2025-07-02
Le negano il suicidio assistito perché mancano i requisiti. Cappato & C. già mirano oltre
In attesa delle prossime scadenze sul tema, gli attivisti della «dolce morte» insistono sull’ennesima vicenda per orientare il dibattito: è Martina, malata di sclerosi multipla.L’uomo disperato è davanti al burrone e un fantasma con il cappuccio nero sta per spingerlo nel baratro. Un’immagine da Edvard Munch per sintetizzare una realtà: l’Italia è a un passo dall’eutanasia. Anche se la legge la definisce reato, anche se il parlamento degli eletti dal popolo non lo ha deciso e neppure ipotizzato. L’uomo disperato è finito davanti al burrone a osservare il vuoto per due volontà convergenti e un palese disinteresse. Le volontà sono quella a base di due sentenze della Corte costituzionale e quella a base di marketing mortuario dei radicali. E il disinteresse è tutto della politica che fa melina illudendosi che da lì bisogna passare. Sta di fatto che l’ultimo passo potrebbe arrivare l’8 luglio, quando la Consulta sarà chiamata a decidere l’aspetto finale del «suicidio medicalmente assistito»: la possibilità di decretare per via giudiziaria l’omicidio del consenziente da parte di terzi, che siano il medico, il tecnico, il cugino o direttamente Marco Cappato. Il caso riguarda una donna toscana di 55 anni affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata, che ha tutti i criteri per accedere alla domanda di «buona morte» (chi vuole edulcorare il gesto la chiama così) ma non è fisicamente in grado di assumere in autonomia il farmaco letale. La malata ha chiesto l’intervento del medico di fiducia, il tribunale di Firenze ha sollevato una questione di legittimità e l’ultima parola spetta ancora una volta agli ex ermellini.È l’ultimo metro, poi l’uomo e la donna indifesi, in balìa della stanchezza, del dolore o banalmente dell’emotività indotta dalla manipolazione psicologica cadranno direttamente dentro l’abisso che li guarda (che ci guarda). Per spingere sull’acceleratore della depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, l’Associazione Luca Coscioni ha reso noto proprio ieri un altro caso simile anche se non identico. È quello di Martina Oppelli, 49 anni, di Trieste, anch’essa affetta da sclerosi multipla (da oltre 20 anni), tetraplegica, che a inizio giugno ha chiesto per la terza volta all’Asugi (Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina) di farla finita. Per la terza volta ha ricevuto risposta negativa e per la terza volta ha fatto ricorso. Ultima parola della Commissione: «Faremo in tempi brevi una nuova valutazione».Il no delle istituzioni sanitarie prende spunto proprio dalle ultime due sentenze della Corte costituzionale che prevedono quattro pilastri fondamentali per il recepimento delle istanze di suicidio assistito: una patologia irreversibile, provate sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e soprattutto libera capacità di autodeterminazione. Nel caso Oppelli, secondo gli esperti dell’Asugi manca una delle caratteristiche fondanti, l’esistenza di trattamenti di sostegno vitale. Ma l’Associazione Coscioni non si arrende. «Nonostante le sue condizioni cliniche siano in costante peggioramento», spiega la legale dell’associazione, Filomena Gallo, «e nonostante la sua completa dipendenza da una assistenza continuativa e da presidi medici (farmaci e macchina della tosse), la commissione medica ha nuovamente escluso la sussistenza del trattamento di sostegno vitale, necessario per poter accedere legalmente alla morte volontaria assistita in Italia, sulla base della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale. È un trattamento disumano che equivale a una forma di tortura». Ora, secondo consuetudine, i radicali presentano tre contromosse: l’opposizione al diniego, la diffida e la messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria triestina e l’ennesima raccolta di firme per arrivare a una legge di iniziativa popolare sul fine vita dopo la recente bocciatura del referendum. L’obiettivo è quello di raccogliere 50.000 firme entro il 15 luglio per poi approdare con la proposta in Senato il 17 luglio, data in cui - guardacaso - inizierà la discussione del testo proposto dalla maggioranza di governo. I Marco Cappato boys non hanno mezzi termini, la Consulta ha aperto la porta e loro intendono usare tutti gli strumenti per spalancarla. La proposta radicale punta infatti a «legalizzare tutte le scelte di fine vita, inclusa l’eutanasia, con il pieno coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale, dando tempi certi ai malati». E se l’ordinamento in vigore sancisce il contrario, vattelappesca. Quanto a Martina Oppelli, ha deciso che il suo prossimo viaggio sarà in Svizzera per ottenere oltre frontiera l’iniezione letale. «Ciò che mi rimane è solo una grande stanchezza e lo sconforto per aver creduto nel senso civico di uno Stato laico che dovrebbe concedere al cittadino consapevole, autodeterminato, allo stremo delle proprie forze, di porre fine a una sofferenza. Probabilmente saranno altri a poterne usufruire. E io dovrò intraprendere un ultimo faticosissimo viaggio verso un Paese non troppo lontano». Tutto confezionato, impacchettato a orologeria. La battaglia continua, con un surrettizio tentativo di condizionamento del dibattito pubblico, dell’imminente pronuncia della Corte costituzionale e del progetto di legge del centrodestra, ritenuto in parte condivisibile dall’area cattolica del Pd, quindi considerato nefasto per chi da tempo ha radicalizzato lo scontro in nome della libertà di morire e far morire con uno schiocco di dita. L’uomo disperato è davanti al burrone e al grande Nulla della solitudine. Purtroppo saranno i giudici - e non i rappresentanti del popolo - ad assumersi la responsabilità di salvarlo. O dargli l’ultima spinta.
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La sede di Bankitalia. Nel riquadro, Claudio Borghi (Imagoeconomica)
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix