2022-08-30
Su extraprofitti e uscita dal Ttf non ci si può affidare alla demagogia
L’unica politica seria sarebbe prevedere in modo scientifico i razionamenti e i tagli. Attenzione a insistere troppo con la demagogia degli extraprofitti. L’idea tutta draghiana viene ora brandita dai vertici della Cgil e da moltissimi politici i quali si chiedono perché le aziende che commerciano gas ed elettricità non versino tutto subito. La risposta è relativamente semplice. Molte aziende hanno già pronti nel cassetto i ricorsi per incostituzionalità. Acea ieri ha comunicato di aver versato 28,5 milioni di euro alle casse delle Entrate, ma di aver già pronto il ricorso. Nel dettaglio l’azienda spiega che «una parte significativa della base imponibile identificata per le società del gruppo non è riconducibile agli extra-profitti che il legislatore intende tassare, bensì a operazioni straordinarie» Vincere non sarà difficile. Non solo per Acea, ma anche per tutte le altre imprese che evidentemente attendono l’addio di Mario Draghi per scatenare il fuoco di sbarramento legale. C’è infatti un precedente illustre, quello della Robin tax targata Giulio Tremonti. L’ex ministro, anche se con un buon motivo, si mise in testa di colpire l’extra gettito delle aziende impegnate nel settore degli idrocarburi e dell’energia. Venne applicata una addizionale Ires del 6,5% per tutte le imprese con un giro d’affari superiore ai 25 milioni. Punto cardine del modello impositivo era il divieto di traslazione dell’imposta sui consumatori previsto dal comma 18 dell’articolo 81 della legge che prendeva non a caso il nome da Robin Hood. Il governo voleva rubare ai ricchi monopolisti per dare ai poveri cittadini. Quel periodo era caratterizzato da alti costi del greggio e l’idea era evitare che la congiuntura economica colpisse le fasce più deboli della popolazione. Una situazione molto meno grave ma simile all’attuale. Il responso dei giudici è stato: non è ammesso imporre una tassa solo per fattori contingenti e legati ad andamenti di materie prime che per definizione sono volatili. Al contrario, il business di una azienda finisce con l’essere modificato in via definitiva dall’introduzione di una tassa che impatta su tutta la struttura dei ricavi. Per questo motivo la Robin tax è vissuta solo due anni e lo Stato non è stato costretto a restituire gli oltre 2 miliardi incassati. Indovinate chi pagò il rimborso? Gli italiani ovviamente. Ecco che ora seppur comprendendo la drammaticità del momento sarebbe il caso di abbandonare la demagogia. Se lo Stato vuole incassare i profitti, si prenda i suoi sotto forma di anticipo dividendi. Va ricordato che è azionista di Eni ed Enel di cui possiede direttamente e indirettamente circa il 30% della prima e oltre il 23% della seconda. Con i dividendi il Mef potrà poi fare ciò che vuole, cioè, se lo ritiene, ridistribuirli sotto forma di aiuti o tagli alle accise. Stanziare invece 10 miliardi di ipotetici incassi a noi ricorda più un mezzo per aggirare lo scostamento di bilancio. Ecco perché per il centrodestra e pure per gli altri partiti insistere su questa strada rischia di essere un pesante boomerang. Tanto più che, restando in tema energia, la possibilità di abbassare i prezzi in autonomia si dimostra per il nostro Paese impossibile. La Germania ragiona all’idea di disaccoppiare i prezzi del mercato del gas da quelli dell’elettricità. Per noi significherebbe mettere un tetto alla rinnovabili (che guadagnano in questo momento più di tutte le altre società) e forse anche al carbone. Significherebbe regolamentare il 30% del nostro fabbisogno. Al massimo il 35%, inserendo anche le centrali a carbone. Tradotto in soldoni significherebbe però un taglio del prezzo dagli attuali 800 euro a forse 720. Interessante, ma pur sempre noccioline. Anche l’idea di abbandonare il mercato del Ttf in Olanda sa tanto di demagogia. Il nostro Paese ha una quota di produzione di gas irrilevante. Noi dovremmo comunque andare a comprarlo in giro per il mondo. E chi farebbe il prezzo? La domanda è retorica e ci riporta, per certi versi, indietro nel tempo. A quando il prezzo del gas era accoppiato a quello di un paniere di valori del greggio e dei suoi derivati. Tornare ai vecchi schemi per l’Europa significherebbe trovare come interlocutore nei fatti l’Opec. Potrebbe essere una buona idea. Sempre che gli Usa o altri produttori siano d’accordo. E in ogni caso ci vorrebbero mesi per riadeguare il prezzo. A questo punto il decreto in arrivo è meglio che preveda in modo scientifico il razionamento e i tagli. Purtroppo, il modo più onesto di andare incontro all’autunno.