasciato l'incarico venne indagato dagli stessi magistrati della Santa Sede per una vicenda di peculato. Poi fu la volta di Ettore Gotti Tedeschi, il quale non s'è mai capito se scappò per la paura o fu fatto scappare a suon di minacce, che poi è un po' la stessa cosa. Sta di fatto che la finanza vaticana non ha mai trovato pace e per la verità non sono mai stati rintracciati neppure i molti soldi spariti.Adesso è la volta del cardinale Angelo Becciu, uno dei porporati più alti in grado e soprattutto uno dei più potenti. A quanto pare, gli uomini del Papa lo avrebbero colto con le mani nel sacco, cioè con un bel po' di milioni fatti transitare sul conto del fratello, in Sardegna. Come contorno, un giro di investimenti loschi in affari immobiliari a Londra, produzioni di film e speculazioni varie. Soldi dell'Obolo di San Pietro, che dovrebbero servire ad aiutare i poveri. Più che carità cristiana, sembra una carità strana, fatta alle tasche dello stesso cardinale. Oltre Tevere, pare che siano volati gli zucchetti in aggiunta alle sottane. E i volti di alcuni monsignori siano diventati paonazzi quanto il copricapo cardinalizio. Si racconta che Bergoglio, oltre ad aver preteso le dimissioni di Becciu, voglia addirittura spretarlo, misura mai vista, neppure con certi porporati pedofili. Ma forse la misura è colma e la situazione grave. C'è da chiedersi se i provvedimenti non arrivino in ritardo, a buoi e denari scappati. Già, perché sono di almeno un paio d'anni fa le denunce - tramite La Verità -dell'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti. monsignor Carlo Maria Viganò, citando gli abusi della Curia, fece capire che c'era del marcio in Vaticano. Ma allora, si preferì il silenzio. Certo, in evidenza c'erano i chierichetti abusati, mica i soldi. Ora, invece, con i milioni di mezzo, la storia si fa terribilmente seria. Perché più che i pedofili, è il denaro il problema del Vaticano.
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