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2022-07-22
Studio inchioda il modello Speranza. Le serrate hanno ucciso più del virus
Non bastava la caduta del governo. Sul modello Speranza, oltre a quella politica, piomba pure la pietra tombale scientifica. A seppellire due anni di disastri arriva uno studio comparato, firmato da John P.A. Ioannidis (già noto per le intemerate contro i lockdown), Francesco Zonta e Michael Levitt. Il paper fa parte del numero 213 di Environmental research ed è una colossale analisi sull’extra mortalità nel biennio 2020-2021. Poiché incrociano i dati di 33 Paesi sviluppati, gli autori non si soffermano a commentarli uno per uno. Ma per trarre le debite conclusioni, basta osservare le tabelle da loro elaborate.
Nel periodo considerato, l’Italia ha scontato un eccesso di dipartite che oscilla tra le 115.690 (con un fattore di aggiustamento per classi d’età) e le 166.373. Manco a dirlo: è il risultato peggiore dell’intero elenco. Anche a volersi limitare al paragone con Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, nazioni simili alle nostre per collocazione geografica, dimensioni e popolazione, il nostro Paese esce a pezzi. Per intenderci: i tedeschi sono 82 milioni e mezzo, ma hanno avuto tra 54.740 e 128.557 defunti in più rispetto a quelli che, stando ai modelli statistici, era lecito aspettarsi. Solo la Spagna ha fatto un po’ peggio, se si considera il numero più elevato di decessi, calcolato senza aggiustamento per età: 95.964, su una popolazione di circa 47 milioni e mezzo di abitanti.
Sono numeri che riducono a un cumulo di macerie fumanti la Cattedrale sanitaria innalzata dai governi Conte bis e Draghi. Nonostante serrate, coprifuoco e super green pass, l’impatto della pandemia è stato pesante. Anzi, si può affermare che lo sia stato anche a causa di quelle misure. Si badi, infatti, a un dettaglio: Ioannidis & c. non conteggiano solo le vittime del Covid; misurano i morti in eccesso per tutte le cause. Ora, come abbiamo dimostrato più volte sulla Verità e come ormai ammettono pure molte virostar, da noi, nei bollettini dei deceduti per il coronavirus, sono state inserite anche moltissime persone trapassate per ben altri motivi: chi aveva il cancro, chi gravi patologie cardiovascolari, chi, addirittura, s’era schiantato con l’auto o era annegato in piscina. Se, al netto dei dubbi criteri di classificazione dei defunti, si riscontra ugualmente una consistente extra mortalità, ciò può significare una cosa sola: che ne hanno uccisi più le conseguenze delle restrizioni, del Covid stesso.
È un’idea cui alludono pure gli autori del saggio, i quali, peraltro, notano che la tendenza alla mortalità in eccesso si è mantenuta nei Paesi più sviluppati «nonostante la disponibilità di opzioni per una vaccinazione efficace nel 2021». Levitt, Zonta e Ioannidis sottolineano che i decessi in sovrannumero possono essere dovuti «agli effetti indiretti della pandemia e/o alle dirompenti misure adottate, tanto più in Paesi con sistemi sanitari molto fragili». Vengono in mente i catasti di visite saltate, screening oncologici rinviati e terapie sospese. Giusto ieri, Istat e Agenas hanno diffuso dati desolanti: 22% in meno di ricoveri ordinari nel 2020, -14% di ospedalizzazioni per cancro. Un’incuria certo connessa all’oggettiva emergenza, ma pure agli strascichi del delirio di regole e divieti che, tutt’ora, gravano sui nosocomi: medici sani cacciati dal posto di lavoro perché non vaccinati; altri schiaffati in quarantena da asintomatici; senza dimenticare le procedure bizantine per gli accessi ad ambulatori e sale operatorie.
Lo smacco emerge in modo ancora più chiaro quando si misura la proporzione dell’extra mortalità generale, rispetto alle dipartite attribuite al Covid (indice R). In tutti e cinque i Paesi europei che stiamo osservando, ci sono state più morti in eccesso rispetto alle sole morti per Covid. In parole povere, l’extra mortalità non è stata provocata esclusivamente dal virus. Ma, ancora una volta, l’Italia è l’ultima della classe: il parametro R oscilla tra 0,84 e 1,21 ed entrambi i valori sono superiori a quelli riscontrati in Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.
Dunque, pur prendendo per buoni i bollettini dell’Iss, avremmo ancora una cornucopia di decessi inattesi. Sono le vittime del glorificato «modello italiano». La mania del Covid zero, d’altronde, ci rende tragicamente grotteschi al cospetto della Svezia, già vituperata per il rifiuto di adottare lockdown totali: addirittura, nelle stime riadattate in base alle classi d’età, la nazione scandinava ha un deficit di 367 morti rispetto agli anni precedenti. Un bel trofeo per l’ex avvocato del popolo, l’ex assessore potentino e il quasi ex governo dei migliori.
