2020-01-08
Su 58 milioni di morti, 42 sono per l’aborto
Secondo i dati Oms, nel 2019 le interruzioni di gravidanza sono state più letali di Aids, cancro, epidemie e guerre. E nel computo non sono conteggiate quelle provocate dalla «pillola del giorno dopo». Una strage silenziosa per la quale nessuno s'indigna.In scena ai Golden Globes la solita propaganda per l'eliminazione dei feti. Sul palco del premio, l'attrice Michelle Williams esalta la propria scelta di non aver fatto nascere il figlio. È ormai una moda tra le star. Lo speciale comprende due articoli.Secondo il sito Worldometers, che si basa su dati dell'Oms e dell'Istituto Guttmacher, lo scorso anno l'aborto indotto (non quello spontaneo) ha ucciso 42,4 milioni di persone su un totale di 58,6 milioni di decessi in tutto il mondo. È risultato più letale di Aids, cancro, epidemie e guerre. Le persone morte per malattia nel 2019 sono state 13 milioni, quelle decedute in seguito a tumore 8,2 milioni, 5 milioni quelle uccise dal fumo. Per l'aborto le cifre sarebbero ancora più alte di quei 42 milioni, perché nel conteggio non rientrano le interruzioni di gravidanza provocate con la contraccezione d'emergenza, chiamata anche «pillola del giorno dopo», e perché il Guttmacher, nato nel 1968 come branca di Planned Parenthood, multinazionale degli aborti, fornisce stime al ribasso. Dall'inizio di quest'anno, ci sarebbero già stati 789.000 aborti, guardando i dati forniti in tempo reale da Worldometers che presenta, anche in una versione italiana, le statistiche mondiali. Una cifra spaventosa, quasi un milione di morti innocenti in appena 8 giorni, come già veniva segnalato lo scorso anno ricordando i 41 milioni di aborti indotti nel 2018. Eppure c'era chi li contestava, non tanto nel numero (nessuno mette in discussione che siano dati accurati) quanto per la modalità di considerarli decessi, perché come ha dichiarato Heather Boonstra, direttore politiche pubbliche del Guttmacher Institute: «L'aborto è una procedura medica legale e costituzionalmente protetta negli Stati Uniti. Non è considerata una causa di morte». Aggiungeva, in un articolo riportato da Snopes, sito specializzato nel confutare notizie false: «La comunità medica non conferisce personalità ai feti al di fuori dell'utero, quindi contare l'aborto come “causa di morte" non si allinea alle pratiche delle organizzazioni sanitarie come l'Oms e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie». Insomma, i bimbi uccisi nel grembo materno non sarebbero morti, non andrebbero conteggiati assieme a quelli che muoiono per malattie. A riprova di questo atteggiamento, basta considerare che l'Oms aveva calcolato come tra il 2010 e il 2014, ogni anno si fossero verificati in media 56 milioni di aborti indotti in tutto il mondo. Nel 2016, la stima non doveva essere cambiata di molto eppure nell'elenco delle dieci principali cause di morte a livello globale, l'aborto non compariva.Le cardiopatie ischemiche e l'ictus risultavano i «più grandi assassini del mondo», con un totale di 15,2 milioni di morti, poi figuravano polmoniti, tumori, diabete, decessi dovuti a demenza, infortuni, Aids. Silenzio assoluto per la voce aborto, di gran lunga con i numeri più alti. Non si tratterebbe di morti, perché i bimbi non ancora nati non sono riconosciuti come esseri umani e nemmeno si vuole far passare il dato di fatto che stiamo parlando di vittime di omicidio. «Un feto, già nelle prime settimane di vita, ha un cuore che batte e tutti gli organi presenti», non si stanca di ripetere Massimo Gandolfini, neurochirurgo e presidente del Family day. Anche nel nostro Paese assistiamo alla censura, spesso violenta, delle iniziative pro life che vogliono ricordarci come la vita inizia dal concepimento, non quando il bimbo viene partorito. Tutte le iniziative di Pro vita & famiglia, manifesti fatti togliere a Roma e in numerose città italiane per ordine dei sindaci, immagini di bimbi nel ventre materno vandalizzate su camion vela itineranti per il nostro Paese, con il solo scopo di invitare alla riflessione, al rispetto della vita, sono state al centro di critiche fortissime.Parlare di difesa della vita non è politicamente corretto, diventa un attacco alla donna e alla sua dignità. Non ci sarà un giornalone che scriverà degli oltre 42 milioni di morti per aborti nel mondo, come nessuno si indignerà nell'apprendere che secondo la relazione annuale di Planned Parenthood, la multinazionale ha fatto abortire 345.672 bambini e ha ricevuto poco più di 616 milioni di dollari dai contribuenti nel corso del 2019. Ha anche distribuito oltre 2 milioni di contraccettivi, molti dei quali funzionano proprio come abortivi. Il 95% dei servizi che Planned Parenthood fornisce alle donne sono aborti, secondo Life site news il suo fatturato è di oltre 1,6 miliardi di dollari. Soldi sporchi di sangue, al pari di chi trae profitto da attività illecite che provocano morti violente.Per parlare in