2018-07-01
        Sul debito pubblico Cottarelli rimpiange l’austerità di Monti. Gli italiani invece no
    
 
L'economista tesse l'elogio delle politiche dell'ex premier. Ma con il professore a palazzo Chigi i conti peggiorarono.Pensavamo di essercelo lasciati alle spalle una volta congedato da palazzo Chigi, dove nel bel mezzo di una delle crisi istituzionali più gravi dal dopoguerra a oggi aveva rimesso nelle mani del presidente della Repubblica l'incarico di formare l'esecutivo che traghettasse il Paese verso nuove elezioni. Da quel momento in poi, invece, Carlo Cottarelli alias «Mister Forbici», è riuscito a rimanere aggrappato alla cresta dell'onda. Ex Banca d'Italia, ex Eni, ex commissario alla spending review, ex direttore del Fondo monetario internazionale, oggi Cottarelli dirige l'Osservatorio conti pubblici italiani, inaugurato nel novembre 2017 in joint venture con l'università Cattolica. Un soggetto che vede tra i suoi finanziatori colossi attori di spicco della finanza italiana e internazionale, come Deutsche bank, Intesa Sanpaolo e il colosso americano Oliver Wyman.L'ultimo studio dell'Osservatorio è stato pubblicato proprio ieri, all'indomani della chiusura dell'importante Consiglio europeo che ha visto l'esordio di Giuseppe Conte sulla scena internazionale. Coincidenze, o forse no. Non bisogna dimenticare che Carlo Cottarelli è stato incaricato proprio a seguito del non expedit pronunciato da Mattarella sulla nomina di Paolo Savona al Mef. Il Quirinale infatti aveva offerto il suo nome ai mercati nella speranza che li potesse rassicurare sulla tenuta delle nostre finanze. La ricerca resa nota ieri riguarda appunto il nostro debito pubblico, in particolare l'andamento durante il governo guidato da Mario Monti nel periodo che va dal novembre del 2011 a marzo del 2013. Nel corso di quei mesi si stava abbattendo una tempesta finanziaria senza precedenti, con lo spread che arrivava a sfondare quota 500, le raccomandazioni dell'Ocse e della Banca centrale europea e l'allarme lanciato dalle agenzie di rating sulla sostenibilità del nostro debito sovrano. Gli appelli a fare presto si moltiplicavano e la ricetta a base di austerità proposta da Monti sembrava l'unica soluzione per rimettersi nel giusto binario. Ironia della sorte, proprio il debito pubblico uscì con le ossa rotte da questo periodo di stretta fiscale, aumentano dal 116,5%/Pil di fine 2011 al 131,8% a fine 2017. In realtà c'è da dire che il nostro debito ha praticamente smesso di crescere nel 2014, quindi l'incremento vertiginoso è da attribuire quasi unicamente al periodo durante il quale ha governato Monti. «Perché», si legge nell'introduzione dello studio, «nonostante le politiche di austerità introdotte nel 2012 il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato negli anni successivi? L'aumento del rapporto tra debito pubblico e Pil non dimostra forse che le politiche di austerità sono controproducenti perché causano un aumento del debito rispetto al Pil?». Domande retoriche che a prima vista non meritano neanche un risposta, dal momento che durante una fase di ripresa economica il Pil aumenta e, anche in presenza di un debito costante, questo rapporto è destinato a scendere. Prima di giungere alle (sorprendenti, ve lo anticipiamo) conclusioni, Cottarelli e company osservano che la nota prodotta «dimostra che, senza la stretta fiscale del 2012, il rapporto tra debito e Pil sarebbe aumentato più rapidamente e sarebbe attualmente tra il 142 e il 145%». Capito bene? Non solo non bisogna dare la colpa a Mario Monti di aver fatto salire il debito pubblico, ma bisogna addirittura ringraziarlo per non averne arrestato la crescita. Dopo esserci ripresi dallo shock ed esserci accertati di non essere nel mezzo di un terribile incubo, ci assale la curiosità di comprendere in base a quale principio si è giunti a tale conclusione. L'espediente utilizzato da Cottarelli è quello del moltiplicatore fiscale, cioè l'indice che esprime la relazione tra l'andamento del Pil e le politiche fiscali di un Paese. Secondo quanto si legge più avanti, «una politica fiscale meno restrittiva (o nel nostro caso la rimozione della restrizione fiscale del 2012) porta a una crescita del rapporto tra debito pubblico e Pil nel tempo rispetto all'effettivo andamento, anche se inizialmente (per valori del moltiplicatore e dell'iniziale rapporto tra debito e Pil sufficientemente alti) il rapporto potrebbe invece ridursi». Utilizzando le stime del Mef sul moltiplicatore della spesa e delle entrate, l'Osservatorio dei conti pubblici è giunto alla conclusione che «in assenza della stretta operata da Monti», il rapporto tra debito pubblico e Pil «sarebbe cresciuto più rapidamente di quanto osservato». Non è tutto. «Con una crescita del rapporto tra debito e Pil più elevata», prosegue il testo, «sarebbe stato più difficile ottenere una riduzione dello spread».Ma se non fu l'austerità voluta dal governo Monti, qual è stata la causa dell'aumento del debito pubblico? La questione, per usare gli stessi termini dello studio, rimane «aperta». Un accenno di risposta arriva alla fine, quando gli autori osservano che «se nel periodo di crescita dell'economia italiana nel decennio precedente la crisi il debito pubblico italiano fosse stato ridotto più rapidamente», il nostro Paese si sarebbe trovato «in una condizione meno fragile» e «avrebbe probabilmente evitato la crisi di fiducia che portò nel 2011 all'aumento dello spread e alla conseguente caduta del Pil». Un po' come dire, per usare una metafora calcistica, che il Milan quest'anno non ha vinto lo scudetto perché cinque anni fa il preparatore non ha preparato bene i giocatori. Nell'attesa di capire se l'austerità faccia crescere, come sostiene Cottarelli, resta sempre valido un teorema consolidato: «Il potere logora chi non ce l'ha».
        Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
    
        Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
    
        Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)