Vaiolo, altra corsa (inutile) ai vaccini
L’emergenza è tutta da provare, ma intanto il ministero della Salute ha autorizzato la temporanea distribuzione del vaccino Jynneos di Bavarian Nordic contro il vaiolo delle scimmie (Monkeypox). Prima ancora dell’autorizzazione dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), ma con l’assenso della Commissione tecnico-scientifica di quella italiana (Aifa), è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto che autorizza l’immissione in commercio del prodotto fino al 31 dicembre 2022. Nel provvedimento si spiega che l’Aifa ha dato parere favorevole al vaccino - già approvato dall’Agenzia americana (Fda) per la prevenzione del vaiolo della scimmia negli adulti ad alto rischio di infezione - in attesa che si renda disponibile un vaccino con la medesima indicazione approvato da Ema.
La questione è più tecnica che di sostanza e chiarisce, in parte, il motivo di un allarmismo immotivato. In Unione europea (Ue), spiega il sito dell’Istituto superiore di sanità, non ci sono vaccini per il Monkeypox, ma quello per il vaiolo umano - non somministrato in Italia dal 1981, la malattia è eradicata - ha una efficacia di circa l’85% nella prevenzione del vaiolo delle scimmie.
Gli over 40 sono quindi protetti perché questo virus, a differenza del Sars-Cov2, muta più difficilmente e dà una malattia molto più benigna. In ogni caso, nel 2013 l’Ema, per la prevenzione del vaiolo umano, ha autorizzato Mva-Bn (Modified vaccinia Ankara-Bavarian Nordic) un vaccino di terza generazione con virus attenuato modificato (ceppo di Ankara, stessa famiglia del vaiolo) che viene commercializzato come Imvanex in Europa e Jynneos in America dove, dal 2019 è indicato anche per la prevenzione della Monkeypox. A inizio mese l’Ema ha avviato la procedura per ampliare l’indicazione di Imvanex in Ue, ma intanto, in nome di un allarme difficile da comprendere, oltre all’Aifa, anche il Consiglio superiore di sanità, si legge nel decreto ministeriale, ha espresso «parere favorevole in merito all’utilizzo emergenziale del vaccino contro il Monkeypox, Jynneo, fermo restando che la strategia vaccinale, anche in relazione alle dosi fornite da Hera, andrà prioritariamente orientata verso i soggetti a rischio per esposizione professionale e/o stili di vita», in particolare rapporti sessuali tra uomini.
Hera è l’Autorità europea per le emergenze sanitarie che si è assicurata, in settimana, altre 54.530 dosi del vaccino della biotech danese Bavarian Nordic portando il totale delle dosi acquistate a 163.620, come ha reso noto, lo scorso lunedì, la stessa commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, che si è detta «preoccupata per il crescente numero di casi di vaiolo delle scimmie nell’Ue».
Mettendo i numeri in fila, però, qualcosa non torna sul termine emergenziale, soprattutto se si considera che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha segnalato, in un anno, 14.000 casi di vaiolo delle scimmie in oltre 70 Paesi e 5 decessi, tutti in Africa, dove è endemico. I dati diffusi ieri dall’Agenzia europea delle malattie (Ecdc) segnala che su 10.604 casi in Ue, la maggior parte ha una età media di 31-40 anni (42%) sono maschi (99,5%) e il 38% è positivo anche all’Hiv. Spagna e Germania hanno 2.835 e 2.033 infetti. Sono giovani uomini con pustole sulla pelle e malessere generale che guariscono in due settimane senza andare all’ospedale. L’Italia ha 374 casi, ma può contare su 5.300 dosi di vaccino già consegnate. Certo il vaccino serve per la prevenzione nelle persone a rischio, ma i numeri restano sproporzionati, come del resto la velocità della procedura di acquisto. Questa è la prima volta - sottolinea la Commissione europea - che il bilancio dell’Ue viene utilizzato attraverso il programma Eu4Health per acquistare direttamente vaccini per gli Stati membri. Non si sa per quale emergenza se, come ammette la stessa Oms, perfino in Africa, dove la prevenzione non brilla di certo, il Monkeypox virus si riesce ad autolimitare semplicemente perché si informano le persone sul fatto che il contagio avviene principalmente per contatti diretti con fluidi corporei.