termini positivi dell'aborto ogni occasione invece è buona, come ha fatto domenica scorsa Michelle Williams, sul palcoscenico dei Golden globes. Mentre ritirava il premio come migliore attrice per l'interpretazione nella miniserie televisiva Fosse/Verdon, visibilmente incinta, ha detto di essere felice delle scelte fatte. «Non sarei stata in grado di farlo senza la consapevolezza del mio diritto di donna, di scegliere quando e con chi avere un figlio», ha dichiarato incoraggiando le donne a votare per sostenere l'aborto. Ad aumentare il numero dei bimbi indifesi che vengono uccisi nel mondo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/su-58-milioni-di-morti-42-sono-per-laborto-2644448352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-scena-ai-golden-globes-la-solita-propaganda-per-leliminazione-dei-feti" data-post-id="2644448352" data-published-at="1761003070" data-use-pagination="False"> In scena ai Golden Globes la solita propaganda per l’eliminazione dei feti Si può arrivare a ritirare un premio prestigioso osannando il diritto di aborto? In teoria, è un controsenso dato che la perdita, ancorché volontaria, di un figlio rappresenta comunque un dramma, come per decenni perfino il fronte femminista ha riconosciuto; in pratica, però, è quanto accaduto nelle scorse ore ai Golden Globes, la serata dei riconoscimenti statunitensi assegnati annualmente ai migliori film e programmi televisivi della stagione. Nonostante l'ammonimento introduttivo del presentatore Ricky Gervais («Se stasera vincerete un premio, non fate discorsi politici. Non siete in grado di insegnare al pubblico nulla»), quasi nessuno degli attori premiati si è difatti risparmiato un piccolo comizio, da Joaquin Phoenix, premiato per Joker, il quale ha chiesto più impegno per combattere «questo clima impazzito», a Kate McKinnon, star di Saturday Night Live, che ha elogiato il coming out dell'attrice lesbica Ellen DeGeneres. L'apice dell'inopportuno è però per l'appunto stato quello di Michelle Williams la quale, salita sul palco - peraltro in dolce attesa - per il premio di migliore attrice in una miniserie o film televisivo, non ha trovato di meglio che mettersi a esaltare, quasi fosse un vanto, il proprio precedente aborto. «Sono grata per il riconoscimento avuto grazie alle scelte che ho fatto», ha dichiarato l'attrice diventata famosa negli anni Novanta per aver interpretato Jen Lindley in Dawson's Creek, «e sono anche grata di vivere in un momento per la nostra società, in cui esiste la possibilità di scelta». A seguire, una sorta di apologia del diritto in vivere in modo disordinato ma autentico, come se la seconda cosa implicasse necessariamente la prima. «Se mi guardo indietro», ha infatti sottolineato la Williams, «posso vedere il segno della mia calligrafia dappertutto nella mia vita, disordinata e scarabocchiata, e in altri momenti attenta e precisa. Ma è tutto scritto di mio pugno. Non sarei stata in grado di farlo senza la consapevolezza del mio diritto di donna, di scegliere quando e con chi avere un figlio». Come c'era da aspettarsi, le dichiarazioni della bionda attrice non sono passate inosservate, scatenando incredule e roventi reazioni in Rete. Ma non solo. Nonostante la scontata ovazione di molti colleghi e gran parte del pubblico dei Golden Globes, c'è stato anche chi proprio non ce l'ha fatta a trattenere il proprio disappunto. Come l'autore ed umorista Tim Young, che non ha gradito l'accostamento tra successo e soppressione prenatale, quasi vi fosse un nesso obbligato. «Mi lascia perplesso», ha spiegato Young, «il fatto che Michelle Williams abbia affermato che non avrebbe avuto una grande carriera se non avesse abortito». Difficile dargli torto. L'aspetto più inquietante è che quello della Williams non è un caso isolato. Vantarsi pubblicamente di aver eliminato il figlio che si portava in grembo pare infatti stia diventando, tra le star, una sorta di moda. Basti pensare all'attrice britannica Jameela Jamil, la quale su Twitter nel dicembre scorso, poche settimane fa, ha scritto che abortire le ha donato una «vita meravigliosa». Con toni ancora più espliciti, prima di lei, era stata invece l'attrice Alyssa Milano a descrivere i suoi due aborti come una «grande gioia». La sensazione è insomma che il mondo del cinema stia spingendo a più non posso in questa direzione. Che non sia solo una impressione lo prova il lavoro della sociologa Gretchen Sisson, curatrice Abortion Onscreen, un database dove vengono tracciati gli spettacoli in streaming, le pellicole e le serie tv statunitensi in cui si parla di aborto procurato. Ebbene, per il 2019 la Sisson - la quale, per la cronaca, non è pro life - ha catalogato 31 situazioni in cui si è parlato dell'aborto procurato, rilevando come in ben 26 di esse la perdita di un figlio sia stata presentata totalmente priva di conseguenze. Una passeggiata, insomma, se non perfino qualcosa di cui menar vanto. Michelle Williams docet.