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Una ricerca mostra l’esito nefasto dei lockdown. Le morti in eccesso, infatti, superano quelle per Sars Cov 2. Le conseguenze delle restrizioni sulla sanità, con esami e interventi saltati, sono state peggiori del patogeno.Via libera dal ministero della Salute al siero anti Monkeypox in via emergenziale. Riparte la manfrina allarmista: consegnate all’Italia 5.300 dosi, ma i casi son solo 374.Lo speciale contiene due articoli.Non bastava la caduta del governo. Sul modello Speranza, oltre a quella politica, piomba pure la pietra tombale scientifica. A seppellire due anni di disastri arriva uno studio comparato, firmato da John P.A. Ioannidis (già noto per le intemerate contro i lockdown), Francesco Zonta e Michael Levitt. Il paper fa parte del numero 213 di Environmental research ed è una colossale analisi sull’extra mortalità nel biennio 2020-2021. Poiché incrociano i dati di 33 Paesi sviluppati, gli autori non si soffermano a commentarli uno per uno. Ma per trarre le debite conclusioni, basta osservare le tabelle da loro elaborate. Nel periodo considerato, l’Italia ha scontato un eccesso di dipartite che oscilla tra le 115.690 (con un fattore di aggiustamento per classi d’età) e le 166.373. Manco a dirlo: è il risultato peggiore dell’intero elenco. Anche a volersi limitare al paragone con Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, nazioni simili alle nostre per collocazione geografica, dimensioni e popolazione, il nostro Paese esce a pezzi. Per intenderci: i tedeschi sono 82 milioni e mezzo, ma hanno avuto tra 54.740 e 128.557 defunti in più rispetto a quelli che, stando ai modelli statistici, era lecito aspettarsi. Solo la Spagna ha fatto un po’ peggio, se si considera il numero più elevato di decessi, calcolato senza aggiustamento per età: 95.964, su una popolazione di circa 47 milioni e mezzo di abitanti. Sono numeri che riducono a un cumulo di macerie fumanti la Cattedrale sanitaria innalzata dai governi Conte bis e Draghi. Nonostante serrate, coprifuoco e super green pass, l’impatto della pandemia è stato pesante. Anzi, si può affermare che lo sia stato anche a causa di quelle misure. Si badi, infatti, a un dettaglio: Ioannidis & c. non conteggiano solo le vittime del Covid; misurano i morti in eccesso per tutte le cause. Ora, come abbiamo dimostrato più volte sulla Verità e come ormai ammettono pure molte virostar, da noi, nei bollettini dei deceduti per il coronavirus, sono state inserite anche moltissime persone trapassate per ben altri motivi: chi aveva il cancro, chi gravi patologie cardiovascolari, chi, addirittura, s’era schiantato con l’auto o era annegato in piscina. Se, al netto dei dubbi criteri di classificazione dei defunti, si riscontra ugualmente una consistente extra mortalità, ciò può significare una cosa sola: che ne hanno uccisi più le conseguenze delle restrizioni, del Covid stesso. È un’idea cui alludono pure gli autori del saggio, i quali, peraltro, notano che la tendenza alla mortalità in eccesso si è mantenuta nei Paesi più sviluppati «nonostante la disponibilità di opzioni per una vaccinazione efficace nel 2021». Levitt, Zonta e Ioannidis sottolineano che i decessi in sovrannumero possono essere dovuti «agli effetti indiretti della pandemia e/o alle dirompenti misure adottate, tanto più in Paesi con sistemi sanitari molto fragili». Vengono in mente i catasti di visite saltate, screening oncologici rinviati e terapie sospese. Giusto ieri, Istat e Agenas hanno diffuso dati desolanti: 22% in meno di ricoveri ordinari nel 2020, -14% di ospedalizzazioni per cancro. Un’incuria certo connessa all’oggettiva emergenza, ma pure agli strascichi del delirio di regole e divieti che, tutt’ora, gravano sui nosocomi: medici sani cacciati dal posto di lavoro perché non vaccinati; altri schiaffati in quarantena da asintomatici; senza dimenticare le procedure bizantine per gli accessi ad ambulatori e sale operatorie. Lo smacco emerge in modo ancora più chiaro quando si misura la proporzione dell’extra mortalità generale, rispetto alle dipartite attribuite al Covid (indice R). In tutti e cinque i Paesi europei che stiamo osservando, ci sono state più morti in eccesso rispetto alle sole morti per Covid. In parole povere, l’extra mortalità non è stata provocata esclusivamente dal virus. Ma, ancora una volta, l’Italia è l’ultima della classe: il parametro R oscilla tra 0,84 e 1,21 ed entrambi i valori sono superiori a quelli riscontrati in Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Dunque, pur prendendo per buoni i bollettini dell’Iss, avremmo ancora una cornucopia di decessi inattesi. Sono le vittime del glorificato «modello italiano». La mania del Covid zero, d’altronde, ci rende tragicamente grotteschi al cospetto della Svezia, già vituperata per il rifiuto di adottare lockdown totali: addirittura, nelle stime riadattate in base alle classi d’età, la nazione scandinava ha un deficit di 367 morti rispetto agli anni precedenti. Un bel trofeo per l’ex avvocato del popolo, l’ex assessore potentino e il quasi ex governo dei migliori. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/studio-inchioda-modello-speranza-2657708725.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vaiolo-altra-corsa-inutile-ai-vaccini" data-post-id="2657708725" data-published-at="1658427827" data-use-pagination="False"> Vaiolo, altra corsa (inutile) ai vaccini L’emergenza è tutta da provare, ma intanto il ministero della Salute ha autorizzato la temporanea distribuzione del vaccino Jynneos di Bavarian Nordic contro il vaiolo delle scimmie (Monkeypox). Prima ancora dell’autorizzazione dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), ma con l’assenso della Commissione tecnico-scientifica di quella italiana (Aifa), è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto che autorizza l’immissione in commercio del prodotto fino al 31 dicembre 2022. Nel provvedimento si spiega che l’Aifa ha dato parere favorevole al vaccino - già approvato dall’Agenzia americana (Fda) per la prevenzione del vaiolo della scimmia negli adulti ad alto rischio di infezione - in attesa che si renda disponibile un vaccino con la medesima indicazione approvato da Ema. La questione è più tecnica che di sostanza e chiarisce, in parte, il motivo di un allarmismo immotivato. In Unione europea (Ue), spiega il sito dell’Istituto superiore di sanità, non ci sono vaccini per il Monkeypox, ma quello per il vaiolo umano - non somministrato in Italia dal 1981, la malattia è eradicata - ha una efficacia di circa l’85% nella prevenzione del vaiolo delle scimmie. Gli over 40 sono quindi protetti perché questo virus, a differenza del Sars-Cov2, muta più difficilmente e dà una malattia molto più benigna. In ogni caso, nel 2013 l’Ema, per la prevenzione del vaiolo umano, ha autorizzato Mva-Bn (Modified vaccinia Ankara-Bavarian Nordic) un vaccino di terza generazione con virus attenuato modificato (ceppo di Ankara, stessa famiglia del vaiolo) che viene commercializzato come Imvanex in Europa e Jynneos in America dove, dal 2019 è indicato anche per la prevenzione della Monkeypox. A inizio mese l’Ema ha avviato la procedura per ampliare l’indicazione di Imvanex in Ue, ma intanto, in nome di un allarme difficile da comprendere, oltre all’Aifa, anche il Consiglio superiore di sanità, si legge nel decreto ministeriale, ha espresso «parere favorevole in merito all’utilizzo emergenziale del vaccino contro il Monkeypox, Jynneo, fermo restando che la strategia vaccinale, anche in relazione alle dosi fornite da Hera, andrà prioritariamente orientata verso i soggetti a rischio per esposizione professionale e/o stili di vita», in particolare rapporti sessuali tra uomini. Hera è l’Autorità europea per le emergenze sanitarie che si è assicurata, in settimana, altre 54.530 dosi del vaccino della biotech danese Bavarian Nordic portando il totale delle dosi acquistate a 163.620, come ha reso noto, lo scorso lunedì, la stessa commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, che si è detta «preoccupata per il crescente numero di casi di vaiolo delle scimmie nell’Ue». Mettendo i numeri in fila, però, qualcosa non torna sul termine emergenziale, soprattutto se si considera che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha segnalato, in un anno, 14.000 casi di vaiolo delle scimmie in oltre 70 Paesi e 5 decessi, tutti in Africa, dove è endemico. I dati diffusi ieri dall’Agenzia europea delle malattie (Ecdc) segnala che su 10.604 casi in Ue, la maggior parte ha una età media di 31-40 anni (42%) sono maschi (99,5%) e il 38% è positivo anche all’Hiv. Spagna e Germania hanno 2.835 e 2.033 infetti. Sono giovani uomini con pustole sulla pelle e malessere generale che guariscono in due settimane senza andare all’ospedale. L’Italia ha 374 casi, ma può contare su 5.300 dosi di vaccino già consegnate. Certo il vaccino serve per la prevenzione nelle persone a rischio, ma i numeri restano sproporzionati, come del resto la velocità della procedura di acquisto. Questa è la prima volta - sottolinea la Commissione europea - che il bilancio dell’Ue viene utilizzato attraverso il programma Eu4Health per acquistare direttamente vaccini per gli Stati membri. Non si sa per quale emergenza se, come ammette la stessa Oms, perfino in Africa, dove la prevenzione non brilla di certo, il Monkeypox virus si riesce ad autolimitare semplicemente perché si informano le persone sul fatto che il contagio avviene principalmente per contatti diretti con fluidi corporei.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.